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martedì 18 marzo 2008

RITORNO DAL KOSOVO (27 Agosto 1999)

Ho paura del tempo
Il vuoto interposto agli attimi
Il relativo silenzio interrotto
Dal brusio di fondo
Lontana reminescenza d’altri
Voci confuse e di notte
Bagliori di luminescenza
La nave salpata dal porto
Ha reciso qualcosa di invisibile
Ma rimane sugli avambracci
Chiusi all’aria fredda della sera
L’indelebile cicatrice delle ferite
Inferte dalla memoria.
Il ciclo delle nostre lune
ha inghiottito in un’eclissi
tutti i pensieri inespressi
le parole dette e ripetute
a noi stessi, tutto lo spazio
della lontananza.
Un’onda di chiara schiuma
Ha inabissato la vita un attimo
Prima poi domani sarà
Il sereno risveglio del ritorno.
Non avrò paura di rivederti
Del mio viso allo specchio
Del perduto tempo e di quello ritrovato
Dell’amore sopito abbandonato
In fondo allo sguardo
Nell’angolo segreto delle mani.
Domani ti abbraccerò di baci

Giuseppe MARCHI

lunedì 17 marzo 2008

L'arca e il diluvio, secondo la Bibbia e il mito di Gilgamesh.

Quando si parla di “arca” viene spontaneo pensare all’arca di Noè, ma esistono altre tradizioni, forse anche più antiche dei racconti della Genesi biblica, che annoverano l’arca tra le cose strane…
Ma andiamo con ordine.
Con il termine arca si intende comunemente una grande imbarcazione utilizzata per salvare le specie viventi dall’estinzione dovuta al diluvio inviato da Dio. Autore del salvataggio, il mitico Noè.
Dio, resosi conto della malvagità dell’Uomo, decide di sterminare la specie umana e con essa tutti gli esseri viventi. Qui entra in gioco Noè che, considerato uomo giusto, viene invitato a salvarsi unitamente alla propria famiglia e agli esseri viventi, costruendo un’arca.
Vediamo cosa ci dice la Bibbia:
[Genesi, 6,14]
“Fatti un’arca di legno di Cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore.”
Il resto, al momento, non ci interessa.
Ciò che sappiamo sull’arca di Noè, si può riassumere in poche informazioni: é costruita in legno di Cipresso, è compartimentata, è impermeabilizzata per mezzo del bitume, ha un tetto e una porta. In merito alle dimensioni, in linea di massima possiamo considerare un cubito circa cinquanta centimetri, per cui siamo di fronte ad una nave di 150x25x15 metri! Un vero mostro per quei tempi!
In apertura ho parlato di altre tradizioni che ci riportano di un’arca, vediamone una, il racconto del diluvio della saga di Gilgamesh. Il testo ci dice che in quei giorni il mondo pullulava di persone e il loro rumore era tale che il grande Dio, venne destato e unitamente agli altri dei fu deciso di distruggere l’umanità. Ma Ea, altra dea, volle salvare l’umanità così avvisò Utnapistim, il Noè di Suruppak, città sulle rive dell’Eufrate. Ma sentiamo cosa si dice nel poema:
“Uomo di Suruppak, figlio di Ubara-Tutu, abbatti la tua casa e costruisci una nave, [..] Ecco le misure del battello, così come lo costruirai: che la sua larghezza sia pari alla sua lunghezza, che il suo ponte abbia un tetto come la volta che copre l’abisso; [..] Alla prima luce dell’alba la mia famiglia si riunì intorno a me, i bambini portarono pece e gli uomini tutto il necessario. Il quinto giorno misi in posa la chiglia e le coste, poi fissai il fasciame. Di un acro era la sua area di terreno, ogni lato del ponte misurava cento e venti cubiti e costituiva un quadrato. Sottocoperta costruii sei ponti, sette in tutto; li divisi in nove sezioni con paratie fra di loro. Dove era necessario infissi dei cunei, provvidi alle pertiche di spinta e caricai provviste. I portatori recarono olio in canestri, versai pece nella fornace e asfalto e olio; altro olio venne consumato per calafatare, altro ancora lo mise tra le sue provviste il nocchiero.[..] Al settimo giorno la nave era pronta. Venne poi il varo pieno di difficoltà, lo spostamento della zavorra di sopra e di sotto finché due terzi rimasero sommersi. [..] Guardai fuori e il tempo era terribile, così anche io salii a bordo della nave e chiusi i boccaporti. Era tutto finito, la chiusura e la calafatura, diedi dunque il timone al timoniere Puzur-Amurri, assieme alla navigazione e alla cura di tutta la nave.”
L’arca di Utnapistim, come possiamo vedere, è leggermente diversa da quella di Noè, forma quadrata, sette ponti in tutto divisi in nove sezioni tramite paratie. E così via. Interessante e particolare la parte relativa alle “pertiche di spinta”, i remi forse? Ancora più interessante la parte dei “portatori” che recarono l’olio in canestri, versato insieme a pece e asfalto “nella fornace”, per far che? Non per calafatare, quello lo dice subito dopo, e poi a cosa serve altro olio tra le provviste del nocchiero?
Al di là delle domande che io mi pongo e che sicuramente troverebbero una spiegazione logica se avessimo più elementi, resta il fatto che due testi antichissimi di due popoli diversi riportano il medesimo racconto…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 14 marzo 2008

Quale futuro?

Questa mattina, chiacchierando del più e del meno con alcuni amici sulla situazione dell’Italia, mi è stato detto: “bisogna essere ottimisti…”. Forse io sono troppo critico, rasento il pessimismo talvolta, ma di fronte al “bisogna essere ottimisti” ho risposto: “Fatemi un esempio, guardando al futuro, per cui dovrei essere ottimista…”
Ebbene, non ho avuto risposta… e probabilmente una risposta non c’è!
Ma, se non c’è la possibilità di essere ottimisti per il futuro, che futuro può esserci?
Allora, cerchiamo assieme di capire quali sono gli esempi che la società odierna trasmette ai giovani relativamente ai modelli di comportamento considerati vincenti, dunque meritevoli di essere presi ad esempio, e che quindi rappresentano il futuro…
Se mi guardo attorno vedo delle generazioni allevate nella bambagia e che si illudono che il mondo sia come la televisione. Quella fatta da una parte di attricette e personaggi ambigui che non fanno altro che litigare per innalzare l’audience, dall’altra, dalla corruzione, dalla violenza e dalla insicurezza dilagante… Unica costante: i soldi!
Ma, quali sono i messaggi che vengono recepiti?
In breve, possiamo dire che i furbi hanno sempre ragione e passano impuniti qualunque cosa facciano.
Bene, questo è un errore di una gravità assoluta e socialmente imperdonabile!
La civiltà umana non può basarsi su questi modelli comportamentali pena il collasso morale e, di conseguenza, quello economico. In una società basata su questi modelli le persone sono portate a non lavorare, “tanto non lavora nessuno!”, a non studiare, “tanto non lo fa nessuno!”, a non essere seri, “tanto non lo è nessuno…”.
A mio parere, e spero di sbagliarmi, una società siffatta è destinata al collasso!
Ma allora, che fare?
Poche regole semplici, se messe in atto, possono nel giro di qualche generazione cambiare le cose. In primo luogo è necessario ristabilire regole, principi e valori morali premianti e far si che il messaggio arrivi ai giovani. Per far ciò devono essere impiegati i mezzi e gli strumenti dei giovani, la TV, internet, la radio…
Come? Beh, questo è difficile da dire ma proviamo ancora a ragionare assieme. Prendiamo in considerazione la TV italiana, mezzo di diffusione di massa per eccellenza, e vediamo quale ruolo gioca nel campo educativo. Le reti principali sono sei, tre pubbliche e tre private. Che le reti private facciano ciò che è più conveniente è tutto sommato comprensibile; non altrettanto si può dire per le reti pubbliche. Queste ultime sono infatti finanziate dallo Stato (cioè da noi!) e non solo dalla pubblicità e alimentano un micro mondo (che tanto micro non è!) assolutamente improduttivo e dal punto di vista etico, sociale e morale, addirittura dannoso!
Tutti i giorni è possibile vedere programmi assolutamente stupidi e spesso volgari, cui prendono parte migliaia di giovani “cittadini italiani” che sperano di riuscire a ritagliarsi un poco di spazio che gli dia la possibilità di sbarcare il lunario senza fare assolutamente niente!
Ripeto, anche se non condivido tali modelli, tutto ciò è comprensibile per le reti private che devono sottostare ad una logica di mercato; molto meno condivisibile per le reti pubbliche che dovrebbero essere chiamate a rispondere a logiche differenti, dovrebbero rendere dei servizi al cittadino o, più in generale, alla società! Se cercate qualche trasmissione educativa, beh, cercatela a notte fonda, quando tutti dormono (con le dovute eccezioni che confermano la regola)! Durante il giorno, invece, si viene bombardati da immagini e modelli comportamentali antisociali!
E dunque, per chiudere, la domanda che mi pongo e vi pongo è quella posta in apertura: “Perché dovrei essere ottimista per il futuro? Cosa mi dovrebbe spingere ad essere ottimista per il futuro?
Mi spiace, sarò ancora una vota tacciato di essere troppo critico, ma il futuro che ci stiamo costruendo, e tutti ne siamo corresponsabili, non è, a mio parere, per niente roseo…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 12 marzo 2008

I pomi d'oro delle Esperidi

Leggere è importante, riflettere su ciò che si legge lo è ancor di più! Si può riflettere in tanti modi ma, in mancanza di una passeggiata nel giardino discorrendo sui misteri, amo scrivere le mie riflessioni… ciò mi aiuta a capire o, talvolta, mi permette più semplicemente di mettere a fuoco i miei dubbi. L’argomento di oggi è legato alle Esperidi ed ai pomi d’oro.
Esperidi… ma di che cosa si tratta?
Esiodo ci parla delle Esperidi nella sua opera Teogonia...
Le chiama figlie della dea Notte oscura, e ci dice che "al di là dell'inclito Oceano, dei pomi aurei e belli hanno cura, e degli alberi che il frutto ne portano"
Nei pressi delle Esperidi dimorano le Gorgoni "che hanno dimora al di là dell'inclito Oceano, all'estremo, verso la notte, dove sono le Esperidi acute di voce".
Sempre oltre l'Oceano, "Ceto, come ultimo figlio, a Forci unita in amore, generò un terribile serpe, che nei recessi della terra oscura, presso i grandi confini ha la custodia degli aurei pomi".
Serpente terribile e pomi ricordano il paradiso terrestre...
Condannato da Zeus, Atlante "il cielo ampio sostiene, a ciò costretto da forte necessità, ai confini della terra, di fronte alle Esperidi dal canto sonoro...".
Abbiamo in questo passo una indicazione geografica della posizione delle Esperidi... ma cosa erano? Forse delle Isole?
E Atlante? E' forse la catena nord africana? Oltre l'Oceano cosa significa? Forse oltre le colonne d'Ercole?
Pare di si…
Se così fosse, le Esperidi dove si trovano? Di fronte ad Atlante… ci dice Esiodo… ma la catena dell’Atlante così come oggi la conosciamo è molto estesa… la cima più alta si trova in Marocco, è il monte “Jbel Toubkal”, con i suoi 4.165 metri. Se Esiodo si riferiva al Jbel Toubkal allora le esperidi si trovavano realmente nell’Oceano! E, guarda caso in quella direzione si trovano ancora oggi delle isole… le Azorre, che alcuni dicono siano ciò che resta del grande continente di Atlantide…
Figlie di Notte o verso la Notte potrebbe significare ad Ovest e dunque potrebbe a ben ragione trattarsi di isole situate ad Ovest, nell'Oceano...
L'analisi dei miti collegati e narrati da vari autori potrebbe però far pensare anche ad altro… e se si parlasse di stelle? La cosa non mi stupirebbe più di tanto…
Ma cosa significa “Esperidi acute di voce”?
Chissà…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 8 marzo 2008

IL NOSTRO DESTINO (2 Agosto 1999)

Ballano le anime dei morti
Dinanzi a noi indiscreti visitatori
Caduti trucidati di questa guerra

Irta è la strada per la pace
Su queste fosse di fango
I monti incendiati vediamo
Immobile il corpo senza testa
Vacilla nelle acque tortuose

Non c’è più poesia
In quella morte
Della sua putrefazione
Immondo e gonfio
I suoi invisibili occhi
Guardano il nostro destino
Di uomini in guerra

Giuseppe MARCHI

sabato 1 marzo 2008

Déjà vu?

La macchina manovrava sotto casa... nel poco spazio che c'era si muoveva male, nervosamente...
Lo stemma della Mercedes nera si vedeva abbastanza bene, era un nuovo modello, di quelli costosi, una macchina da avvocato o da politico...
Già da qualche minuto sentivo i rumori della gomma sul selciato...
Mi affacciai alla finestra incuriosito...
L'uomo era giovane, doveva avere non più di trent'anni. Era ben vestito e si guardava attorno con circospezione...
Poi apparvero due uomini, due operai... armati di piccone.
Si avvicinarono all'uomo e scaricarono un sacco nero dal cofano...
I due operai entrarono nel garage... Mi arrivavano alle orecchie i colpi sordi... come attutiti... di picconi sulla terra...
Passarono dieci minuti senza che si vedesse nessuno... poi uscirono, si avvicinarono all'uomo e preso un pacchetto si dileguarono...
L'uomo chiuse il garage e dopo alcune manovre andò via con una sgommata...
Mi svegliai tutto sudato... era estate e avevo sognato... colpa della pizza!
Sempre così quando mangiavo la pizza la sera...
Alcuni colpi attirarono la mia attenzione... provenivano da fuori... c'era una macchina che faceva manovra... nera...
Non sarà?!?
Macchè... ma, quelli sono operai...
un sacco nero apparve come per incanto tra le mani dei due che, un istante dopo scomparvero nel garage...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Fedone - Socrate, Simmia e la terra vista dallo spazio


Mentre leggo un libro, "Il mulino di Amleto", mi imbatto in una frase, ripresa dal Fedone, che mi lascia perplesso e contribuisce a rafforzare le mie convinzioni... soprattutto perché detta in un momento particolare... in punto di morte... Ma leggiamo assieme...

Socrate: "Dunque, o Simmia, se anche dire una favola é bello, val bene la pena che tu ascolti come siano le cose sopra la terra subito al di sotto del cielo"
Simmia: "Ma certo, noi avremo gran piacere ad ascoltare questa favola, o Socrate"
Socrate: "Anzitutto dunque, o amico, dicono questo che la vera terra, chi la guardi dall'alto, ha l'aspetto delle nostre palle di cuoio a dodici pezzi, iridescente, e come intarsiata di diversi colori; e di codesti colori perfino quelli che adoperano i pittori qui da noi sono immagini appena...

Il racconto continua e credo che al più presto mi procurerò una copia del Fedone per leggerlo per intero ma, per ora, ciò che a me interessa è capire chi sono questi che dicono che la terra guardata dall'alto ha l'aspetto di una palla iridescente? Ricordiamo infatti che Socrate visse tra il 470 e il 389 a.C., ben prima che la tecnologia ci permettesse di osservare la terra dall'alto...
Ma è vero ciò che ho appena detto?
Forse è meglio riformulare la frase...
Ben prima che, per quanto ne sappiamo oggi, la tecnologia ci permettesse di osservare la terra dall'alto... se non teniamo conto delle testimonianze di Socrate, dell'apocalisse di Giovanni e così via... ecco, ora è meglio!
Ma perché siamo così poco inclini a credere nella possibilità che sulla terra, prima di noi ci siano state altre civiltà, magari evolute? Molti testi antichi "rivelano" la discesa degli dei sulla terra, ne parlano come di esseri provenienti dalla via lattea... esseri evoluti che hanno portato spesso la civiltà...
Oggi alcune civiltà del mondo affermano che gli extra terrestri esistono... fono forse tornati quegli antichi dei?
Domande senza risposta...
Ma cosa accadrà quando, un giorno non più troppo lontano, l'Uomo, nel corso della sua esplorazione dello spazio, dovesse incontrare una civiltà primitiva e magari contribuire al suo sviluppo?
Come sarebbe visto l'Uomo... se non come un dio?!?
E così, forse, la storia si ripeterà!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO