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martedì 10 dicembre 2013

Un libro impossibile: Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio


Lewis Carroll (1832-1898) è l'autore di due romanzi impossibili, diciamo quasi stile Jorges Luis Borges, anche se il secondo venne dopo.
Matematico, letterato inglese e fotografo, scrisse i due romanzi per ragazzi secondo uno stile molto particolare.
Nel mondo di Alice, la protagonista di "sette anni e sei mesi" tutto è possibile e per "tutto" s'intende proprio tutto!
Ho letto questi racconto un po' in ritardo, direte voi, ve lo concedo.
Ma meglio tardi che mai.
Non c'è un tempo in cui si leggono cose serie e un tempo per le cose da ragazzi, c'è solo qualcosa che si fa e qualcosa che non si fa! Anche se tardi ho deciso di farlo.
Che dire dei racconti. Penso che dei bambini riescano ad apprezzare le peripezie e le stranezze dei personaggi di questo mondo fatato, ma anche gli adulti possono trovare modo di evadere dal mondo reale e credo che il successo delle due opere sia dovuto in gran parte a questo.
Credo però che per essere compreso fino in fondo occorra leggere il testo in lingua originale, dalle note si capisce che molti giochi di parole, nonostante l'abilità del traduttore (Pietro Citati, nell'edizione Einaudi da me letta) sarebbero comprensibili ad un madrelingua.
Ma se riusciamo ad accontentarci di vivere le avventure di Alice nella nostra lingua, facendo attenzione a non incappare nella terribile Regina di Cuori, e cercando di dimenticarci dell'età, potremo passare anche noi qualche minuto al giorno in un mondo impossibile in cui tutto è possibile.
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Turris Libissonis

Turris Libissonis... l'antico nome di una cittadina in provincia di Sassari, oggi conosciuta col nome di Porto Torres.
Città di mare, porto da sempre, nei primi anni del nuovo millennio aveva vissuto un periodo di crisi a causa della fallimentare politica industriale. Una serie di amministratori incompetenti a tutti i livelli aveva fatto sì che la cittadina si spopolasse.
Nel 2020 contava 15.051 abitanti, nel 2030 era scesa a 12.893.

Poi c'era stata la rinascita, Porto Torres si era ritrovata ad essere una cittadina turistica.
Col tempo aveva sostituito la più nota Alghero ed ora era diventata la meta preferita dei ricchi turisti "mordi e fuggi" di tutto il mondo.
Ma andiamo con ordine.

Tutto ebbe inizio per caso o, forse, per un bicchiere di troppo di quell'ottimo vino prodotto nella vicina cantina di Sella e Mosca, sulla strada per Alghero.
Ricordo ancora quella sera di cinquant'anni fa, eravamo cinque amici, stanchi e un po annoiati. Discutevamo della cena, maialetto arrosto e gamberoni accompagnati da antipasti, dolci e vini tipici del luogo. Serata indimenticabile!
Un goccio di filu ferru barricata, acquavite invecchiata in botte di rovere, aveva aggiunto un pizzico di allegria che non guasta mai, un po' di vitalità ad una serata che rischiava di spegnersi prima del tempo.
E così, tra una parola e l'altra era arrivata l'idea vincente.
In verità era stato Gavino, Gavì per gli amici, a convincerci, con la sua parlantina da istrione, appollaiato sulla sua sedia e con una conchiglia rovesciata a mo' di posacenere al fianco, era un tipo caratteristico, geniale, nel suo piccolo!
Gavì era un "ricco borghese", come amava definirsi lui. Aveva ereditato una piccola azienda agricola e passava le sue ore libere, dopo il tramonto e fino a tarda notte, a piantare alberi sul suo terreno, e noi lo aiutavamo senza capir bene il perché!
Preferiva olivi e querce, ma non si faceva problemi se gli capitava sotto mano qualche albero di frutta, qualche pino o un ontano del giappone (Alnus maximowiczii come teneva a precisare) finito chissà come in Sardegna!
Andava avanti così per mesi, ogni anno degli ultimi dieci anni, ed era già arrivato ad una miriade ma non accennava a smettere. Il terreno allora costava poco, anche a causa della crisi ormai cronica, per cui ogni anno alcuni ettari di terreno incolto si aggiungevano alle sue già cospicue proprietà.
Voleva ricreare un bosco... "un bosco incantato tra le montagne della Nurra"... diceva sempre lui! Come quello che ricopriva l'isola prima dell'arrivo dei Cartaginesi, popolo infido e crudele, che nel V° secolo a.C. aveva distrutto tutte le piante per togliere ai Sardi il sostentamento e la voglia di combatterli. O come era prima che lo sfruttamento dei piemontesi, nel 1800, per farne carbone, trasformasse nuovamente l'isola in una tavola brulla e polverosa.

Un bosco in cui muoversi

"a bordo della sua carrozza,
un metro al di sopra del fango dell'Umanità,
diretto alla sua baita solitaria",

amava canticchiare con voce sommessa, mentre lavorava al suo progetto. Un bosco in cui vivere lontano dal mondo, un bosco in cui passare le ore del suo ultimo tramonto.
Chi poteva dargli torto? Il suo era un progetto in cui credere e noi lo ascoltavamo, incantati, e ogni sera lo aiutavamo ad aggiungere dieci, cento nuovi alberi al suo sogno. Questo finché il lavoro non fu terminato!

Una sera Gavì ci aspettava intorno alla tavola imbandita della sua casa di campagna, in cima alla collina più alta della zona. Ci portò sulla terrazza e ci passò il binocolo che solitamente portava appeso attorno al collo.

- "Guardatevi attorno", disse con soddisfazione.

Il bosco si estendeva a perdita d'occhio, a nord fino il confini della città di Porto Torres, fino al mare azzurro chiaro che bagnava le coste della Nurra, fino ad Alghero ad est. Era un susseguirsi di chiome colorate di mille differenti tonalità di verde, giallo, castano. Alberi di tutte le forme e di tutte le dimensioni si stagliavano contro il cielo e ospitavano ormai una ricca fauna, non più costretta a condividere i pochi cespugli di lentisco.
Il lavoro di una vita era finito!
Dove un tempo c'era solo terra e roccia rossa ora c'era un bosco, con tanto di animali, laghi e fiumi, pesci e farfalle.
Un bosco, in un mondo di acciaio e cemento e reti di computer e sommergibili e armi nucleari e viaggi su Marte, ormai colonia della Terra. Dove le città avevano sommerso tutto, cancellato ogni forma di vita diversa da quella umana, dove gli oceani cedevano spazio alle nuove isole, enormi chiatte di spazzatura, poi riutilizzate per costruirci i nuovi quartieri popolari...

Turris Libissonis, Porto Torres per i più, era ormai l'ultimo angolo di natura.

Creato da un uomo, un piccolo uomo di nome Gavino, per chi come me l'aveva conosciuto. Gavino, come il santo protettore della Città.
Un grande benefattore per tutti coloro che ogni anno potevano godere di quel nuovo angolo di paradiso!
 

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 9 dicembre 2013

Jorge Luis Borges: Finzioni

Talvolta si inizia per caso la lettura di un libro, talaltra lo si fa guidati da un motivo, più o meno valido.
Così, questa settimana ho affrontato un autore di cui non avevo mai letto niente: Jorges Luis Borges (1899-1986).
Argentino di nascita, fu scrittore, poeta, saggista, traduttore, docente universitario e direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires.
Lo spunto per la lettura mi è arrivato da un fumetto, un numero di Martin Mystere in cui la storia era incentrata proprio sul nostro Borges.
Così dopo una breve ricerca nella biblioteca ho iniziato la lettura di Finzioni (La biblioteca di babele) nella edizione Einaudi del 1978.
Ma prima di andare avanti voglio riportare uno stralcio della quarta di copertina, da cui si può capire a cosa andavo incontro, avrei dovuto leggerla prima del libro!
             "Nel presentarli al pubblico italiano (i racconti) Pietro Citati scriveva: <<Devoto alla logica e alla simmetria, elegante geometra dell'intelligenza, le epoche che egli predilige sono tuttavia quelle più profondamente sofistiche, insieme razionalissime e bizzarre, matematiche e magiche, nelle quali la ragione distrugge se stessa nel momento che trionfa..."
Non che l'aver letto la quarta di copertina mi avrebbe impedito di leggere il libro, ma mi avrebbe messo sull'avviso!
Detto questo, vi chiederete cosa penso del libro.
Vi rispondo che non lo so!
Diciamo meglio, ancora non lo so!
E' la prima volta che mi imbatto in storie simili, e dire che di libri ne ho letti tanti, e di tutti i generi!
Eppure, in questi racconti c'è qualcosa di strano.
Il tempo, lo spazio, gli intrecci delle storie, sono particolari, difficili da seguire. Ogni racconto sembra scritto tenendo a riferimento l'idea del labirinto, della stanza degli specchi, del tempo avvolto su se stesso. Il risultato è che i racconti in alcuni tratti non sembrano dei racconti, in altri tratti appaiono invece essere troppo fantasiosi.
Vi chiederete se mi sia piaciuto, anche in questo caso la risposta è: non lo so!
Devo pensarci su e, forse, rileggerlo più avanti, come ho fatto con altri libri quando mi rendevo conto di non essere in grado di capirne il significato.
Ecco, probabilmente dovrò aspettare... anche se leggere "Pierre Menard, autore del Chisciotte", mi ha fatto sorridere!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 8 dicembre 2013

L'ultimo...

Il buio era sceso per le strade di Londra.
Erano appena le cinque ma la pallida luce del giorno era già scomparsa dietro un velo di fitta nebbia.
Il vicolo era buio e sporco, bidoni di immondezza offrivano riparo a grossi topi di città.
Sulla sinistra tre gradini davano l'accesso ad una vecchia casa diroccata, lì, accucciata in un angolo, s'intravvedeva la sagoma di un uomo, avvolto in una vecchia coperta di lana grossa.
Solo una scarpa sporgeva dalla vecchia coperta, tirata fin sopra i capelli, come a proteggere il volto dal freddo pungente.
In terra una scodella sbeccata di ferro smalto, con dentro poche monete, fungeva da chiaro invito a fare della beneficenza.
Il vicolo dava su una strada ricca di luci e vetrine.
La gente passava di continuo senza mai voltare lo sguardo verso quello che era un angolo buio dell'umanità!
Ricchi signori accompagnavano eleganti signore alla ricerca degli ultimi regali di Natale, abbigliati con pesanti cappotti, colorati cappellini e grossi guanti di pelle. Abbagliati dalle vetrine colorate, preparate per prendere in trappola ricchi avventori, i passanti passeggiavano velocemente, stimolati dal freddo.
La ricca opulenza della strada contrastava fortemente con il buio sporco del vicolo, ma così è Londra, come tutte le grandi città in cui l'umanità si concentra.
Ricchezza e povertà, due facce della stessa medaglia: l'Uomo!
Se qualcuno avesse potuto guardare sotto la coperta, avrebbe visto due occhi grandi, lucidi, azzurri come il ghiaccio, in fervida attesa.
Avrebbe potuto vedere un uomo forte, nervosamente pronto all'azione, ben diverso dall'apparente fragilità dell'accattone che attende un obolo che non arriva mai. Avrebbe potuto toccare il freddo coltello che teneva stretto nella mano destra, in attesa della propria vittima.
Se qualcuno avesse potuto penetrare nel suo cervello vigile avrebbe letto una serie di immagini terribili, che si ripetevano simili nella sua mente. Un passante si avvicina, tende la mano verso la ciotola per attenuare i suoi sensi di colpa particolarmente vivi a natale. Una lama fredda come il ghiaccio si avvicina al suo collo. L'obolo si trasforma in rapina! Il mendicante si allontana rapidamente. Voltato l'angolo buio si libera della coperta e si allontana lentamente stavolta, confuso tra la folla.
Era il suo modus operandi, e rendeva abbastanza.
Talvolta capitava che lo sventurato urlasse, allora doveva scappare velocemente, ma accadeva raramente, solitamente tutto filava liscio.
Quella sera aveva scelto attentamente il posto, era un vicolo con una doppia uscita, alcuni bidoni dell'immondezza che impedivano il passaggio alle auto e buio a sufficienza per realizzare il suo intento, occorreva solo attendere.
Una coppia passava proprio in quel momento. Lo guardarono di traverso, lui infilò la mano nella tasca alla ricerca di qualche moneta ma lei lo tirò via, bruscamente, con sospetto, quasi presentendo il risultato di quell'atto di generosità!
Due mocciosi attraversarono di corsa il vicolo, rincorrendo un cane che si fermò un attimo ad annusargli le caviglie. Lo allontanò con un calcio e si risistemò la coperta sul viso, ritornando al precedente stato di immobilità. In vigile attesa come un pescatore in riva al fiume, come un cacciatore alla posta.
L'attesa era la parte peggiore, il freddo era sempre intenso e non ci si poteva muovere, occorreva stare immobili, come facevano quelli veri, di accattoni.
I due ragazzi tornavano indietro col cane al guinzaglio, questa volta tenuto saldamente dalla mano del più piccolo. Per un attimo il cane si avvicinò nuovamente alla sua scarpa, ancora un istante e l'avrebbe colpito nuovamente, ma non fece in tempo. Il più grande dei ragazzi gli era già addosso e con un coltello affilato gli trapassava il cuore.
Fece appena in tempo a capire che la morte lo portava via. I suoi occhi azzurri si scioglievano in lacrime; il ragazzo lo guardò dritto negli occhi, senza alcun rimorso. Infilò la mano sinistra nelle sue tasche, prese portafogli e orologio quindi estrasse il coltello pulendolo su un lembo della vecchia coperta.
Un fiotto di sangue caldo sgorgò violentemente dalla ferita, ma i due ragazzi erano già lontani.
Un rantolo sordo fu l'ultima cosa che sentì...
quella notte di Natale, l'ultimo!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Natale 2013

L'anno giunge alla fine,
ancora una volta dicembre ci porterà il Natale.

Un Santo Natale,
dipinto di rosso e oro,
invade le strade e le vetrine,
portando allegria ai bimbi nel mondo.

Poi volgo lo sguardo
in un vicolo buio,
un povero vecchio allunga una mano,
chiede aiuto per un tozzo di pane.

Distolgo lo sguardo e mi allontano,
attratto dal rosso d'un babbo natale
che balla di fronte ad un supermercato.

Eppure il cuore rimane indietro,
in quel vicolo buio,
ad osservare, triste...

Torno sui miei passi,
mi avvicino a quel povero vecchio,
gli porgo la mano:
"Buon Natale, amico mio,
cosa posso fare per te?"

Le parole sono spontanee,
il vecchio mi osserva, cercando di capire,
allunga la mano e mi ringrazia,
lo aiuto ad alzarsi e proseguiamo assieme il cammino.

Ecco lo spirito giusto,
lo spirito del Natale che invade l'aria.
Lo spirito che colora di rosso e oro
i vicoli grigi delle nostre città
e quegli angoli ancora più oscuri
del nostro cuore...

Buon Natale a tutti!

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

sabato 7 dicembre 2013

Libertà

Libertà...
Qualcuno disse: Libertà!
Tutti risposero in coro: Libertà! Libertà!

Poi cominciò la lotta,
gli scontri,
il sangue,
la morte...

Poi un giorno, qualcuno disse: Liberi, finalmente!
I superstiti risposero: Finalmente...

Una parola così potente,
Libertà,
più forte della Vita,
beffarda sfida la Morte.

Liberi, finalmente,
fino al prossimo... Libertà!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 6 dicembre 2013

Inconsapevolmente vivo...

Aprii gli occhi con difficoltà. Un leggero velo sembrava interporsi tra me e tutto ciò che mi circondava.
Mi trovavo all'ospedale.
Ero confuso, sapevo cosa mi era successo, lo ricordavo perfettamente, eppure il mio subconscio rifiutava di riconoscerlo. Non era facile prendere coscienza del fatto di aver avuto un infarto.
Attorno a me altri pazienti della terapia intensiva, come me attaccati ai macchinari che permettevano agli infermieri di controllarci a distanza. Di tanto in tanto un "bip" più intenso del solito attirava la loro attenzione, qualcuno si avvicinava a controllare.
A volte si trattava della flebo che era terminata, altre volte invece gli infermieri chiamavano il medico e cominciavano ad agitarsi attorno al letto del malcapitato...
Ma tutto ciò è abbastanza normale in terapia intensiva.
Dopo qualche giorno mi spostarono in terapia subintensiva, un posto un po più tranquillo, dove ci si poteva alzare dal letto, andare in bagno senza dover chiedere la padella o il pappagallo (strumenti inventati solo per farti sentire inutile), lavarsi da soli e fare un po di vita sociale con i compagni di camera e con i visitatori. Di tanto in tanto arrivava anche qualche volontario, sempre allegro e pronto a scambiare quattro chiacchiere, anche se non sempre ne avevo voglia, oppure un parroco che si guardava intorno e poi, in silenzio, così come si era avvicinato si allontanava... quasi non volesse disturbare i nostri pensieri con presagi spiacevoli.
La notte cercavo di dormire, cercando di ignorare i dolori al petto, dimenticando il mal di schiena e tutti gli aghi che avevo infilati nelle braccia, sperando che non si staccassero i sensori, altrimenti un infermiere sarebbe arrivato a svegliarmi per riattaccarmeli, e poi chi riusciva a riprendere sonno?
Una anziana signora che stava nella stessa stanza ci intratteneva con le sue urla continue. Di notte urlava e di giorno dormiva e noi stavamo svegli.
Poi finalmente le dimissioni.
Un bel giorno il medico mi disse che dopo pranzo potevo uscire, finalmente!
Preparai le mie poche cose e ricevuto il foglio di dimissioni e delle cure da seguire rientrai a casa.
Quella notte non riuscivo a prendere sonno, la preoccupazione di non essere controllato era tanta. Stare all'ospedale dava una certa sicurezza che ora mi mancava. Ogni dolore sembrava amplificato dalla paura. Ogni battito cardiaco, ogni tremore, ogni crampo, sembrava l'annuncio di un nuovo infarto e l'inizio della fine... ma si trattava solo di sensazioni, e col tempo ci avrei fatto l'abitudine.
Nelle ore passate insonni pensavo e ascoltavo i rumori, il vento fuori dalla finestra, una macchina per strada, qualche cane abbaiare, il bisbiglio di un bambino...
Poi la mattina dopo iniziava la cerimonia dei medicinali, una, due, tre pastiglie. Quella per lo stomaco, quella per la pressione, la betabloccante, la cardioaspirina...
Solo se ti capita ti rendi conto delle libertà perdute! Ma bisogna cercare di non pensarci e andare avanti, cercando di tornare alla normalità, poco per volta.
Dopo i primi giorni potevo finalmente uscire di casa, fare qualche passo era utile, occorre camminare per riprendersi velocemente, pressione permettendo!
E la sera di nuovo a letto presto, cercando di evitare di pensare a quello che può succedere la notte. Perchè la paura è che ti addormenti e non ti svegli più!
Allora prendere sonno è faticoso, e così si passa qualche ora a rivoltarsi tra le coperte ascoltando i soliti rumori... il vento del giorno prima, che però ha cambiato direzione, la solita macchina del solito ritardatario, i ragazzi che passano sotto casa al rientro di una serata in discoteca, i bisbigli di un bambino...
Strano, è già la terza notte che un bambino passa sotto casa, per un istante, bisbigliando qualcosa di incomprensibile.
La mattina, dopo la colazione a base di te, fette biscottate e marmellata e le solite medicine, approfitto della bella giornata per fare quattro passi. Sotto casa c'è un piccolo parco, mi siedo in una panchina e mi godo il sole. Qualcuno mi passa vicino ignorandomi, ma non mi riguarda. Le fronde degli alberi si muovono spinte da un fresco venticello di primavera, i cani giocano con i loro padroni nello spazio loro riservato.
Rientro a casa e la giornata passa come le altre, mangio, leggo, mi riposo e passo il tempo cercando di riprendermi.
La notte arriva inesorabile e con il buio la solita insonnia, la solita macchina e il solito bambino che bisbiglia...
Cosa dici - penso - non capisco, non ti sento bene...
Il bisbiglio si fa più forte, poco a poco sempre più distinto, si trasforma in una voce...
Chi sei, perchè mi chiami...
- Finalmente, seguimi, non puoi restare più qui... il tuo posto è altrove!
Fu questione di un attimo. In quell'istante realizzai finalmente ciò che era successo, chi veramente ero...
Il dolore sparì, le ansie e l'angoscia mi lasciarono per sempre, la paura di morire non aveva più senso, nella mia nuova condizione di fantasma...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO