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martedì 10 dicembre 2013

Turris Libissonis

Turris Libissonis... l'antico nome di una cittadina in provincia di Sassari, oggi conosciuta col nome di Porto Torres.
Città di mare, porto da sempre, nei primi anni del nuovo millennio aveva vissuto un periodo di crisi a causa della fallimentare politica industriale. Una serie di amministratori incompetenti a tutti i livelli aveva fatto sì che la cittadina si spopolasse.
Nel 2020 contava 15.051 abitanti, nel 2030 era scesa a 12.893.

Poi c'era stata la rinascita, Porto Torres si era ritrovata ad essere una cittadina turistica.
Col tempo aveva sostituito la più nota Alghero ed ora era diventata la meta preferita dei ricchi turisti "mordi e fuggi" di tutto il mondo.
Ma andiamo con ordine.

Tutto ebbe inizio per caso o, forse, per un bicchiere di troppo di quell'ottimo vino prodotto nella vicina cantina di Sella e Mosca, sulla strada per Alghero.
Ricordo ancora quella sera di cinquant'anni fa, eravamo cinque amici, stanchi e un po annoiati. Discutevamo della cena, maialetto arrosto e gamberoni accompagnati da antipasti, dolci e vini tipici del luogo. Serata indimenticabile!
Un goccio di filu ferru barricata, acquavite invecchiata in botte di rovere, aveva aggiunto un pizzico di allegria che non guasta mai, un po' di vitalità ad una serata che rischiava di spegnersi prima del tempo.
E così, tra una parola e l'altra era arrivata l'idea vincente.
In verità era stato Gavino, Gavì per gli amici, a convincerci, con la sua parlantina da istrione, appollaiato sulla sua sedia e con una conchiglia rovesciata a mo' di posacenere al fianco, era un tipo caratteristico, geniale, nel suo piccolo!
Gavì era un "ricco borghese", come amava definirsi lui. Aveva ereditato una piccola azienda agricola e passava le sue ore libere, dopo il tramonto e fino a tarda notte, a piantare alberi sul suo terreno, e noi lo aiutavamo senza capir bene il perché!
Preferiva olivi e querce, ma non si faceva problemi se gli capitava sotto mano qualche albero di frutta, qualche pino o un ontano del giappone (Alnus maximowiczii come teneva a precisare) finito chissà come in Sardegna!
Andava avanti così per mesi, ogni anno degli ultimi dieci anni, ed era già arrivato ad una miriade ma non accennava a smettere. Il terreno allora costava poco, anche a causa della crisi ormai cronica, per cui ogni anno alcuni ettari di terreno incolto si aggiungevano alle sue già cospicue proprietà.
Voleva ricreare un bosco... "un bosco incantato tra le montagne della Nurra"... diceva sempre lui! Come quello che ricopriva l'isola prima dell'arrivo dei Cartaginesi, popolo infido e crudele, che nel V° secolo a.C. aveva distrutto tutte le piante per togliere ai Sardi il sostentamento e la voglia di combatterli. O come era prima che lo sfruttamento dei piemontesi, nel 1800, per farne carbone, trasformasse nuovamente l'isola in una tavola brulla e polverosa.

Un bosco in cui muoversi

"a bordo della sua carrozza,
un metro al di sopra del fango dell'Umanità,
diretto alla sua baita solitaria",

amava canticchiare con voce sommessa, mentre lavorava al suo progetto. Un bosco in cui vivere lontano dal mondo, un bosco in cui passare le ore del suo ultimo tramonto.
Chi poteva dargli torto? Il suo era un progetto in cui credere e noi lo ascoltavamo, incantati, e ogni sera lo aiutavamo ad aggiungere dieci, cento nuovi alberi al suo sogno. Questo finché il lavoro non fu terminato!

Una sera Gavì ci aspettava intorno alla tavola imbandita della sua casa di campagna, in cima alla collina più alta della zona. Ci portò sulla terrazza e ci passò il binocolo che solitamente portava appeso attorno al collo.

- "Guardatevi attorno", disse con soddisfazione.

Il bosco si estendeva a perdita d'occhio, a nord fino il confini della città di Porto Torres, fino al mare azzurro chiaro che bagnava le coste della Nurra, fino ad Alghero ad est. Era un susseguirsi di chiome colorate di mille differenti tonalità di verde, giallo, castano. Alberi di tutte le forme e di tutte le dimensioni si stagliavano contro il cielo e ospitavano ormai una ricca fauna, non più costretta a condividere i pochi cespugli di lentisco.
Il lavoro di una vita era finito!
Dove un tempo c'era solo terra e roccia rossa ora c'era un bosco, con tanto di animali, laghi e fiumi, pesci e farfalle.
Un bosco, in un mondo di acciaio e cemento e reti di computer e sommergibili e armi nucleari e viaggi su Marte, ormai colonia della Terra. Dove le città avevano sommerso tutto, cancellato ogni forma di vita diversa da quella umana, dove gli oceani cedevano spazio alle nuove isole, enormi chiatte di spazzatura, poi riutilizzate per costruirci i nuovi quartieri popolari...

Turris Libissonis, Porto Torres per i più, era ormai l'ultimo angolo di natura.

Creato da un uomo, un piccolo uomo di nome Gavino, per chi come me l'aveva conosciuto. Gavino, come il santo protettore della Città.
Un grande benefattore per tutti coloro che ogni anno potevano godere di quel nuovo angolo di paradiso!
 

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 12 agosto 2012

Krankenhaus


“Moritzingerstrasse”,

annunciava la voce semimetallica del bus, linea 10A, a Bolzano…

Era una calda giornata d’estate. L’afa contribuiva a togliere il respiro. Sul bus solo qualche occasionale viaggiatore, dovevano essere tutti in ferie per ferragosto.

Un passeggero era salito alla fermata di Piazza Domenicani, curvo dall’età e dal caldo.

Si era aiutato con le braccia per salire a bordo, forse il caldo gli toglieva quel poco di forze che ancora animavano il suo corpo.

Doveva avere almeno ottant’anni. Da giovane era stato alto e robusto, forse era stato uno sportivo o forse un agricoltore del luogo, un montanaro abituato alla durezza della vita di campagna. Le spalle erano ampie e ancora tradivano la forza che le aveva animate.

L’avevo osservato bene in faccia quando era venuto a sedersi al mio fianco. La pelle era grinzosa e macchiata, i capelli e le sopracciglia bianchi candidi, ancora folti. Le orecchie piccole erano coperte da un ciuffo di capelli arruffati, come se non si fosse pettinato la mattina.

Per il resto era ben curato.

La barba rasata di recente, le mani pulite, le unghie ben tagliate. Non fumava, non sentivo alcun odore di sigaretta. Gli occhi erano azzurri, profondi, un po’ tristi, come se sapesse di essere arrivato alla fine della corsa…

Indossava un paio di jeans puliti, non proprio nuovi, una taglia più grande del necessario, retti dalle bretelle. Una camicia chiara e un paio di scarpe in pelle, marrone. A tracolla portava un borsello di altri tempi, in pelle scura, che stringeva sotto il braccio.

Avevamo viaggiato fianco a fianco per tutto il viaggio senza dire niente. Io lo guardavo ma lui non mi vedeva. Soffriva ma non parlava, neanche un mugolio. Solo una smorfia di dolore, di tanto in tanto, quando il bus andava troppo forte per lui.

“Krankenhaus”, annunciava la voce sul bus… e quella fu l’ultima parola che il vecchio sentì.

Si accasciò senza forze sul sedile, il conduttore non si accorse di niente fino alla fermata successiva, quando fermò il bus di fronte all’ospedale, ma era tardi.

Io ero al suo fianco, quando spirò! Presi la sua anima per mano, lo consolai, gli spiegai cosa doveva fare e lo indirizzai sulla giusta strada… Mentre si allontanava veloce si girò un attimo, mi chiese chi fossi… chi doveva ringraziare.

Gli risposi che ero uno come lui, spirato sullo stesso bus… tanti anni prima.



“Europa Stadium”, già diceva la voce semimetallica…

ancora una corsa, ancora una…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 19 aprile 2012

Tzunami...

Era una bella giornata, particolare!  
Da anni scrivevo racconti e poesie, pubblicavo i miei studi sui testi antichi, ma mai e poi mai ero stato invitato a parlare della mia attività di scrittore e libero pensatore. 
La prima volta non si scorda mai... e così è stato!

Queste poche righe vogliono testimoniare un fatto accadutomi in quei giorni. 
Non ho spiegazioni da dare per ciò che è accaduto, questa è una semplice testimonianza di un sopravvissuto. Come questa ne potrete trovare altre, se cercherete con sufficiente pazienza e perseveranza tra le immense quantità di dati disponibili...

Ognuno di voi lettori sarà poi libero di credere o no, secondo la sua coscienza... io posso solo raccontare!

Come dicevo, era una bella giornata. Una giornata primaverile, di quelle con il cielo terso, azzurro pallido. Alcuni raggi del sole mattutino arrivavano sul letto e riscaldavano l'aria... 
Mi svegliai con addosso quella sensazione di benessere e allegria che si provano raramente nella vita. Sarebbe accaduto qualcosa di stupendo, me lo sentivo!

E così effettivamente fu.
Erano da poco passate le dieci quando ricevetti una telefonata. 
Il telefono grigio appeso alla parete cominciò a squillare, irrequieto.
Risposi in modo automatico...

- Si, pronto?  

- Buon giorno, parlo col signor P...?

Era la voce di una giovane donna, allegra e squillante... 

- Si, con chi parlo?

- Sono la segretaria del Signor Rossi, il Direttore della rivista "Racconti e società". Immagino lei sappia che la settimana prossima si terrà un convegno sul tema "Il racconto e lo sviluppo della società". 
Il signor Rossi gradirebbe averla come ospite... e qualora decidesse di esporre le sue teorie in pubblico, oltre al soggiorno gratuito per tutta la durata del convegno, riceverà anche il compenso che lei riterrà più opportuno...

La donna dall'altra parte della cornetta continuava a parlare incessantemente... parole, parole, piacevoli parole che suonavano come il riconoscimento di anni di studi e di sacrifici.

- Certamente, ci sarò...

Avevo interrotto la donna proprio mentre si dilungava nello spiegare l'importanza del convegno e la risonanza che avrebbe avuto nell'ambiente... 

- Bene, siamo felici della sua decisione. Se mi da un numero di fax le invio immediatamente il contratto e tutte le informazioni di cui necessiterà. 

Poche altre parole di coordinamento e la cosa era fatta. Ricevetti le informazioni necessarie per raggiungere la sede del convegno, i biglietti di andata e ritorno, la prenotazione dell'hotel e il contratto...
Era proprio una bella, splendida, giornata...

Arrivai all'hotel a tarda sera. L'aereo era stato puntuale. Raggiunsi l'hotel in tassì. La mia camera era la 27, una splendida camera con vista panoramica sul golfo. L'aria era frizzante ma decisi comunque di cenare fuori, in terrazza. La notte era appena cominciata e la luna illuminava il mare di fronte a me... il rumore della risacca era leggero e piacevole. Ordinai una zuppa di pesce e del pane abbrustolito... 
La mattina dopo avrei incontrato il signor Rossi. Avrei avuto la possibilità di discutere con lui in anteprima alcune mie teorie. Il programma della giornata prevedeva la visita presso una casa padronale del '600. Avremo pranzato tutti assieme in un grande loggiato, organizzatori, ospiti, scrittori. Sarebbe stata una buona occasione per conoscersi meglio e discutere le proprie teorie prima del convegno che si sarebbe tenuto il giorno dopo.   

Il signor Rossi era un ometto piccolo di statura, elegantemente vestito, con dei baffetti curiosi che lo facevano assomigliare alla caricatura di un Ufficiale di Cavalleria di altri tempi. La sua rivista era la più importante del settore e aveva una grossa influenza sui pezzi grossi della politica della Nazione. 
Da quando era stato riconosciuto il potere che i racconti, soprattutto di fantascienza, avevano sulla popolazione, la sua rivista era diventata importante e lui era diventato uno dei personaggi più in vista della società. 

- Buon giorno signor P., è un piacere conoscerla di persona...

La sua voce era profonda, calda, rassicurante. Era la voce di un uomo abituato a comandare, di un politico d'altri tempi.

- Il piacere è tutto mio.

- Benvenuto tra noi... spero avremo la possibilità di discutere le sue teorie sullo sviluppo pianificato del futuro per mezzo del racconto, una teoria in parte ripresa da Asimov, se non erro!?!

- Non sbaglia, si tratta di uno sviluppo particolare della Psicostoriografia...

- Immaginavo... mi perdoni, tornerò da Lei al più presto, devo fare gli onori di casa e gli ospiti sono tanti. Le ho riservato un posto al mio fianco per il pranzo, così avremo l'occasione di approfondire alcuni punti della sua teoria che non mi sono del tutto chiari, se non le spiace naturalmente.

- Sarà un piacere...

Il signor Rossi si allontanò con un saluto del capo. 
Mi guardai intorno meravigliato, gli uomini politici più influenti del Paese si trovavano nella mia stessa stanza. Potenti... e disonesti, uomini corrotti che pensavano solo al loro proprio tornaconto.
Quale occasione straordinaria per spiegare le mie teorie, per cercare di cambiare il futuro... senza che loro potessero sospettarlo! 
Dipendeva tutto da me, dalla mia abilità nel disegnare un futuro possibile alla portata della loro immaginazione  e delle loro mire! Non sarebbe stato facile, ma avrei avuto la mia occasione per cambiare il mondo.

Mi guardai intorno con più calma, il loggiato nel quale ci trovavamo era ampio e luminoso. Appesi alle pareti si trovavano oggetti in legno di tutti i tipi. Vecchi utensili un tempo di uso comune nelle case dei contadini ma anche maschere scure dai lineamenti squadrati, inquietanti...

Avevo portato la macchina fotografica e approfittai di quei momenti per scattare alcune foto ricordo. La villa si trovava sulla costa, a poche centinaia di metri dal mare, in una posizione splendida per godere di una vista stupenda e di tutti i vantaggi dell'ambiente circostante.
Uscii sul portico per scattare qualche bella fotografia panoramica. Sulla sinistra un promontorio roccioso si gettava in mare a strapiombo. Le sue rocce si specchiavano nell'acqua azzurra e profonda. Di fronte a me una lunga striscia di sabbia bianca. Sulla destra alcune palme ricordavano paesaggi tropicali...
In lontananza, oltre l'orizzonte, una nuvola scura sembra preannunciare l'arrivo di un temporale lontano... eppure c'era qualcosa di strano.
La nuvola sembrava avanzare velocemente, troppo velocemente. Realizzai con terrore che non si trattava di una nuvola ma di una enorme massa d'acqua che si avvicinava velocemente. Il mare si gonfiava in lontananza, risucchiando l'acqua dalla riva che scopriva i suoi fondali...

Cominciai a correre, urlando... mentre l'onda di piena raggiungeva già il selciato antistante la casa. 
Dietro la casa la costa rocciosa saliva velocemente. Mi arrampicai verso la salvezza, seguito da quei pochi che avevano sentito le mie urla. Ci arrampicammo su per la scarpata, senza voltarci indietro...

Era accaduto tutto in pochi attimi. 
L'onda era arrivata gonfia d'acqua e se ne era andata portando via con se tutto ciò che aveva potuto afferrare. 
La maggior parte dei presenti erano stati trascinati via dalla forza distruttiva dello Tzunami. 
Ci salvammo solo in cinque. 
Quella volta la natura aveva provveduto a cambiare il futuro del Paese in modo radicale... 
Avrei dovuto ripensare le mie teorie, per includere in esse qualcosa che fino ad allora avevo lasciato fuori... la Provvidenza Divina!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 11 maggio 2011

Fantasmi... e altri racconti

Cari amici,
sono lieto di presentarvi il mio libro di racconti. 


Questa è la terza edizione riveduta e corretta, spero vi piaccia.


Se avete voglia di leggere l'anteprima potete trovarla al seguente link.


Buona lettura e attendo vostri commenti.



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 26 marzo 2011

Racconto fantasy: Diluvio universale...

"Ciao..."

.............................

"Ciao...

Scusa Signore, ti potresti spostare un pochino più in là che devo costruire il mio castello?"

La voce era arrivata inaspettata, completamente inaspettata!

Era una vocina squillante, come non ne aveva sentite da tanto tempo. Era una vocina amica, pungente, di quelle che ti mettono voglia di vivere.

La solitudine era stata tanta che per un attimo non sapeva cosa dire. 
Come comportarsi?
Poteva far finta di niente e continuare a fissare il mare, verso l'orizzonte lontano, da seduto sopra quel piccolo scoglio di roccia lavica?!? Oppure doveva rispondere e magari spostarsi? Che assurdità, spostarsi... perché avrebbe dovuto farlo?
No, avrebbe semplicemente proseguito nel suo progetto, senza guardarla in faccia, senza pensare, senza tornare indietro sulle decisioni già prese!

"Signore, mi senti?  
Perché non rispondi? 
Ti senti male?"

Ancora quella voce. Se ne stava seduto, in silenzio, da tempo immemorabile ascoltando, sperando di sentire qualcosa, ed ora che qualcosa sentiva non sapeva più che fare! 
Assurdo...

"Signore, signore... mi aiuti a costruire il mio castello?
Per favore, ti sposti un poco?"

... ma vero! 
Lei lo guardava, gli parlava, e lo tirava per i pantaloni per scuoterlo dal torpore che lo rendeva immobile, insensibile a tutto. 
Eppure iniziava a pensare, se lei lo vedeva, gli parlava, lo scuoteva... forse, non sarebbe stato più solo, forse avrebbe avuto compagnia, forse le cose potevano ancora cambiare.

"Ehi, signore, dico a te... mi senti?"

Dopo i primi tempi si era abituato a sentire le loro parole, le loro preghiere, sempre uguali, sempre a chiedere, sempre noiosamente prevedibili...

"Signore, se ti senti male ti aiuto io. Perché non fai un bel respiro?"

Poi aveva dovuto sopportare la loro stupidità, aveva provato a capirli, aveva provato a farli ragionare, aveva provato a cambiarli, a convincerli, a obbligarli a ragionare, ma senza successo!

"Ti prego... svegliati, mi spaventi!"

Così aveva preso una decisione, l'unica possibile, quella estrema... e l'aveva fatto! Una, due, tre volte... e questa sarebbe stata la... non ricordava!
Eppure qualcosa lo tratteneva, un pensiero, una strana sensazione di malessere, una vocina piccola, squillante, allegra, innocente. 
La voce di una piccola bimba che continuava a chiamarlo e tirarlo per la maglia, scuoterlo senza sosta... 

"adesso ti sveglio io..." 

Uno schizzo d'acqua fresca lo colpì sul viso, ridestandolo dal torpore millenario in cui era sprofondato dall'ultima volta...

"Come ti chiami bimba?"

Le parole gli erano uscite di bocca quasi senza volerlo. Quel suono che non sentiva da tanto tempo, il suono della sua voce, lo riportò alla realtà. Aveva deciso, sarebbe stato per un'altra volta. 
Il Diluvio avrebbe dovuto aspettare, adesso aveva qualcosa di più importante a cui pensare.

Doveva giocare con la sua nuova piccola amica a costruire castelli di sabbia...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 19 marzo 2011

Il vecchio cotonificio...

"La mia storia è come quella di tanti ragazzi del sud...
una vita spesa a lavorare, cercando di mettere qualche soldo da parte per poter un giorno tornare al paese.
Ma, sedetevi, la mia casa è povera ma una sedia e un bicchiere d'acqua fresca non si nega a nessuno".

Il vecchio signor Peppino era sempre gentile con noi e ogni volta che andavamo a trovarlo ci raccontava qualche storia di quando era giovane...
Io avevo 10 anni quando lo conobbi per la prima volta, ora ne ho molti di più, ma non l'ho mai dimenticato... 

Un giorno la maestra di quarta elementare ci aveva detto che dovevamo fare una ricerca, dovevamo parlare dei lavori del 1800 nella Lombardia. Così ai miei genitori venne in mente di portarmi a Gorla, un piccolo paese subito fuori Legnano (dove abitavamo) dove qualche anno prima avevano conosciuto per caso un vecchio signore che aveva allora almeno ottanta anni e che aveva lavorato nel vecchio cotonificio Cantoni. Lui avrebbe saputo render sicuramente interessante la ricerca...

"Volete sapere come si lavorava in un cotonificio? Mh... è stato tanti anni fa che non ricordo più neanche il nome del proprietario..."

Oggi so bene che scherzava, il vecchio signor Peppino aveva sempre voglia di scherzare, ciò che non gli era mai mancato era proprio una memoria di ferro e la voglia di vivere che lo portava sempre a vedere il lato positivo delle cose... eppure allora mi sembrò quasi una inutile perdita di tempo. Non capivo perché mio padre mi avesse voluto far conoscere quello strano vecchio. Avrei potuto semplicemente andare in biblioteca, sedermi ad un tavolo e sfogliare uno di quei grossi libri pieni di foto del passato... ma mentre pensavo, il vecchio assunse un'aria pensosa e, chinata la testa come se portasse sulle spalle tutti gli anni del mondo, cominciò a parlare. 
La voce era roca, profonda, come se venisse direttamente dal passato... le parole erano poche e misurate, ne più ne meno di quelle che servivano per descrivere la vita di una Legnano del 1800 e dei sui tanti abitanti di allora, come se ci fosse stato anche lui!

"Allora Legnano era un bella cittadina, certo, non così estesa come oggi, ma comunque bella... la gente camminava per le strade con passo svelto, tutti andavano al lavoro o a sbrigare qualche commissione che non poteva aspettare oltre. Le signorine di buona famiglia erano sempre vestite a festa, scarpette lucide che si impolveravano subito per le strade di Legnano, abiti bellissimi in cotone fresco e colorato, adatti per la tarda primavera e l'estate, un po' meno per le altre stagioni. E quegli abiti, proprio quelli che esse indossavano, erano ciò che ci dava da mangiare... la mia famiglia lavorava al cotonificio Cantoni già dal 1830, quando era una semplice filanda. Il lavoro era duro ma onesto..."

All'inizio avevo pensato che il vecchio signor Peppino ci prendesse in giro, era il 1975, lui non poteva certo parlare di se stesso quando raccontava di ciò che accadeva nel 1830! Ma non mi importava più, il suo modo di parlare, la sua voce profonda e suadente avevano la capacità di portarmi indietro nel tempo, ascoltavo e vedevo le immagini di quelle persone, delle giovani ragazze che passeggiavano, del vecchio signor Peppino che lavorava alla filanda, vecchio già allora!

Senza rendermene conto riempii pagine e pagine di quaderno senza mai fermarmi, come guidato da una mano invisibile e sapiente... Il giorno dopo la maestra fu molto contenta del lavoro e disse che avrebbe conosciuto con piacere quel vecchio che era stato capace di ispirarmi.

Il tempo passò e io crescevo. L'esperienza con il signor Peppino era stata bellissima e toccante, e così ogni anno i miei genitori con una scusa qualsiasi tornavano a trovarlo. Ci presentavamo al cancello del giardino e mio padre lo chiamava da fuori, per nome, aspettando un cenno di autorizzazione per andare oltre. Poi entravamo, io correvo sempre avanti, i miei genitori seguivano con passo svelto. Ogni volta portavamo qualcosa, un pane di grano duro, una salsiccia, una bottiglia di vino. E lui, come quella prima volta, ci offriva da sedere, un bicchiere d'acqua fresca e poi cominciava a raccontare... ed ogni volta era come quella prima volta per me. Restavo incantato ad ascoltare per ore, senza quasi parlare. Poi, poco prima di cena andavamo via dopo aver ringraziato e salutato con rispetto quel vecchio pezzo di storia. Così ogni anno fino a quando non dovetti partire.

Avevo 19 anni quando andai via da casa, ero stato preso in Marina e dovetti partire per la Sicilia... Ero contento, la Sicilia era la terra del vecchio signor Peppino, forse non l'avrei più visto ma almeno avrei potuto conoscere la sua terra.
Il tempo passò, mi sposai, mi trasferii a Roma dopo aver lasciato la Marina e grazie agli studi assidui e alla voglia di lavorare trovai un bel posto sicuro e riuscii a comprarmi una piccola casa in periferia... Tornavo a casa, a Legnano, di tanto in tanto, per trovare i miei genitori che invecchiavano. Col tempo dimenticai le visite al signor Peppino, probabilmente era morto ormai, e i miei genitori non dissero più niente.

Era il 25 aprile del 2000 quando nacque mio figlio. Lo chiamammo Francesco e fu una festa per tutta la famiglia. Per i miei genitori era il primo nipote ed ogni anno, in estate, pretendevano che stesse da loro almeno per un mese. Avevano tante cose da insegnargli, dicevano... io e mia moglie eravamo contenti e li lasciavamo fare.

Per il decimo compleanno di Francesco, il 25 aprile 2010, decidemmo di festeggiare in famiglia. Arrivammo a casa mia la sera del 24, in aereo. L'aeroporto di Malpensa era vicino e così mio padre venne a prenderci in macchina. La sera incartammo i regali e mio padre disse che il regalo per Francesco non si poteva incartare... ma non disse niente di più, aveva un'aria misteriosa che non era da lui. 

La mattina del 25 aprile Francesco ricevette i suoi regali e come tutti i bambini dei nostri giorni venne sommerso da giocattoli elettronici e qualche libro. Mio padre disse che ancora non era arrivato il momento del suo regalo, occorreva aspettare alle cinque del pomeriggio...
Pranzammo tutti assieme, prendemmo il caffè e aspettavamo con ansia di scoprire quale fosse il regalo del nonno che non era stato mai così misterioso!

Mancava mezz'ora alle cinque e Francesco era visibilmente impaziente, forse sperava di ricevere la nuova play station, magari con qualche gioco che avrebbe potuto mostrare ai suoi amici di scuola... 
Poi finalmente, mio padre si alzò dalla sedia, in silenzio e fece cenno di seguirlo. Salimmo in macchina. Guidò per venti minuti, nel traffico di Legnano... lungo la strada semafori rossi, fabbriche, persone in bicicletta, alberi grigi lungo i viali... poi un cartello: Gorla, indicava la nostra destinazione. Eravamo arrivati!

Di colpo mi tornò in mente il volto del vecchio signor Peppino, la sua voce, i suoi racconti e un'idea pazza, per un attimo, mi passò per la mente.
Mio padre si fermò di fronte ad un giardino che conoscevo bene. Scendemmo dalla macchina in silenzio, ci dirigemmo verso il vecchio cancello grigio e li ci fermammo. Mio padre pronunciò il nome a voce alta, secondo un rituale antico, che ben conoscevo... attendemmo alcuni secondi, come tanti anni prima, finché ad un cenno entrammo nel giardino. Francesco corse avanti, come se si trovasse a suo agio, d'altra parte stava per ricevere il suo regalo di compleanno...
Un vecchio dalla pelle scurita dal tempo stava sulla porta e ci aspettava, ci accolse cordialmente, ci offrì una sedia e un bicchiere d'acqua fresca... 

Poi, cominciò a raccontare...  

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 febbraio 2011

Fantasmi dal passato...

“I capelli!”
La voce era uscita spontaneamente dalla sua bocca, aveva quasi urlato! Ma tanto che importava, non c’era nessuno in casa…
“Diamine, stavo dimenticando l’appuntamento col barbiere!”
Poteva urlare quanto voleva adesso! Nessuno si sarebbe lamentato. Erano passati tanti anni da quando la moglie l’aveva lasciato portandosi appresso i suoi due figli…
“Sono già le sette, spero di fare in tempo. Le odio, queste cene di beneficenza. Mi fanno perdere un sacco di tempo ma pare facciano bene alla mia immagine.”
Immagine…allora non si preoccupava dell’immagine quando picchiava la moglie. Non se ne preoccupò neanche quando la mandò all’ospedale con una gamba rotta perché aveva preso le difese del piccolo Arthur! Ma adesso era diverso, ora era un uomo importante oltre che ricco e così doveva curare la sua immagine…
“Fortunatamente è giusto qua, dietro l’angolo, sono quasi arrivato.”
Quella volta stava per essere denunciato ma, si sa, i soldi possono tutto! Così se l’era cavata ancora.
“Maledizione! Chiuso per lutto, non è possibile!
E ora?”
E si, se l’era cavata! Quando la moglie rientrò dall’ospedale lui era fuori per lavoro, i bambini erano con la domestica. Lei prese le suo poche cose e i suoi bambini e sparì nel nulla. Lui avrebbe potuto ritrovarla forse, ma non se ne occupò minimamente. La sua ritrovata libertà lo affascinava! Non si preoccupò neanche dei figli, pesi inutili!
“Guarda là che fortuna, quell’insegna è nuova!”
I bambini avevano sette e nove anni, Arthur era il più grande. Presero il treno delle sette per Liverpool. Non tornarono mai più indietro! Lei trovò alloggio in un quartiere malfamato, sotto falso nome. Trovò anche un lavoro come cucitrice in una grossa fabbrica di tessuti. Lavorava sedici ore al giorno in un ambiente malsano, morì due anni dopo di polmonite, lasciando i due piccoli senza speranze.
“Barberia. Certo che per essere nuova è abbastanza strana, sembra antica!”
Arthur fece quello che era in suo potere per accudire Jimmy, si trovò un lavoro e rientrava a casa a notte fonda. Jimmy non faceva che piangere per la morte della madre e un bel giorno ne morì!
“Non ho tempo da perdere, l’importante è che ci sia un barbiere dentro!”
Dopo la morte di Jimmy niente era più importante per Arthur eppure continuò a vivere a Liverpool per anni, lavorando e crescendo…
“Ragazzo! Barba e capelli…e sbrigati che ho molta fretta!”
Poi un giorno, leggendo il giornale vide una sua foto! Il padre era in lista per ricoprire una altissima carica ed era dato per vincente! Chissà se era cambiato! Non provava odio, ma solo terrore! A causa sua era morta la madre e il fratello, era un Mostro!
“Ragazzo! Ho detto che ho fretta… cosa aspetti a servirmi?”
“Mi scusi signore, arrivo subito!” Prese l’ampolla dell’acqua per bagnare i capelli e con gesto maldestro versò alcune gocce sulla giacca del cliente.
“Che diamine combini! Deficiente d’un garzone.”
“Ma è solo acqua signore, l’asciugo subito”
“Pensi forse di cavartela così? Io ti rovino, ti distruggo. Dov’è il tuo padrone?”
Non era cambiato, ora ne aveva la prova! Fu una questione di un attimo, la lama affilata del rasoio penetrò in profondità nella morbida pelle del collo del padre! Un fiotto di sangue sgorgo e andò ad imbrattare la camicia candida. In un ultimo gesto sollevò gli occhi e vide in faccia il suo assassino!

“Ciao Papà!”

L’orrore gli riempì l'anima...

L’inferno lo aspettava!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 6 febbraio 2011

Fantasmi... e altri racconti



Cari amici,


oggi vi presento il mio primo libro, appena pubblicato.


Il titolo é: Fantasmi... e altri racconti


e credo si capisca di cosa parli.


Vi potrete trovare i miei racconti preferiti, scritti in questi ultimi anni.



Se invece volete solo leggere i racconti ecco il link per scaricarvi gratuitamente il file pdf:

Fantasmi e altri racconti pdf

e se vi piace, siate generosi!

Se invece non potete fare a meno di aggiungere il volume alla vostra biblioteca, potete acquistarlo su:

Fantasmi e altri racconti - ACQUISTO



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 23 gennaio 2011

Sogni, ombre e fantasmi...

Come tutti i miei sogni non ha un inizio e non ha una fine.

Mi trovo in un mondo parallelo, nato dalla mia fantasia, o da casuali impulsi fisico chimici tra le sinapsi dei miei neuroni?
Che importa?
Ciò che importa é che il sogno esista, in tutte le sue forme... incubi compresi!
Si, forse era un incubo.
Mi trovavo in un ambiente scuro, circondato da esseri fantastici, ombre e fantasmi. 
Ero alla guida di un gruppo di esploratori, forse.

Non é facile ricordare cosa accade in un sogno...

Il piccolo gruppo era composto da me, un bambino piccolo, che chiamerò Francis per comodità, ma non ho idea del suo vero nome; poi c'era qualcun altro o, forse, qualcos'altro. 
Qualcosa di indistinto, un'ombra. Forse un fantasma che ci guidava e aiutava nell'esplorazione di questo nuovo mondo.

Cosa ci facessimo in questo mondo parallelo non lo so proprio, forse é una semplice risposta alla mia voglia di risvegliare la fantasia, intorpidita dal troppo lavoro e dalle esigenze della vita quotidiana, un momento di fuga dalla realtà in un mondo tutto mio; forse qualcosa di diverso, più profondo e non ancora pienamente compreso.
Fatto sta che il sogno c'è stato e, cosa ancora più importante, ricordo qualcosa, anche se solo sprazzi di lucidità, immagini evanescenti, che emergono dal tunnel di quel mondo parallelo.

Ecco, ci troviamo in una grotta buia. 
Di fronte a noi si aprono innumerevoli caverne oscure e altre, poche, più luminose. 
Tutte però riccamente popolate di esseri strani e fantastici. 
Talvolta si percepisce la loro malvagità in uno sguardo sfuggente... altre volte sembra che soffrano, come noi esseri umani.

Un enorme bruco semi trasparente ci sorpassa, grande come un camion (improbabile come un millepiedi con le scarpe!) e prosegue sulla sua strada gettandoci un'occhiata sorpresa, come se l'unica cosa strana fossimo proprio noi!

Intravvedo in lontananza una figura lucida, bianca, circondata da altri esseri piccoli e scuri... un fantasma, mi dico nel silenzio di quei luoghi. 
Si, infatti non si sentiva alcun rumore e anche le parole che scambiavamo all'interno del gruppo non erano parole ma assomigliavano più a pensieri... altri impulsi casuali?

Quella figura lontana era cattiva o almeno così mi apparve, aveva gli occhi rossi e, si sa, un essere bianco e con gli occhi rossi non può che essere malvagio!
Non era solo, sembrava a capo di quegli esseri scuri e gobbi, che ci guardavano di traverso.
Chissà cosa passava per le loro menti, forse pregustavano il momento in cui si sarebbero nutriti di noi? Non lo so.

L'ambiente di colpo cambiò radicalmente e noi ci trovammo in un'ampia grotta leggermente in salita. Cercavamo di farci strada in mezzo ad una fitta coltre di coperte... e si, proprio coperte, lenzuola, copri letti e cuscini! Che cosa ci facessero in una grotta non saprei dire, ma si sa, un sogno é un sogno!

Immediatamente, come per magia, venimmo trascinati via con forza. 
Ci sentimmo levitare nello spazio scuro, come trascinati da una forza immensa, tra pareti scure di impossibili palazzi opera di un improbabile onnipotente architetto.

Tutto era buio e silenzioso poi, come d'incanto, un motivetto canticchiato da chissà chi sembra rallentarci... inizio a fischiettare anch'io, consapevole che sarebbe stata la cosa giusta da fare.
così mi sveglio!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 3 giugno 2008

Tagliare i costi si può

Ragioniere, domani abbiamo la riunione del Consiglio di Amministrazione, Questo è il bilancio previsionale per l'anno venturo... l'ho controllato diverse volte ma ancora non va bene, dobbiamo abbassare i costi...
Veda cosa può fare. Per domani voglio vedere le modifiche... prima della riunione chiaramente!

Certamente signor Direttore. Vedrò di fare il possibile, anche se sarà difficile ottenere delle ulteriori economie... Le ricordo che io stesso ho elaborato il bilancio...

Si, lo so, ma le spese sono ancora elevate... dobbiamo abbassare i costi generali fissi, non abbiamo altre possibilità!

Ma, signore, i costi fissi non sono ulteriormente comprimibili, ne sono certo...

Si sbaglia, le dico!

Mi spiace ma sono sicuro, non è possibile far niente...

Guardi, glielo dimostro...
lei è licenziato!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Vivere o morire?

Testamento biologico?!
Di che cosa si tratta?!?
Non ne ho mai sentito parlare cara...

Certo, sei sempre al lavoro, scommetto che è anni che non senti un telegiornale... a casa non stai mai con me a vedere la TV!

Ma cara, lo sai, il mio lavoro...

Certo, certo, non hai tempo, lo so!
Ma pensi forse che la vita duri per sempre?
E se ti accadesse un incidente?
E se restassi paralizzato per tutta la vita? Eh?!?
Dimmi, che faresti? Scommetto che cercheresti il modo di lavorare lo stesso!

Ma cara...

Cara, cara, cara... non sai dire altro?!?
Sono stanca, stufa... cerca di vivere... basta!
Devi scegliere, o me o il lavoro!

Ma cara, che c'entra ora... dai, su, che dici... ti prometto...

Prometti? Tu prometti?
E come, di grazia, come l'ultima volta forse?
La settimana scorsa... ma che parlo a fare, dalla faccia si capisce che neppure ricordi che tuo figlio aveva i colloqui a scuola... ma tu eri al lavoro!
Oppure prometti come la volta prima... dovevamo passare il fine settimana da tua madre... poverina lei che ci ha creduto! Ma a te che interessa... tanto poi ho dovuto chiamarla io per dirle che non andavamo più! Era il suo compleanno e sai quanto sia sola dopo la morte di tuo padre... si è messa a piangere... E tu, tu, dov'eri?!?
Ancora al lavoro... e per cosa poi? Siamo forse ricchi?!?
Non mi sembra...

Ti prego cara, non fare così, non piangere...

Hai ragione, per una volta... non devo piangere, devo essere forte... e se devo essere forte, allora ne deve valere la pena. Sai che ti dico? io me ne vado da mia madre! Il bambino viene con me, tu intanto rifletti... se puoi...
Fammi sapere, ma non aspettare troppo...

Ma dove vai... torna indietro... piove...

Ecco, signor giudice, quella fu l'ultima volta che parlai con mia moglie. Uscendo di casa prese la macchina e, con nostro figlio, si diresse verso la casa della madre che abita qualche chilometro più a valle. A metà strada finì sul guardrail, da allora è in coma... Il bambino se l'è cavata ma lei ha subito un grave trauma cranico ed è ancora in vita solo grazie alle macchine e alle cure mediche. Se si rispettassero le sue ultime volontà, come scritto sul suo testamento biologico, lei morrebbe. Ed è questo che io chiedo, è questo che io e mio figlio chiediamo, signor giudice... che vengano rispettate le ultime volontà di mia moglie... Se pure dovesse riprendersi, i medici sostengono che la sua vita sarebbe quella di un vegetale... che richiederebbe assistenza continua da parte mia e di mio figlio... e, capisce signor giudice, come la cosa sia impossibile... sa, signor giudice, io non posso... devo lavorare!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 24 maggio 2008

Il ritorno...

Scrivevo da anni sul gazzettino del paese, solitamente mi occupavo di cronaca ma certe volte mi capitava di intervistare qualche compaesano famoso... il sindaco, il prete... oppure il Comandante della locale stazione dei Carabinieri...
Qualcuno potrebbe pensare che il lavoro di un giornalista di paese sia noioso e, diciamo così, insulso... e, fino a quel momento anch'io la pensavo così!
Poi però qualcosa cambiò.
Un giorno si trasferì da noi un distinto signore, che chiamerò il signor P., di mezza età, ben vestito, gentile con tutti e molto riservato.
Comprò una vecchia casa nella piazza Roma, al numero 5, e la rimise a nuovo senza badare a spese...
Quando i lavori furono terminati i vecchi del paese, abituali frequentatori dell'unica panchina della piazza, cominciarono a mormorare... e ciò non era normale!
Da buon giornalista mi resi subito conto che qualcosa era accaduto, così un giorno, di buona mattina, mi sedetti su quell'unica panchina e stetti ad aspettare.
Non ci volle molto, infatti alle otto in punto i soliti tre anziani (uno dei quali era allora ultracentenario...) raggiunsero la loro solita panchina. Li salutai e loro mi salutarono quindi senza indugi chiesi di raccontare anche a me le novità del giorno... in cambio di un buon bicchiere di vino, naturalmente!
Ogni buon giornalista ha le sue armi nascoste ed i tre vecchietti erano la mia... già in altre occasioni mi avevano fornito notizie interessanti che poi avevo pubblicato sul giornale... ma questa volta sarebbe stato diverso, me lo sentivo...
Si guardarono in faccia, dritti negli occhi che ancora rilucevano tra le rughe profonde... poi abbassarono lo sguardo, immersi nei loro pensieri...
Io aspettavo in silenzio, avevo fatto la mia richiesta e ora non mi restava che aspettare, sapevo che sarebbe stato inutile insistere, anche loro avevano i loro tempi... se avessero voluto raccontarmi qualcosa l'avrebbero deciso loro e se non avessero voluto... beh, c'era poco da fare!
Passammo mezz'ora così, in silenzio, nessuno si muoveva ne parlava... passò ancora mezz'ora, li guardai... erano immobili e non sembrava avessero alcuna intenzione di parlare... peccato, pensai...
Mi alzai, salutai e mi voltai come per andarmene...
"Sezzidia!"
La voce era quella profonda di tziu Terenziu, il più anziano...
Ripresi il mio posto e attesi in silenzio... passarono altri dieci minuti, poi tziu Terenziu cominciò a parlare.
"Tu sei giovane e forse non puoi capire, forse non crederai a quello che ti dirò, ma sappi che è tutto vero...
In quegli anni io ero piccolo, avrò avuto dieci 0 dodici anni al massimo. Tutte le mattine venivo in questa piazza e mi arrampicavo lassù, tra i rami di quell'albero di limoni, lui era già vecchio allora. Mi appollaiavo tra quei rami come un gatto e aspettavo che arrivassero i miei amici per giocare a "pettiasa e cariccia"...
Quella mattina però non arrivava nessuno e io stavo per andar via quando vidi arrivare i grandi, da tutto il paese, armati di bastoni e forconi per il fieno...
Si fermarono in silenzio di fronte alla casa che tu vedi ora rimessa a nuovo. Il più vecchio del paese, tziu Antòi, uscì dal gruppo e poggiato a terra il bastone raggiunse la porta della casa, sollevò il pesante batacchio e colpì più volte. I colpi risuonarono per tutta la piazza, cupi nel silenzio più totale... poi tziu Antòi tornò al suo posto e aspettò...
Pochi minuti dopo la porta si aprì e ne uscì un uomo di mezza età, ben vestito, dalla voce gentile... li guardò in silenzio e loro guardarono lui... non c'era bisogno di parole ed infatti nessuno parlò! L'uomo di mezza età tornò in casa, senza chiudere la porta.
Passarono dieci minuti, credo, quando si ripresentò aveva con se solo una vecchia bisaccia di pelle sulle spalle ed un bastone nodoso nella mano sinistra...
Uscito, chiuse la porta alle sue spalle con una grossa chiave e si diresse verso la folla... mentre passava la gente faceva largo e abbassava lo sguardo come se si vergognasse...
Nessuno disse niente per tutto il tempo e, come erano arrivati, in silenzio tornarono alle loro case...
Poi arrivarono i ragazzi e giocammo a pettia e cariccia... come se niente fosse accaduto!
Ne è passato di tempo da allora, saranno novant'anni, e io sono diventato vecchio senza più pensare a ciò che avevo visto, senza capire cosa fosse accaduto, senza mai più rivedere quell'uomo. Nessuno si avvicinò mai alla casa, che invecchiò con me, e i protagonisti di quella vicenda stanno tutti molto meglio di noi. Poi due mesi fa è arrivato in paese il signor P. E' sceso da un tassì e si è diretto verso la vecchia casa, ha aperto la porta con la stessa grande chiave con qui era stata chiusa novant'anni prima ed è entrato... Io ero seduto in questa panchina e ho visto tutto, come novant'anni prima...
La stessa chiave, la stessa casa, la stessa persona...
Tziu Terenziu aveva finito il suo racconto... mi fissò per un attimo e poi abbassò lo sguardo. Mi alzai, salutai e andai via.
Il racconto mi aveva colpito e inquietato... secondo tziu Terenziu il signor P. era la stessa persona che novant'anni prima aveva lasciato il paese... assurdo! Pensai.
Passai dal bar e lasciai pagato il vino, convinto di aver buttato i miei soldi...
Il tempo passò, tziu Terenziu raggiunse i suoi avi alcuni anni dopo, alla veneranda età di cento sei anni e il signor P. continuava la sua vita ritirata... Poi anch'io sono invecchiato, oggi compio ottant'anni e non scrivo più sul Gazzettino del paese. Da qualche anno ho preso il posto di tziu Terenziu sulla panchina di piazza Roma e tutte le mattine saluto il signor P., quando alle 07.30 in punto esce per andare a fare colazione al bar, l'unico bar del paese...
Il tempo passa per tutti ma il signor P. è sempre il distinto signore di mezza età, ben vestito e gentile con tutti, sempre uguale al primo giorno che l'ho visto attraversare la piazza del paese per entrare nella sua vecchia ritrovata casa...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

giovedì 30 agosto 2007

Nebbia...

Si muoveva per la città veloce, silenziosa, strisciante e fredda, come la morte...

Le luci contribuivano non poco a render tetro il paesaggio.
Quella luminescenza verdastra che si diffondeva nell'aria avanzava con l'avanzare di quella strana nebbia...
Capitava spesso che la nebbia scendesse a valle dalle colline che circondavano il paese, eppure non era mai stata cosi...
Non so come descrivere quella strana sensazione.
Tutto sembrava impregnato di morte.
Le vie erano deserte e il silenzio quasi assoluto, rotto solo da qualche sempre più raro ululato di cani ormai selvatici...
Guardai il cielo...
non c'era la luna e le stelle, quelle poche che ancora si vedevano, erano circondate da quella foschia opaca e irreale, come fossero sul punto di spegnersi e morire anche loro.
Tutto era freddo e silenzioso, così irreale nella sua terribile realtà, così diverso dal chiasso di qualche giorno prima.
Ricordo ancora le strade affollate, il rumore delle auto in corsa, la gente che si ferma di fronte ad una vetrina.
Troppa gente - penso - che ci sarà di tanto interessante?
Ricordo di essermi avvicinato anch'io, incuriosito da tante grida di stupore...
Ricordo quel televisore sintonizzato su un telegiornale e le parole del cronista, incredibilmente cariche di preoccupazione:
"Sembra che sia nuovamente guerra, tra le grandi potenze..."
e poi più niente, il segnale era sparito!
Per un attimo il silenzio irreale della morte ci pervase.
Poi il silenzio si trasformò in consapevolezza e la consapevolezza portò con se il terrore...
Fu questione di istanti, il cielo si fece bianco, poi luminescente... accecante.
Si alzò un vento caldo che sapeva di morte, che veniva da lontano... poi da vicino... ... puzza di carni bruciate.
La gente cominciò a morire subito dopo.
La stessa sorte toccò ad animali e piante.
Erano bastati pochi giorni per sterminare sette miliardi di esseri umani, ben poca cosa, comunque, rispetto le perdite della Natura.
Poche eccezioni si muovevano lentamente per quelle lande ora deserte, in attesa del loro destino.
Ora tutto poteva ricominciare, lentamente, ancora una volta, e chissà a chi sarebbe toccata stavolta la corsa all'evoluzione...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO