Anno
del signore 1290, 2 gennaio.
Era
una fredda giornata d'inverno quando Nicola e Lazzaro lasciarono
Assisi alla volta di Genova dove li attendeva una nave per la
Sardegna. Da li sarebbero partiti poco dopo alla ricerca di una terra
lontana e sconosciuta, nel lontano ovest, sanza sapere se sarebbero
mai tornati a casa.
Nicola,
il più anziano, aveva compiuto da poco quarant'anni anche se non li
dimostrava. Portava i capelli tagliati corti e una folta barba nera
incorniciava la sua faccia squadrata e dalla pelle abbronzata. Il
naso aquilino gli dava un'aria nobile e forte. Era nato ad Assisi
quarto figlio di una famiglia di ricchi commercianti ma era entrato
in convento già all'età di dodici anni dove aveva preso gli ordini
minori.
Lazzaro
ne aveva dieci in meno di anni, anche lui era nato ad Assisi ma
apparteneva ad una famiglia povera. Era alto poco più di Nicola ma
di corporatura più esile. Di carattere calmo ma fermo nelle
decisioni, si era subito trovato bene con Nicola che considerava un
po' come un fratello maggiore. Il padre era stato soldato di ventura
ed era morto in una scaramuccia con alcuni commilitoni. I frati lo
avevano accolto con amore dopo la morte della madre quando aveva
appena compiuto otto anni.
Entrambi
vestivano il saio scuro dei francescani, portavano ai piedi dei
vecchi sandali aperti e intorno al collo il Tau, la croce di
Francesco, il fondatore del loro Ordine. Nella povera bisaccia di
cuoio custodivano i loro tesori, alcuni testi di preghiere, un antico
diario di viaggio, alcune mappe e l'occorrente per scrivere e
disegnare.
Avevano
discusso a lungo del viaggio col loro fratello Giovanni. Era stato
Giovanni a raccontargli della mappa e della possibilità di
raggiungere il lontano Oriente viaggiando verso Occidente. Giovanni
era stato il loro insegnante di Latino e greco antico e le sue
conoscenze dei classici erano enormi. Spesso, durante il lavoro, gli
raccontava le storie che aveva letto tanti anni prima con una tale
disinvoltura che il tempo passava senza che neppure se ne
accorgessero. Nicola e Lazzaro ci avevano pensato tante volte a quel
fantastico viaggio verso oriente e ora ora che lui era morto non
avevano più nessuno che li trattenesse.
Guidati
dalla fede nel loro Signore e dalla Regola che li avrebbe aiutati a
sopportare un così lungo viaggio partirono sicuri di riuscire dove
altri avevano fallito.
Sapevano
bene a cosa andavano incontro, o forse era l'esatto contrario a
spingerli, l'incoscienza, ma erano pronti a mettere a rischio le loro
vite per conquistare nuove terre alla fede.
Il
loro successo sarebbe stato il successo di fratello Giovanni. Dio li
avrebbe guidati e soccorsi.
Non
erano soli nell'impresa. Con loro viaggiavano i giovani rampolli di
alcune famiglie liguri, Ugolino Vivaldi e Vadino, Guido e Teodisio
della famiglia Doria. Quattro giovani avventurieri che avevano
fondato una società con l'intento di raggiungere le Indie e tentare
così la fortuna.
Per
il viaggio allestirono due navi, la Sant'Antonio e l'Allegranza,
dando fondo ai risparmi accumulati dalle loro famiglie e con la loro
ciurma costituita da marinai, pirati redenti e semplici mozzi,
partirono alla ricerca di fortuna, alla volta di una terra misteriosa
e ricchissima di cui avevano sentito parlare nelle antiche storie che
si tramandavano in famiglia.
Il
viaggio sarebbe stato lungo e difficile ma così è la vita.
Solo
sei persone sapevano approssimativamente cosa li attendeva. Ne
avevano discusso a lungo coi tre frati prima di farsi convincere ad
investire tutte le loro fortune in una impresa che poteva significare
la fortuna di tutti come la morte.
Durante
la preparazione del viaggio avevano pianificato tutto per stare in
mare tre mesi di seguito prima di fare scalo. I genovesi avevano
conosciuto i tre frati durante un viaggio di lavoro ad Assisi.
Avevano cenato nella stessa osteria e bevuto vino rosso alla stessa
tavola fino a che non avevano sentito parlare fratello Giovanni che
raccontava di una sua lettura in cui era descritto un viaggio in una
terra lontanissima e immensa ad ovest della Spagna, oltre l'Oceano.
Giovanni assicurava che nel libro che aveva letto alcuni anni prima
vi era una mappa e lui era certo di averla vista. Gliela avrebbe
mostrata alla prima occasione dato che il libro sicuramente si
trovava ancora nella biblioteca della famiglia del fondatore
dell'Ordine. I genovesi avendo sentito Giovanni parlare di questa
terra lontana, avevano loro offerto da bere e cominciarono a far
domande. Giovanni era sempre felice di avere attorno giovani vogliosi
di ascoltarlo raccontare le storie da lui lette e non aveva lesinato
in particolari. Raccontò di una terra straniera, il cui ricordo era
perduto nel tempo, una terra immensa che si estendeva da un estremo
all'altro del mondo e che millenni prima era stata raggiunta dai
viaggiatori che partirono dalle coste del mediterraneo.
Così
avevano stretto amicizia ed era nata l'idea del viaggio.
Ci
volle del tempo prima che la mappa fosse ritrovata e che i
preparativi per il viaggio fossero completati. Una brutta polmonite
si portò via fratello Giovanni che non poté assistere alla partenza
dei suoi giovani confratelli.
Nicola
e Lazzaro partirono da Genova in una giornata di primavera,
costeggiando la Corsica, diretti verso Castelgenovese, castello e
porto del nord Sardegna appartenente alla famiglia Doria. Da lì,
dopo aver fatto rifornimento di viveri e acqua, sarebbero ripartiti
dieci giorni dopo alla volta delle colonne d'Ercole.
Il
tempo era buono e non ci sarebbero state più soste, fino all'arrivo
in Africa sulla costa Atlantica, dove avrebbero fatto scalo
all'altezza del fiume Geba. Il viaggio durò trentadue giorni durante
i quali i marinai oltre al loro lavoro alle vele passavano il tempo a
pescare per integrare il cibo della cambusa con del pesce fresco. Un
giorno un forte temporale rischiò di mandare a picco l'Allegranza ma
proprio quando la situazione si era fatta più critica il temporale
cessò e il tempo cambiò con insolita velocità. I due frati furono
visti pregare in ginocchio per la salvezza delle anime con le braccia
rivolte al cielo, incuranti della pioggia e dei fulmini, e questo era
stato sufficiente per indurre i marinai a credere che lo scampato
pericolo fosse opera della loro intercessione verso dio.
Erano
le dieci del mattino quando il nostromo avvisò il capitano che erano
arrivati a Geba. Un fiume di acqua dolce e fango si inoltrava per
miglia e miglia prima di disperdersi nell'acqua azzurra dell'oceano,
segnalando ai marinai esperti la sua inconfondibile presenza.
Gettarono
le ancore a circa mezzo miglio dalla riva fangosa poco oltre la foce
del fiume. Un gruppo di selvaggi aveva acceso un fuoco per segnalare
un approdo sicuro e l'intenzione di scambiare le proprie merci,
principalmente frutta e acqua, con i marinai. Era una pratica comune
lungo le coste dell'Africa. Spesso i marinai lasciavano le loro
mercanzie sulla riva dove in precedenza gli abitanti della zona
avevano lasciato le loro merci e lo scambio avveniva sulla fiducia.
Altre volte era possibile scendere a terra e trattare con i
commercianti del luogo.
La
sosta fu breve e tranquilla. I marinai sbarcarono per fare
rifornimento nel vicino villaggio. Comprarono cibo fresco per altri
tre mesi di viaggio in alto mare e cinque giorni dopo già si
ripartiva. La sera prima di partire tre marinai scesero a terra mezzi
ubriachi e allontanatisi nella giungla all'inseguimento di una specie
di maiale selvatico non tornarono più indietro.
La
mattina dopo, all'alba, il convoglio prese il largo con tre marinai
in meno, diretto senza alcun tentennamento ad ovest.
La
costa si allontanava velocemente. Le due imbarcazioni avanzavano
velocemente nell'oceano spinte da un vento forte e regolare. I primi
giorni di viaggio il tempo si mantenne buono anche se il vento
aumentava costantemente la sua forza.
Il
quarto giorno di navigazione, poco prima di mezzogiorno, il cielo
cominciò a farsi scuro e all'orizzonte si profilava un grosso
temporale. Le onde cominciarono a crescere di altezza fino a
raggiungere i dieci metri di altezza. I galeoni, grandi e sicuri fino
a quel momento, sembravano diventati dei gusci di noce in balia del
mare. Incapaci di qualsiasi manovra i marinai della Sant'Antonio
ammainarono le vele sperando che questo li aiutasse a resistere al
vento e alla forza delle gigantesche onde. L'Allegranza invece volse
la prua verso est per aggirare il temporale con l'unico risultato di
venire trascinata lontano dalla Sant'Antonio. Dopo pochi minuti le
due navi si persero di vista. Per tre giorni e tre notti gli uomini
dell'Allegranza restarono in balia della burrasca cercando di lottare
per sottrarre la nave alla furia del mare e dei venti. Il temporale
infuriava tutto intorno a loro e la nave cigolava sinistramente sotto
i possenti colpi delle onde, diffondendo sinistri presagi tra gli
uomini spossati e scoraggiati. Il quarto giorno il vento era calato
leggermente e le nuvole si erano aperte ad ovest lasciando
intravvedere un lembo di cielo azzurro in lontananza.
La
Sant'Antonio era stata più fortunata.
Il
temporale non li aveva risucchiati al suo interno ma li aveva
sospinti indietro, verso le coste dell'Africa lasciate qualche giorno
prima. Sfortunatamente il galeone aveva subito danni all'albero
maestro e non era più in condizione di percorrere un lungo viaggio.
I marinai erano troppo sfiduciati per proseguire e due giorni dopo
approdarono a poca distanza dal fiume Geba dove cominciarono
immediatamente i lavori di riparazione, sperando di rivedere di li a
poco i compagni della Allegranza. Le cose sarebbero andate
diversamente, ma nessuno poteva saperlo.
Il
mare aveva deciso diversamente.
Sarebbero
passati quarantasei giorni prima che l'Allegranza e il suo equipaggio
potesse vedere in lontananza una scura linea di costa e i due gruppi
non si sarebbero mai più rivisti.
A
bordo dell'Allegranza il Capitano Ugolino Vivaldi e il nostromo
Vadino Doria, accompagnati da frate Nicola proseguirono il viaggio
verso ovest.
Prima
di lasciare le coste dell'Africa Nicola e Lorenzo si erano salutati
augurandosi di potersi riabbracciare presto. Ognuno di loro portava
con se una copia della mappa. Il viaggio era stato lungo e faticoso
ma niente in confronto a ciò che li aspettava.
Dopo
il temporale che li aveva separati dalla Sant'Antonio il viaggio
proseguì per venti giorni senza particolari problemi. Il ventunesimo
giorno dalla fine del temporale alcuni giovani marinai poco abituati
alle privazioni avevano cercato di convincere gli altri a tornare
indietro. Il Capitano Vivaldi li aveva sentiti confabulare tra loro e
lamentarsi con il resto della ciurma. Li aveva affrontati di petto,
minacciandoli di buttarli a mare se non avessero smesso
immediatamente.
Uno
dei tre estratto il coltello e aveva provato a saltargli addosso ma
era stato troppo lento, il Capitano l'aveva passato a fil di spada
sul ponte della nave per poi buttarlo ai pesci, ancora vivo.
-
Volete seguire il vostro amico?
Disse
torvo ai due mozzi che lo guardavano con il terrore negli occhi.
-
Liberi di scegliere. O proseguite con me o potete buttarvi in acqua.
Potrete proseguire a nuoto verso la costa se ne avete la forza,
oppure più probabilmente, finirete nella pancia di qualche grosso
pescecane come quelli che potete vedere banchettare la sotto. La
spuma dell'acqua, bianca fino a qualche istante prima, era diventata
rossa del sangue del loro compagno le cui parti si contendevano tra
grossi squali dalle enormi pinne grige.
Che
scegliessero liberamente la loro sorte.
A
malincuore i due giovani ripresero il lavoro dietro stretta
sorveglianza del nostromo e dei marinai più anziani, più abituati
alla dura disciplina di bordo.
-
Siete stati incoscienti e fortunati voi due. Due anni fa il capitano
della nave sulla quale ero imbarcato per molto meno ha fatto
impiccare un mozzo all'albero maestro! - Disse uno degli anziani ai
giovani, guardandoli di sottecchi.
-
Finitela di lamentarvi o vi abbandoneremo, vi siete imbarcati
volontariamente e non si torna indietro fino a che non lo deciderà
il Capitano. E poi sarebbe da stupidi morire adesso che il viaggio è
quasi giunto alla fine.
In
effetti i più esperti avevano già notato i segni distintivi della
presenza di una terra non troppo lontana. Da due giorni il numero
degli uccelli acquatici era aumentato e le acque diventavano a tratti
più chiare. Rami e foglie si intravvedevano in superficie,
trascinati dalla corrente, segno inconfondibile della presenza di una
terra non troppo lontana. Qualche giorno di navigazione al massimo e
la terra sarebbe stata avvistata.
Il due luglio dell'anno del signore 1292 il marinaio di guardia urlò con quanto fiato aveva in corpo:
-
Terra! Terra!
Il
Capitano si diresse immediatamente a prua per osservare l'orizzonte.
Alzò la mano destra all'altezza della fronte per proteggersi gli
occhi dal sole e confermò la scoperta con un cenno del capo.
Di
fronte a loro si stagliava la costa di una terra sconosciuta, solo
accennata con una linea nera sulla mappa dei due francescani.
Il
Capitano Ugolino Vivaldi accompagnato dall'amico e nostromo Vadino
Doria, da fratello Nicola
e dai centododici marinai superstiti si trovarono di fronte quella
linea scura di terra che si estendeva a perdita d'occhio
all'orizzonte.
Ancora
un giorno di viaggio e sarebbero finalmente sbarcati.
Il
tre luglio il Capitano mise piede sulla terra ferma prendendone
possesso in nome del Comune di Genova. Fratello Nicola ne era
testimone di fronte a Dio ma non era più tanto sicuro di aver fatto
la cosa giusta.
La
morte del giovane marinaio l'aveva colpito profondamente. Non avrebbe
mai pensato che il Capitano Vivaldi, quel giovane simpatico
conosciuto nella taverna di Assisi, avrebbe potuto uccidere. Forse
avevano sbagliato tutto – pensò – non era questo che immaginava
prima di partire. Avevano messo in conto sofferenze e privazioni ma
non gli omicidi. Se aveva ucciso un suo uomo senza batter ciglio,
cosa avrebbe potuto fare ad uno sconosciuto? Ma oramai era tardi per
tornare indietro, occorreva riporre le speranze nelle mani del
Signore.
Appena
messo piede sulla spiaggia si gettò a terra in ginocchio e pregò
dio padre perché proteggesse la sua anima.
Vai al cap. III: Un'occasione mancata.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO