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sabato 21 aprile 2018

40 gradi celsius, 45 percepiti!

Mi chiedevo cos'era accaduto al mio spirito d'avventura!

Si, è vero, forse si trattava della logica conseguenza dell'età che avanzava, forse era quella strana malattia che i filosofi hanno definito variamente: ozio, poltronite, apatia, morte dell'anima...
Qualunque fosse il motivo mi rendevo conto di essere cambiato e questo era un dato di fatto.

Tutto ebbe inizio qualche anno prima, non ricordo quando di preciso ma ricordo che era una sera di mezza estate. 
La temperatura era sufficientemente alta da essere fastidiosa anche dopo il calar del sole. In città l'afa era terribile e i 40 gradi diventavano "47 gradi percepiti", com'era invalsa la moda di dire. Come venissero calcolati i gradi percepiti era però un  mistero, come era un mistero chi fosse colui che "li percepiva".

Ebbene, quello ero io!

Lavoravo da tempo per una rete televisiva nazionale, la più importante che vi fosse in Italia tra le reti private e amavo il mio lavoro.
Io mi occupavo di portare da bere e da mangiare a quelli che andavano sul teleschermo. Quando avevano sete o fame mi chiamavano e io, di corsa, raggiungevo il bar più vicino allo studio e tornavo indietro con l'oggetto del desiderio del tale giornalista o del talaltro presentatore o ancora della talaltra valletta televisiva.
Uscivo di corsa e tornavo di corsa, trafelato e spesso sudato, soprattutto in estate, ma nessuno si curava di me. Io ero semplicemente "quello delle commissioni", oppure il "ragazzo".
Erano in pochi a conoscere il mio nome ma in tanti avevano preso l'abitudine di chiamarmi con un nomignolo preso in prestito (neanche a dirlo!) da uno spot pubblicitario, per cui io ero ormai "Ambrogio".

Un giorno una presentatrice famosa (non vi posso dire il nome ma vi posso dire che era veramente una diva!) mi chiamò.
- Ambrogio... cortesemente un'acqua frizzante.
Partii come mio solito e qualche minuto dopo ero di nuovo nello studio, con la sua bella bottiglia d'acqua frizzante.
Gliela porsi e stavo per andar via quando la diva mi fermò e mi porse il suo fazzoletto:
- Tieni Ambrogio - disse - asciugati la fronte, sei tutto sudato.
La guardai e ringraziai con lo sguardo.
- Ci sono 40 gradi la fuori, aggiunse lei...
Ed io quella volta non riuscii a fare come avevo sempre fatto, cioè ringraziare e allontanarmi.
La guardai fisso negli occhi e risposi: 
- Saranno pure 40 ma io ne ho percepiti 45!

Lei mi guardò stupita, come di chi si accorgesse per la prima volta di avere a che fare con una persona in carne ed ossa e non con un robot.
Stavo già per allontanarmi, pentito di aver parlato, di aver osato interrompere la regina della televisione con le mie stupide battute da bar. Già pensavo che quella battuta mi sarebbe costata cara. Mi vedevo di fronte al mio capo che sbraitava che non mi dovevo permettere, dove credevo di essere eccetera eccetera... fino alla logica conseguenza... L I C E N Z I A T O... lei è licenziato!

- Ambrogio...

Ecco, pensai, ora inizia a urlare...

- Ambrogio, scusa, puoi ripetere ciò che hai detto?

Lo sapevo, pensai, ora vuol sentire nuovamente la mia battuta per sbattermela in faccia. Poi inizierà ad urlare... poi...
Ero sbiancato in viso e quasi non respiravo più. Forse anche a causa del caldo... 

- Ambrogio, stai bene? Per favore puoi ripetere ciò che hai detto? Ripeté la signora.

Mi feci coraggio. Ormai il danno era fatto. Era inutile attendere oltre, l'avrei solo indispettita ulteriormente.

- Si signora - biascicai con un filo di voce - ho detto che saranno pure 40 gradi la fuori, ma io ne ho percepiti 45!
Le chiedo scusa signora, non volevo importunarla... chinai lo sguardo e feci per allontanarmi.

- Ambrogio, insistette lei, fermati un attimo. Noi non abbiamo mai parlato, ma tu sei qui da così tanto tempo che a volte ti considero come l'arredamento...

Ecco, pensai, ora mi butta fuori, come un letto vecchio quando si cambia arredamento! Peggio per me, linguaccia lunga maledetta...

- Ambrogio, ma poi ti chiami veramente Ambrogio? 
Il tuo accento mi è sembrato romano e non ho mai conosciuto un romano con questo nome. Dimmi, come ti chiami?

- Mi chiamo Pietro, signora. Dissi con voce quasi normale. Se mi avesse voluto cacciare l'avrebbe già fatto, pensai.

- Pietro, posso chiederti una cortesia?

- Mi dica signora, per Lei qualunque cosa...

- Allora d'ora in poi, quando leggerò le previsioni del tempo della città di Roma ti chiedo la cortesia di uscire a prendermi l'acqua fresca e, al tuo ritorno mi dirai qual'è la temperatura percepita nel percorso. 
Naturalmente riceverai un compenso aggiuntivo per il tuo servizio.

- Naturalmente Signora, nessun problema...

Così da quel giorno era cambiato tutto. 
Io ero diventato Pietro e non più Ambrogio, che mi stava pure antipatico come nome, avevo avuto un aumento di stipendio e si sa, di soldi non ce n'è mai abbastanza e in più la mia battuta era diventata famosa.

Ora si sente spesso dire: 40 gradi ma 46 percepiti, oppure 2 gradi ma - 4 percepiti.

Beh, ora sapete anche che quello che li percepisce sono io, anche se da allora ne ho fatto di strada e l'acqua frizzante per la signora e per me ora la porta un ragazzo nuovo appena arrivato, che se non sbaglio si chiama Ambrogio...

Alessandro Rugolo

venerdì 17 marzo 2017

Il fantasma della libreria...

Molto spesso capita di perdermi nei meandri di una libreria...
luminosa o impolverata non ha grande importanza!
Ciò che importa é che vi sia un angolo riservato alla storia, alla filosofia ed ai classici greci e latini... il mio angolo!

"Ha... ha... continua così nonno... mi fai ridere... "

Ti faccio ridere?!?
Ma se non ho ancora iniziato...
E poi questo non é un racconto comico, bensì un racconto molto antico...
e c'é veramente poco da ridere... anzi, ci sarebbe da aver paura!

"Ma io dicevo per la faccia che hai fatto...
sei proprio comico quando fai quel sorrisino beffardo... sembri uno di quei clown nani che si vedono nei film dei cavalieri!
E poi, mio caro nonnino, sei poco serio per raccontare qualcosa di brividoso..."

Ma davvero?
Dovrai ricrederti piccola mia...
ascolta in silenzio, vedremo se le mie parole non ti faranno accapponare la pelle!

"Si dai, nonno...
fammi accapponare la pelle!
Però aspetta un attimo...
Mamma ci porti qualcosa da sgranocchiare?
E anche un pò d'acqua fresca... perché seduti qui, vicino al caminetto, si muore di caldo..."

Bene, visto che ora siamo pronti posso iniziare... anzi, continuare!

Era quasi l'ora di chiusura della libreria del mio amico Mario, quella vecchia libreria che si trova, ora chiusa, all'ingresso del paese, vicino alla piazza con il cavallo, giusto per farti capire...
e come al solito mi trovavo di fronte allo scaffale dei classici greci e latini...
e più che cercare qualcosa in particolare passavo il tempo a sfogliare i volumi più vecchi e impolverati quando...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 14 maggio 2014

Scarafaggi

Questa è una storia diversa dalle solite.
Non inizia con il solito "C'era una volta..." e non finisce con il matrimonio tra un principe ed una principessa stregata.
E' una storia diversa perché è una storia vera, anche se già so che nessuno di voi, dopo averla letta, lo crederà possibile. Ma siccome non ho più niente da perdere, perché non raccontare tutta la verità?
Tutto cominciò un maledetto giorno che mi farebbe piacere poter cancellare. Peccato che ciò non sia possibile!
Quella notte non avevo dormito bene. La sera prima avevo mangiato troppo e forse la digestione difficile era stata la causa dell'insonnia prima e degli incubi poi. Mi ero svegliato diverse volte nel cuore della notte tutto sudato e tremante, urlando.
Ricordavo un'ombra nera che mi inseguiva. Io correvo in un bosco di antiche querce che aveva qualcosa di sinistro. Mentre scappavo mi trovavo di colpo immerso in una pozza di fango e foglie. Ma il fango era rosso e appiccicoso, come il sangue. Mi sembrava di sentire ancora l'odore delle foglie in decomposizione misto al sangue rappreso. L'odore della morte.
In mezzo al fango galleggiavano teste di animali morti. Insetti e enormi scarafaggi mi circondavano e poi si arrampicavano sul mio corpo fino a che non mi svegliavo urlando.
Era stata una notte difficile.
La mattina mi alzai alla solita ora, mi infilai nella doccia per cercare di svegliarmi. L'acqua tiepida sulla pelle era piacevole e ricordo che pensai che sarebbe stata una bella giornata, nonostante gli incubi.
Uscii di casa per recarmi in ufficio, come tutte le mattine. Lungo la strada mi fermai a fare colazione al solito posto. Al bar ordinai un caffè bollente al banco.
Mentre sorseggiavo il caffè due ragazzi si sedettero vicino a me. Ordinarono due caffè e cominciarono a parlare in rumeno. Parlavano liberamente, non pensano che qualcuno potesse capirli. Io però capivo tutto, eredità di mia madre!
Parlavano in fretta e a voce bassa. Parlavano di qualcosa di urgente da fare. Non potevano mancare all'appuntamento. Dovevano prendere un pacco e consegnarlo ad una certa ora. Il più giovane era agitato, sembrava su di giri.
- ...e poi Buum! Erano state le sue ultime parole.
Mi alzai indifferente e pagato il caffè mi allontanai. I due avevano cattive intenzioni.
Forse dovrei andare alla polizia, pensai. Guardai l'orologio, era tardi. A qualunque cosa si riferissero non erano certo problemi miei. Ne avevo già abbastanza per mio conto. Che facciano quello che vogliono e vadano al diavolo. Non ho tempo per loro.
Arrivai in banca nel giro di pochi minuti. Il mio capo era all'ingresso e appena arrivato mi chiamò in disparte.
- Oggi abbiamo un cliente speciale Jonny, vorrei che te ne occupassi tu. Mi disse sorridendo. - Si tratta di un attore famoso che ha deciso di aprire un conto da noi. Mi raccomando, è un cliente importante e deve essere tutto perfetto.
- Naturalmente, grazie per la fiducia signore. La giornata si metteva bene! Pensai. Un nuovo cliente al mio portafoglio. Non capitava tutti i giorni.
Alle 14.00 arrivò il mio cliente speciale. Fu servito e riverito come si fa in questi casi e tutto andò per il meglio. Il capo era soddisfatto e io anche di più. La giornata si era decisamente messa bene nonostante l'inizio.
Ancora un'ora e la banca avrebbe chiuso. Non vedevo l'ora di tornare a casa.
Strinsi la mano al mio facoltoso cliente e lo invitai a venirci a trovare spesso. La sua mano era fredda, gelata. Non so per quale motivo pensai alla morte. La sua morte. La sua mano...
Di colpo l'incubo mi tornò in mente, più vivido che mai! Era come se mi trovassi immerso nel sonno, le foglie, gli insetti, il sangue appiccicoso... cercai di scuotermi, non era vero, era solo un incubo!
In quel momento due ragazzi entrarono in banca. Mi sembrava di conoscerli. Erano vestiti diversamente ma non avevo dubbi, si trattava dei due giovani rumeni incontrati al bar la mattina.
Uno di loro, il più giovane, poggiò la borsa che aveva sulle spalle in terra, estrasse una pistola da sotto il giubbotto e cominciò ad urlare frasi sconnesse.
I clienti della banca si erano buttati a terra e io ero li, bloccato, dall'odore delle foglie e del sangue che come nell'incubo sembrava ricoprire tutto e tutti.
Ci fu un'esplosione... buum! Aveva detto la mattina. Ma non erano problemi miei, come potevo sapere... come potevo immaginare...
Un'ombra nera sembrò calare su di me. Vedevo sangue dappertutto e poi svenni.
Da allora sono passati due mesi, io ora occupo stabilmente il letto numero 6 della clinica. Stabilmente... e si!
Nell'esplosione avevo perso le braccia, le gambe, l'udito e un occhio, però me l'ero cavata.
Dovevo ringraziare Dio, mi dicevano i medici. Al mio cliente speciale non era andata altrettanto bene. Era morto sul colpo e brandelli del suo corpo erano sparsi per tutta la banca. Sembrava il set di un film dell'orrore, mi dissero.
I due giovani erano morti anche loro. Avevano lasciato un video messaggio in cui annunciavano al mondo la nascita di una nuova organizzazione terroristica, il loro simbolo era un animale, uno scarafaggio insanguinato. Uno scarafaggio...
Forse, quella mattina sarei dovuto andare alla polizia, ma ormai era tardi per recriminare potevo solo continuare a pensare e sognare. Ogni notte un nuovo incubo tornava a trovarmi, ma quello si, non era un problema mio... oramai!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 29 aprile 2014

Borametz

- Ecco, siamo arrivati!
 
Le parole erano giunte piacevoli alle orecchie degli uomini del gruppo. Si tolsero gli zaini dalle spalle e li poggiarono sulle rocce assolate. Di fronte a loro un piccolo pianoro, dietro di loro il baratro che avevano appena scalato. Davanti a loro, oltre il pianoro che si estendeva per alcune decine di metri, una enorme vallata verde, ricca di corsi d'acqua e di piante, senza alcuna traccia della civiltà!
 
- Ora possiamo riposare. Mettete tutti gli zaini sulle rocce, non lasciateli a terra. Josè, Mario, montate le tende. Juan, prepara il fuoco. Noi invece vediamo se riusciamo a trovare dell'acqua fresca, con tutte queste rocce ci sarà pure una sorgente. Alejandro era abituato a comandare e i suoi uomini erano abituati ad obbedire. Si conoscevano da tempo e avevano tutti piena fiducia nelle sue doti di condottiero. Era il capo indiscusso, l'amico fedele, il fratello maggiore e il padre severo. Era giusto e per questo lo seguivano.
 
Il campo fu pronto nel giro di pochi minuti. La legna secca raccolta aveva dato vita ad un focolare improvvisato. Acqua fresca era stata raccolta e patate arrostivano tra la cenere. Il cielo era diventato rosa e poi sempre più scuro. La notte scendeva fredda ma le tende li avrebbero riparati dall'umidità. Il giorno dopo sarebbero ripartiti nella direzione che Alejandro avrebbe loro indicato.
 
- Alejandro!
 
La voce era forte, sempre più forte, come se il lungo viaggio avesse accorciato la distanza che lo separava.
Le parole erano solo nella sua testa ma per lui era come se fossero reali. Risuonavano, consigliavano, ordinavano, aiutavano lui e la sua tribù. E non si poteva dubitare, tutto ciò che veniva lui detto subito si realizzava.
 
- Alejandro, non c'è più tempo! Domani mattina dovete riprendere il viaggio.
 
- Sarà fatto! Rispose nella sua mente. L'indomani mattina sarebbero ripartiti per il loro viaggio.
 
La notte passò veloce e serena come le notti di chi è stanco per il lungo cammino. senza sogni.
 
- Andiamo, dobbiamo riprendere il cammino! Disse Alejandro svegliando i suoi uomini. ritirate le tende e pronti a partire tra mezz'ora.
 
- Mario, prendi con te due uomini e fate provvista d'acqua per due giorni, non potremo fermarci più. Non c'è più tempo!
 
- Va bene Alejandro. Rico, Marcelo, prendete due otri a testa e venite con me. La piccola squadra si diresse verso la sorgente poco lontana.
 
Trenta minuti dopo tutti erano pronti. Gli uomini erano stanchi ma tutti sapevano che la loro missione doveva essere compiuta e solo Alejandro aveva la forza per farlo. Erano in viaggio da trenta giorni ormai ed erano vicini alla fine. Poi il ritorno, se ci fosse stato ritorno, sarebbe stato più tranquillo. Senza più fretta. Ma ora dovevano muoversi. Alejandro diceva che non c'era più tempo e nessuno metteva in dubbio la sua parola.
 
- Abbiamo ancora due giorni di viaggio ma non potremo fermarci. Mettetevi in tasca delle patate cotte ieri sera e prendete l'acqua che vi servirà per il viaggio. Prendete queste foglie. Quando sarete stanchi e penserete di non riuscire più ad andare avanti masticatene una. Solo in quel caso. Solo se proprio non riuscite ad andare oltre.
 
Alejandro si girò e cominciò a scendere sul lato opposto della montagna, verso la vallata verde che si apriva davanti a loro.
La strada non esisteva, veniva aperta passo dopo passo tra la vegetazione bassa e spinosa. Arbusti mai visti prima li circondavano, la vegetazione era lussureggiante nonostante l'altitudine.
 
Arrivò il mezzogiorno, arrivò la sera.
 
Alejandro non accennava a rallentare, mise in bocca l'unica patata che aveva tenuto per sè, la masticò con calma, ben sapendo che sarebbe stata l'ultima.
 
Arrivò la notte, arrivò la mattina.
 
I suoi uomini erano stanchi, li sentiva arrancare alle sue spalle, li sentiva affannarsi dietro il suo passo sicuro. sentiva le loro forze venir meno ma non poteva far niente per loro. Tutto ciò che era in suo potere era già stato fatto. Ora toccava a loro, ad ognuno di loro, cercare nel proprio essere le forze per arrivare alla fine. Lui non si sarebbe più fermato per nessun motivo e loro lo sapevano. Erano consapevoli dei rischi.
 
Arrivò il mezzogiorno, arrivò la sera.
 
- Mangiate le vostre patate, se ancora ne avete. Disse Alejandro alzando la voce per farsi sentire da tutti. Domani mattina all'alba saremo giunti alla meta e non vi serviranno più.
 
- Mangiatele ora e cercate di masticarle bene. Non possiamo ancora fermarci.
 
Ogni uomo aveva ricevuto quattro patate per gli ultimi due giorni di viaggio ma le avevano consumate tutte il primo giorno. non restava che l'erba che gli era stata data. Mario prese una foglia, la guardo riponendo in essa tutte le sue speranze e la portò in bocca masticandola lentamente, cercando di sentire ogni sfumatura del suo sapore. L'essenza degli olii che conteneva ebbero un effetto immediato sul suo spirito e sul suo corpo. Ora gli sembrava di avere le ali ai piedi. Non sentiva più la stanchezza. Sarebbe durato?
 
Arrivò la mezzanotte...
 
Mario crollò a terra. Non s'era accorto di niente. Il passaggio dalla vita alla morte era stato istantaneo. Non aveva sofferto e non si era accorto di niente. Gli altri lo scavalcarono senza fermarsi.
 
- Alejandro.... Mario è caduto. Disse Juan dal fondo della coda.
 
- Lo so, ma non possiamo fermarci ora, ci penseremo più tardi. Ora non possiamo fermarci. La voce era forte, come sempre. Solo un leggero tremolio tradiva il suo dispiacere. Ma non potevano far niente per lui. Se aveva preso la foglia non c'era più niente da fare.
 
- Mancano poche ore! Stringete i denti e andiamo avanti.
 
Erano le tre del mattino. Le stelle si allontanavano e la luce del sole mattutino cominciava ad intravvedersi di fronte a loro. Un tonfo annunciò la caduta di un altro dei suoi. Questa volta era toccato a Juan. Anche per lui il passaggio era stato istantaneo. Un istante prima pensava alla sua famiglia, alla giovane moglie che lo aspettava a casa. Al figlioletto Pablo, che un giorno avrebbe forse compiuto il suo stesso percorso. Poi, di colpo, il buoi. Il cuore era scoppiato istantaneamente.
 
Arrivò l'alba.
 
Alejandro proseguiva il suo viaggio. Da un'ora non sentiva più il rumore dei compagni dietro di se. Era rimasto solo. Solo... con la sua stanchezza e con le sue foglie d'erba nella tasca. Il sudore scorreva lungo la pelle. L'odore della sua pelle era forte, era l'odore della stanchezza, della tensione, della paura.
 
- Eccomi, stò arrivando...
 
Di fronte a lui il Borametz, immobile, lo fissava. Era appena spuntato dalla terra e i primi raggi del sole illuminavano la sua lana dorata.
 
- Perdonami Signore, sono arrivato solo io!
 
Disse rivolgendosi al Borametz. Estrasse il coltello sacro che gli fu consegnato tanti anni prima da suo padre che l'aveva ricevuto dal padre. Così era stato per generazioni e così sarebbe sempre stato, Borametz volendo!
 
- Fai ciò che devi! La voce, forte, era rimbombata nella sua testa.
 
- Fai ciò che devi! Ripeteva continuamente.
 
Il coltello brillò alto sulla sua testa, prima di calare sul Borametz con forza. Alejandro recise le quattro zampe con sicurezza, piangendo.
 
Sangue rosso ricoprì la terra a fecondare i semi del prossimo Borametz.
 
Alejandro raccolse il corpo del piccolo agnello vegetale, raccolse il liquido rosso come il sangue nel suo otre vuoto.
Accese un fuoco e arrostì il Borametz sotto la cenere. Poi lo mangiò e tornò indietro al villaggio. Solo... ora poteva pensare al futuro.
Ora era libero...
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 18 dicembre 2013

Parole, soltanto parole...

- Chiare e ben distinte, mi raccomando!
 
Mi dice l'assistente di regia senza guardarmi in faccia. Sono solo una delle tante centinaia di ragazze in fila per il provino, alla ricerca di un posto da doppiatrice.
 
- Legga prima di tutto le due pagine che le daranno l'idea del contesto, si cali nella parte e poi quando le faccio cenno legga la frase che ha sul foglio, quella in neretto.
Cerchi di dare il massimo la prima volta, non c'è un secondo tentativo. Oggi è tardi...
 
Come dire, diamoci una mossa che me ne devo andare a casa. Grazie per l'incoraggiamento, mi verrebbe da dire, ma poi mi trattengo, nel mondo dello spettacolo sono tutti suscettibili e non vorrei che mi cacciassero senza neppure aver provato a leggere la mia frase "in neretto".
 
- Si ricordi di avvicinarsi bene il microfono alle labbra
 
Si, lo so, è il settantaquattresimo provino che faccio!
Pensai, senza aprir bocca. La guardai in faccia sperando che alzasse lo sguardo ma ancora una volta l'assistente di regia mi ignorò, sembrava lo facesse apposta. E poi quando parlava era così impersonale, semprava che parlasse al muro, non ad una persona. Odiosa...
 
- Ha detto qualcosa? Non ho sentito bene...
 
Accidenti!
Che mi fosse sfuggita una parola? E ora? Cosa dovevo rispondere? Forse era meglio far finta di niente... Meglio girarsi dall'altra parte e far finta di non aver sentito. Eppure mi era parso, per un attimo, che mi avesse guardato in faccia, proprio mentre pensavo che era odiosa. Che sfiga! E se mi avesse letto nel pensiero? Ma no, è impossibile, queste cose accadono solo in tv e nei romanzi. Probabilmente avrò mosso le labbra e lei avrà intuito qualcosa. Magari le sono antipatica, come lei è antipatica a me. Se fosse così sono rovinata!
 
- Aspetti un attimo, la regia non è ancora pronta...
 
Che strega, ancora quella voce stridula nelle orecchie. Non la sopportavo proprio. Non vedo l'ora che finisca questo provino, e dire che questa mattina non volevo neanche venire! Che razza di vita, non ne posso proprio più! E se dovessero assumermi come farò? Non credo che la sopporterei tutti i giorni.
 
- Può andare, è il suo momento...
 
Se mi dovessero assumere... avrei fatto di tutto per starle lontano...
 
- Signorina tocca a lei...
 
Se mi dovessero assumere farò di tutto per farla licenziare. Non la sopporto proprio, non la posso vedere ne sentire...
 
- Signorina, legga la sua frase, quella in neretto...
 
Se mi assumono... devono assumermi! Io sono brava, sono la migliore e poi...
 
- Signorina, la prego, non faccia come le altre volte, legga la sua frase!
 
Ormai ho una certa esperienza di provini!
Tutta colpa di quella strega, non la sopporto!
 
- Signorina, la prego, non so più che fare per aiutarla. Dica qualcosa, la prego...
 
Non può andare avanti così!
L'assistente di regia mi guardava dritta negli occhi e parlava, parlava... ma io non la sentivo più. Mi girai come le altre settantatre volte e me ne andai verso la porta, scoraggiata e delusa! Non sapevo se avrei avuto il coraggio di tornare ancora.
Non ne posso più di quella. 
E' tutta colpa sua, mi fa paura come mi guarda,
e poi quella voce...
 
...la prossima volta la uccido! 

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 10 dicembre 2013

Turris Libissonis

Turris Libissonis... l'antico nome di una cittadina in provincia di Sassari, oggi conosciuta col nome di Porto Torres.
Città di mare, porto da sempre, nei primi anni del nuovo millennio aveva vissuto un periodo di crisi a causa della fallimentare politica industriale. Una serie di amministratori incompetenti a tutti i livelli aveva fatto sì che la cittadina si spopolasse.
Nel 2020 contava 15.051 abitanti, nel 2030 era scesa a 12.893.

Poi c'era stata la rinascita, Porto Torres si era ritrovata ad essere una cittadina turistica.
Col tempo aveva sostituito la più nota Alghero ed ora era diventata la meta preferita dei ricchi turisti "mordi e fuggi" di tutto il mondo.
Ma andiamo con ordine.

Tutto ebbe inizio per caso o, forse, per un bicchiere di troppo di quell'ottimo vino prodotto nella vicina cantina di Sella e Mosca, sulla strada per Alghero.
Ricordo ancora quella sera di cinquant'anni fa, eravamo cinque amici, stanchi e un po annoiati. Discutevamo della cena, maialetto arrosto e gamberoni accompagnati da antipasti, dolci e vini tipici del luogo. Serata indimenticabile!
Un goccio di filu ferru barricata, acquavite invecchiata in botte di rovere, aveva aggiunto un pizzico di allegria che non guasta mai, un po' di vitalità ad una serata che rischiava di spegnersi prima del tempo.
E così, tra una parola e l'altra era arrivata l'idea vincente.
In verità era stato Gavino, Gavì per gli amici, a convincerci, con la sua parlantina da istrione, appollaiato sulla sua sedia e con una conchiglia rovesciata a mo' di posacenere al fianco, era un tipo caratteristico, geniale, nel suo piccolo!
Gavì era un "ricco borghese", come amava definirsi lui. Aveva ereditato una piccola azienda agricola e passava le sue ore libere, dopo il tramonto e fino a tarda notte, a piantare alberi sul suo terreno, e noi lo aiutavamo senza capir bene il perché!
Preferiva olivi e querce, ma non si faceva problemi se gli capitava sotto mano qualche albero di frutta, qualche pino o un ontano del giappone (Alnus maximowiczii come teneva a precisare) finito chissà come in Sardegna!
Andava avanti così per mesi, ogni anno degli ultimi dieci anni, ed era già arrivato ad una miriade ma non accennava a smettere. Il terreno allora costava poco, anche a causa della crisi ormai cronica, per cui ogni anno alcuni ettari di terreno incolto si aggiungevano alle sue già cospicue proprietà.
Voleva ricreare un bosco... "un bosco incantato tra le montagne della Nurra"... diceva sempre lui! Come quello che ricopriva l'isola prima dell'arrivo dei Cartaginesi, popolo infido e crudele, che nel V° secolo a.C. aveva distrutto tutte le piante per togliere ai Sardi il sostentamento e la voglia di combatterli. O come era prima che lo sfruttamento dei piemontesi, nel 1800, per farne carbone, trasformasse nuovamente l'isola in una tavola brulla e polverosa.

Un bosco in cui muoversi

"a bordo della sua carrozza,
un metro al di sopra del fango dell'Umanità,
diretto alla sua baita solitaria",

amava canticchiare con voce sommessa, mentre lavorava al suo progetto. Un bosco in cui vivere lontano dal mondo, un bosco in cui passare le ore del suo ultimo tramonto.
Chi poteva dargli torto? Il suo era un progetto in cui credere e noi lo ascoltavamo, incantati, e ogni sera lo aiutavamo ad aggiungere dieci, cento nuovi alberi al suo sogno. Questo finché il lavoro non fu terminato!

Una sera Gavì ci aspettava intorno alla tavola imbandita della sua casa di campagna, in cima alla collina più alta della zona. Ci portò sulla terrazza e ci passò il binocolo che solitamente portava appeso attorno al collo.

- "Guardatevi attorno", disse con soddisfazione.

Il bosco si estendeva a perdita d'occhio, a nord fino il confini della città di Porto Torres, fino al mare azzurro chiaro che bagnava le coste della Nurra, fino ad Alghero ad est. Era un susseguirsi di chiome colorate di mille differenti tonalità di verde, giallo, castano. Alberi di tutte le forme e di tutte le dimensioni si stagliavano contro il cielo e ospitavano ormai una ricca fauna, non più costretta a condividere i pochi cespugli di lentisco.
Il lavoro di una vita era finito!
Dove un tempo c'era solo terra e roccia rossa ora c'era un bosco, con tanto di animali, laghi e fiumi, pesci e farfalle.
Un bosco, in un mondo di acciaio e cemento e reti di computer e sommergibili e armi nucleari e viaggi su Marte, ormai colonia della Terra. Dove le città avevano sommerso tutto, cancellato ogni forma di vita diversa da quella umana, dove gli oceani cedevano spazio alle nuove isole, enormi chiatte di spazzatura, poi riutilizzate per costruirci i nuovi quartieri popolari...

Turris Libissonis, Porto Torres per i più, era ormai l'ultimo angolo di natura.

Creato da un uomo, un piccolo uomo di nome Gavino, per chi come me l'aveva conosciuto. Gavino, come il santo protettore della Città.
Un grande benefattore per tutti coloro che ogni anno potevano godere di quel nuovo angolo di paradiso!
 

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 12 agosto 2012

Krankenhaus


“Moritzingerstrasse”,

annunciava la voce semimetallica del bus, linea 10A, a Bolzano…

Era una calda giornata d’estate. L’afa contribuiva a togliere il respiro. Sul bus solo qualche occasionale viaggiatore, dovevano essere tutti in ferie per ferragosto.

Un passeggero era salito alla fermata di Piazza Domenicani, curvo dall’età e dal caldo.

Si era aiutato con le braccia per salire a bordo, forse il caldo gli toglieva quel poco di forze che ancora animavano il suo corpo.

Doveva avere almeno ottant’anni. Da giovane era stato alto e robusto, forse era stato uno sportivo o forse un agricoltore del luogo, un montanaro abituato alla durezza della vita di campagna. Le spalle erano ampie e ancora tradivano la forza che le aveva animate.

L’avevo osservato bene in faccia quando era venuto a sedersi al mio fianco. La pelle era grinzosa e macchiata, i capelli e le sopracciglia bianchi candidi, ancora folti. Le orecchie piccole erano coperte da un ciuffo di capelli arruffati, come se non si fosse pettinato la mattina.

Per il resto era ben curato.

La barba rasata di recente, le mani pulite, le unghie ben tagliate. Non fumava, non sentivo alcun odore di sigaretta. Gli occhi erano azzurri, profondi, un po’ tristi, come se sapesse di essere arrivato alla fine della corsa…

Indossava un paio di jeans puliti, non proprio nuovi, una taglia più grande del necessario, retti dalle bretelle. Una camicia chiara e un paio di scarpe in pelle, marrone. A tracolla portava un borsello di altri tempi, in pelle scura, che stringeva sotto il braccio.

Avevamo viaggiato fianco a fianco per tutto il viaggio senza dire niente. Io lo guardavo ma lui non mi vedeva. Soffriva ma non parlava, neanche un mugolio. Solo una smorfia di dolore, di tanto in tanto, quando il bus andava troppo forte per lui.

“Krankenhaus”, annunciava la voce sul bus… e quella fu l’ultima parola che il vecchio sentì.

Si accasciò senza forze sul sedile, il conduttore non si accorse di niente fino alla fermata successiva, quando fermò il bus di fronte all’ospedale, ma era tardi.

Io ero al suo fianco, quando spirò! Presi la sua anima per mano, lo consolai, gli spiegai cosa doveva fare e lo indirizzai sulla giusta strada… Mentre si allontanava veloce si girò un attimo, mi chiese chi fossi… chi doveva ringraziare.

Gli risposi che ero uno come lui, spirato sullo stesso bus… tanti anni prima.



“Europa Stadium”, già diceva la voce semimetallica…

ancora una corsa, ancora una…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 19 aprile 2012

Tzunami...

Era una bella giornata, particolare!  
Da anni scrivevo racconti e poesie, pubblicavo i miei studi sui testi antichi, ma mai e poi mai ero stato invitato a parlare della mia attività di scrittore e libero pensatore. 
La prima volta non si scorda mai... e così è stato!

Queste poche righe vogliono testimoniare un fatto accadutomi in quei giorni. 
Non ho spiegazioni da dare per ciò che è accaduto, questa è una semplice testimonianza di un sopravvissuto. Come questa ne potrete trovare altre, se cercherete con sufficiente pazienza e perseveranza tra le immense quantità di dati disponibili...

Ognuno di voi lettori sarà poi libero di credere o no, secondo la sua coscienza... io posso solo raccontare!

Come dicevo, era una bella giornata. Una giornata primaverile, di quelle con il cielo terso, azzurro pallido. Alcuni raggi del sole mattutino arrivavano sul letto e riscaldavano l'aria... 
Mi svegliai con addosso quella sensazione di benessere e allegria che si provano raramente nella vita. Sarebbe accaduto qualcosa di stupendo, me lo sentivo!

E così effettivamente fu.
Erano da poco passate le dieci quando ricevetti una telefonata. 
Il telefono grigio appeso alla parete cominciò a squillare, irrequieto.
Risposi in modo automatico...

- Si, pronto?  

- Buon giorno, parlo col signor P...?

Era la voce di una giovane donna, allegra e squillante... 

- Si, con chi parlo?

- Sono la segretaria del Signor Rossi, il Direttore della rivista "Racconti e società". Immagino lei sappia che la settimana prossima si terrà un convegno sul tema "Il racconto e lo sviluppo della società". 
Il signor Rossi gradirebbe averla come ospite... e qualora decidesse di esporre le sue teorie in pubblico, oltre al soggiorno gratuito per tutta la durata del convegno, riceverà anche il compenso che lei riterrà più opportuno...

La donna dall'altra parte della cornetta continuava a parlare incessantemente... parole, parole, piacevoli parole che suonavano come il riconoscimento di anni di studi e di sacrifici.

- Certamente, ci sarò...

Avevo interrotto la donna proprio mentre si dilungava nello spiegare l'importanza del convegno e la risonanza che avrebbe avuto nell'ambiente... 

- Bene, siamo felici della sua decisione. Se mi da un numero di fax le invio immediatamente il contratto e tutte le informazioni di cui necessiterà. 

Poche altre parole di coordinamento e la cosa era fatta. Ricevetti le informazioni necessarie per raggiungere la sede del convegno, i biglietti di andata e ritorno, la prenotazione dell'hotel e il contratto...
Era proprio una bella, splendida, giornata...

Arrivai all'hotel a tarda sera. L'aereo era stato puntuale. Raggiunsi l'hotel in tassì. La mia camera era la 27, una splendida camera con vista panoramica sul golfo. L'aria era frizzante ma decisi comunque di cenare fuori, in terrazza. La notte era appena cominciata e la luna illuminava il mare di fronte a me... il rumore della risacca era leggero e piacevole. Ordinai una zuppa di pesce e del pane abbrustolito... 
La mattina dopo avrei incontrato il signor Rossi. Avrei avuto la possibilità di discutere con lui in anteprima alcune mie teorie. Il programma della giornata prevedeva la visita presso una casa padronale del '600. Avremo pranzato tutti assieme in un grande loggiato, organizzatori, ospiti, scrittori. Sarebbe stata una buona occasione per conoscersi meglio e discutere le proprie teorie prima del convegno che si sarebbe tenuto il giorno dopo.   

Il signor Rossi era un ometto piccolo di statura, elegantemente vestito, con dei baffetti curiosi che lo facevano assomigliare alla caricatura di un Ufficiale di Cavalleria di altri tempi. La sua rivista era la più importante del settore e aveva una grossa influenza sui pezzi grossi della politica della Nazione. 
Da quando era stato riconosciuto il potere che i racconti, soprattutto di fantascienza, avevano sulla popolazione, la sua rivista era diventata importante e lui era diventato uno dei personaggi più in vista della società. 

- Buon giorno signor P., è un piacere conoscerla di persona...

La sua voce era profonda, calda, rassicurante. Era la voce di un uomo abituato a comandare, di un politico d'altri tempi.

- Il piacere è tutto mio.

- Benvenuto tra noi... spero avremo la possibilità di discutere le sue teorie sullo sviluppo pianificato del futuro per mezzo del racconto, una teoria in parte ripresa da Asimov, se non erro!?!

- Non sbaglia, si tratta di uno sviluppo particolare della Psicostoriografia...

- Immaginavo... mi perdoni, tornerò da Lei al più presto, devo fare gli onori di casa e gli ospiti sono tanti. Le ho riservato un posto al mio fianco per il pranzo, così avremo l'occasione di approfondire alcuni punti della sua teoria che non mi sono del tutto chiari, se non le spiace naturalmente.

- Sarà un piacere...

Il signor Rossi si allontanò con un saluto del capo. 
Mi guardai intorno meravigliato, gli uomini politici più influenti del Paese si trovavano nella mia stessa stanza. Potenti... e disonesti, uomini corrotti che pensavano solo al loro proprio tornaconto.
Quale occasione straordinaria per spiegare le mie teorie, per cercare di cambiare il futuro... senza che loro potessero sospettarlo! 
Dipendeva tutto da me, dalla mia abilità nel disegnare un futuro possibile alla portata della loro immaginazione  e delle loro mire! Non sarebbe stato facile, ma avrei avuto la mia occasione per cambiare il mondo.

Mi guardai intorno con più calma, il loggiato nel quale ci trovavamo era ampio e luminoso. Appesi alle pareti si trovavano oggetti in legno di tutti i tipi. Vecchi utensili un tempo di uso comune nelle case dei contadini ma anche maschere scure dai lineamenti squadrati, inquietanti...

Avevo portato la macchina fotografica e approfittai di quei momenti per scattare alcune foto ricordo. La villa si trovava sulla costa, a poche centinaia di metri dal mare, in una posizione splendida per godere di una vista stupenda e di tutti i vantaggi dell'ambiente circostante.
Uscii sul portico per scattare qualche bella fotografia panoramica. Sulla sinistra un promontorio roccioso si gettava in mare a strapiombo. Le sue rocce si specchiavano nell'acqua azzurra e profonda. Di fronte a me una lunga striscia di sabbia bianca. Sulla destra alcune palme ricordavano paesaggi tropicali...
In lontananza, oltre l'orizzonte, una nuvola scura sembra preannunciare l'arrivo di un temporale lontano... eppure c'era qualcosa di strano.
La nuvola sembrava avanzare velocemente, troppo velocemente. Realizzai con terrore che non si trattava di una nuvola ma di una enorme massa d'acqua che si avvicinava velocemente. Il mare si gonfiava in lontananza, risucchiando l'acqua dalla riva che scopriva i suoi fondali...

Cominciai a correre, urlando... mentre l'onda di piena raggiungeva già il selciato antistante la casa. 
Dietro la casa la costa rocciosa saliva velocemente. Mi arrampicai verso la salvezza, seguito da quei pochi che avevano sentito le mie urla. Ci arrampicammo su per la scarpata, senza voltarci indietro...

Era accaduto tutto in pochi attimi. 
L'onda era arrivata gonfia d'acqua e se ne era andata portando via con se tutto ciò che aveva potuto afferrare. 
La maggior parte dei presenti erano stati trascinati via dalla forza distruttiva dello Tzunami. 
Ci salvammo solo in cinque. 
Quella volta la natura aveva provveduto a cambiare il futuro del Paese in modo radicale... 
Avrei dovuto ripensare le mie teorie, per includere in esse qualcosa che fino ad allora avevo lasciato fuori... la Provvidenza Divina!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 26 marzo 2011

Racconto fantasy: Diluvio universale...

"Ciao..."

.............................

"Ciao...

Scusa Signore, ti potresti spostare un pochino più in là che devo costruire il mio castello?"

La voce era arrivata inaspettata, completamente inaspettata!

Era una vocina squillante, come non ne aveva sentite da tanto tempo. Era una vocina amica, pungente, di quelle che ti mettono voglia di vivere.

La solitudine era stata tanta che per un attimo non sapeva cosa dire. 
Come comportarsi?
Poteva far finta di niente e continuare a fissare il mare, verso l'orizzonte lontano, da seduto sopra quel piccolo scoglio di roccia lavica?!? Oppure doveva rispondere e magari spostarsi? Che assurdità, spostarsi... perché avrebbe dovuto farlo?
No, avrebbe semplicemente proseguito nel suo progetto, senza guardarla in faccia, senza pensare, senza tornare indietro sulle decisioni già prese!

"Signore, mi senti?  
Perché non rispondi? 
Ti senti male?"

Ancora quella voce. Se ne stava seduto, in silenzio, da tempo immemorabile ascoltando, sperando di sentire qualcosa, ed ora che qualcosa sentiva non sapeva più che fare! 
Assurdo...

"Signore, signore... mi aiuti a costruire il mio castello?
Per favore, ti sposti un poco?"

... ma vero! 
Lei lo guardava, gli parlava, e lo tirava per i pantaloni per scuoterlo dal torpore che lo rendeva immobile, insensibile a tutto. 
Eppure iniziava a pensare, se lei lo vedeva, gli parlava, lo scuoteva... forse, non sarebbe stato più solo, forse avrebbe avuto compagnia, forse le cose potevano ancora cambiare.

"Ehi, signore, dico a te... mi senti?"

Dopo i primi tempi si era abituato a sentire le loro parole, le loro preghiere, sempre uguali, sempre a chiedere, sempre noiosamente prevedibili...

"Signore, se ti senti male ti aiuto io. Perché non fai un bel respiro?"

Poi aveva dovuto sopportare la loro stupidità, aveva provato a capirli, aveva provato a farli ragionare, aveva provato a cambiarli, a convincerli, a obbligarli a ragionare, ma senza successo!

"Ti prego... svegliati, mi spaventi!"

Così aveva preso una decisione, l'unica possibile, quella estrema... e l'aveva fatto! Una, due, tre volte... e questa sarebbe stata la... non ricordava!
Eppure qualcosa lo tratteneva, un pensiero, una strana sensazione di malessere, una vocina piccola, squillante, allegra, innocente. 
La voce di una piccola bimba che continuava a chiamarlo e tirarlo per la maglia, scuoterlo senza sosta... 

"adesso ti sveglio io..." 

Uno schizzo d'acqua fresca lo colpì sul viso, ridestandolo dal torpore millenario in cui era sprofondato dall'ultima volta...

"Come ti chiami bimba?"

Le parole gli erano uscite di bocca quasi senza volerlo. Quel suono che non sentiva da tanto tempo, il suono della sua voce, lo riportò alla realtà. Aveva deciso, sarebbe stato per un'altra volta. 
Il Diluvio avrebbe dovuto aspettare, adesso aveva qualcosa di più importante a cui pensare.

Doveva giocare con la sua nuova piccola amica a costruire castelli di sabbia...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 6 febbraio 2011

Fantasmi... e altri racconti



Cari amici,


oggi vi presento il mio primo libro, appena pubblicato.


Il titolo é: Fantasmi... e altri racconti


e credo si capisca di cosa parli.


Vi potrete trovare i miei racconti preferiti, scritti in questi ultimi anni.



Se invece volete solo leggere i racconti ecco il link per scaricarvi gratuitamente il file pdf:

Fantasmi e altri racconti pdf

e se vi piace, siate generosi!

Se invece non potete fare a meno di aggiungere il volume alla vostra biblioteca, potete acquistarlo su:

Fantasmi e altri racconti - ACQUISTO



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 23 gennaio 2011

Sogni, ombre e fantasmi...

Come tutti i miei sogni non ha un inizio e non ha una fine.

Mi trovo in un mondo parallelo, nato dalla mia fantasia, o da casuali impulsi fisico chimici tra le sinapsi dei miei neuroni?
Che importa?
Ciò che importa é che il sogno esista, in tutte le sue forme... incubi compresi!
Si, forse era un incubo.
Mi trovavo in un ambiente scuro, circondato da esseri fantastici, ombre e fantasmi. 
Ero alla guida di un gruppo di esploratori, forse.

Non é facile ricordare cosa accade in un sogno...

Il piccolo gruppo era composto da me, un bambino piccolo, che chiamerò Francis per comodità, ma non ho idea del suo vero nome; poi c'era qualcun altro o, forse, qualcos'altro. 
Qualcosa di indistinto, un'ombra. Forse un fantasma che ci guidava e aiutava nell'esplorazione di questo nuovo mondo.

Cosa ci facessimo in questo mondo parallelo non lo so proprio, forse é una semplice risposta alla mia voglia di risvegliare la fantasia, intorpidita dal troppo lavoro e dalle esigenze della vita quotidiana, un momento di fuga dalla realtà in un mondo tutto mio; forse qualcosa di diverso, più profondo e non ancora pienamente compreso.
Fatto sta che il sogno c'è stato e, cosa ancora più importante, ricordo qualcosa, anche se solo sprazzi di lucidità, immagini evanescenti, che emergono dal tunnel di quel mondo parallelo.

Ecco, ci troviamo in una grotta buia. 
Di fronte a noi si aprono innumerevoli caverne oscure e altre, poche, più luminose. 
Tutte però riccamente popolate di esseri strani e fantastici. 
Talvolta si percepisce la loro malvagità in uno sguardo sfuggente... altre volte sembra che soffrano, come noi esseri umani.

Un enorme bruco semi trasparente ci sorpassa, grande come un camion (improbabile come un millepiedi con le scarpe!) e prosegue sulla sua strada gettandoci un'occhiata sorpresa, come se l'unica cosa strana fossimo proprio noi!

Intravvedo in lontananza una figura lucida, bianca, circondata da altri esseri piccoli e scuri... un fantasma, mi dico nel silenzio di quei luoghi. 
Si, infatti non si sentiva alcun rumore e anche le parole che scambiavamo all'interno del gruppo non erano parole ma assomigliavano più a pensieri... altri impulsi casuali?

Quella figura lontana era cattiva o almeno così mi apparve, aveva gli occhi rossi e, si sa, un essere bianco e con gli occhi rossi non può che essere malvagio!
Non era solo, sembrava a capo di quegli esseri scuri e gobbi, che ci guardavano di traverso.
Chissà cosa passava per le loro menti, forse pregustavano il momento in cui si sarebbero nutriti di noi? Non lo so.

L'ambiente di colpo cambiò radicalmente e noi ci trovammo in un'ampia grotta leggermente in salita. Cercavamo di farci strada in mezzo ad una fitta coltre di coperte... e si, proprio coperte, lenzuola, copri letti e cuscini! Che cosa ci facessero in una grotta non saprei dire, ma si sa, un sogno é un sogno!

Immediatamente, come per magia, venimmo trascinati via con forza. 
Ci sentimmo levitare nello spazio scuro, come trascinati da una forza immensa, tra pareti scure di impossibili palazzi opera di un improbabile onnipotente architetto.

Tutto era buio e silenzioso poi, come d'incanto, un motivetto canticchiato da chissà chi sembra rallentarci... inizio a fischiettare anch'io, consapevole che sarebbe stata la cosa giusta da fare.
così mi sveglio!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 5 luglio 2008

Futuro?

Deutsch Version
La crisi era arrivata, come prevedibile, ma le sue conseguenze non erano state previste...
Da anni le cose non andavano bene, la situazione politica del paese era drammatica.


La disaffezione alla politica aveva allontanato dal settore il meglio della società, che aveva completamente abdicato a favore di una classe di politici mediocri, eredi dei moti del '68. Anche la classe dirigente del settore pubblico era ancora quella proveniente dalle università del 18 politico!
Sarebbe bastato qualche anno e un po di serietà da parte di tutti per risollevarsi ma nessuno credeva più nel futuro, si viveva alla giornata aspettando, o forse temendo, il momento in cui sarebbero cambiate le cose... poi avvivò la crisi del petrolio, i prezzi del barile cominciarono a salire senza freni.


In neanche un anno il prezzo del barile passò da 70 a 150 dollari a causa di speculazioni e di palesi errori di valutazione di chi allora era convinto di guidare il mondo. Il raddoppio del prezzo del petrolio influenzò tutto il mercato mondiale nei diversi settori, provocando fenomeni inflattivi completamente fuori controllo. In Europa l'instabilità raggiunse il massimo quando alcuni paesi furono costretti a lasciare l'Unione a causa del fallimento del sistema politico aggravato dal crollo delle borse e da gravi fenomeni legati alla rinata potenza delle cosche mafiose che si sostituirono in toto all'ormai fallito sistema politico.


Recrudescenze nazifasciste spesso alimentate dalla mancanza di una politica seria di controllo dell'immigrazione dai paesi dell'est, provocarono reazioni al limite dell'irrazionalità da parte degli storici alleati d'oltreoceano. Titoli quali "Liberiamo l'Europa dai nuovi nazisti" facevano tutti i giorni bella mostra sulle prime pagine dei principali quotidiani statunitensi. La Gran Bretagna fece la prima mossa lasciando la NATO per chiudersi in un isolazionismo quasi incomprensibile vista la situazione, provocando forti proteste franco tedesche che videro in ciò quasi una dichiarazione di guerra. Pochi giorni dopo il Congresso americano annunciò lo stanziamento straordinario di 500 miliardi di dollari per il completamento del programma di difesa dai missili balistici. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.


La NATO, già in crisi, si sciolse come neve al sole e due giorni dopo i primi ordigni nucleari colpirono alcune delle più importanti città europee e statunitensi.


Parigi, Bonn, Roma, Washington, Bruxelles furono cancellate dalle carte geografiche... per sempre...
L'Occidente si cancellò da solo dalla faccia della terra... grazie a Dio!



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Roma, 04 luglio 2008)

lunedì 30 giugno 2008

Buio!

... la luce si era spenta di colpo,
senza alcun preavviso!


Il buio era calato, freddo come la morte,
nascondendo in un istante ogni tipo di ostacolo!


Si muoveva velocemente, fino a quel momento senza particolari preoccupazioni,
osservando con attenzione e crescente stupore ogni cosa che lo circondava...
vorace di conoscenze...
inconsapevole...


Poi nuove luci apparvero,
piccole dapprincipio, poi sempre più grandi...
sempre più calde...


Si avvicinavano a lui velocemente...
enormi stelle inconsapevoli della sua natura!


E la luce scomparve ancora una volta,
proiettandolo nel buio più profondo,
già tante volte provato in quella sua vita di

insaziabilmente ingordo


buco nero...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO