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venerdì 16 novembre 2007

A mio Padre...

Ti dico Grazie,
con tanti anni di ritardo, Grazie!

Ti voglio Bene,
l'ho capito tardi forse, ma ti voglio Bene!

C'é voluto un figlio... per Capire,
ma ho Capito!

Grazie... Pà,
per tutto, Grazie ancora!

Tuo figlio...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 15 novembre 2007

A SIENA 1995

Or voglio, ma l’anima ne freme dolcemente
Rammentarci di un pomeriggio presto
Prima ancora che l’estate sia il sole del Palio
Che salimmo in cima alla città e di quel giorno
Noi due ne siamo segreti testimoni.

Il Duomo, i tetti rossi e il Mangia
Oscillavano al vento insieme ai tuoi capelli
E lo sguardo non si stancava di viaggiare.

C’era il silenzio immaginario delle case
Viste di lontano e potei ascoltare almeno allora
Le parole non dette dalle tue labbra.
Or voglio ricordarmi, amica mia,
con l’anima rapita da un oceano chiuso
sporti da quell’angusto merlo di tre metri
in cima a Siena e in mezzo al cielo intero
ci siam sentiti liberi davvero.

Giuseppe MARCHI
“già pubblicata su Raccolta Ansol 2000- Milano”

Sa domu 'e su para - La casa del frate

Percorrendo la nuova strada Gesico-Villamar, a circa cinque chilometri da Gesico, ma in territorio di Guamaggiore, nascosta nella valle del Rio Salliu, “s’Arriu Sabiu” (fiume salato), si trova una vecchia costruzione ormai diroccata e che va via via scomparendo sepolta da pietre e terra. Per chi conosce la zona non é difficile arrivarci, infatti sulla sinistra, all’altezza de “is contrasa de Leunessi” (contrada di Leunessi), si trova una strada campestre che fiancheggia s’Arriu Sabiu e che dopo circa un chilometro permette di raggiungere “sa domu ‘e su Para”.
Alcuni anziani ricordano ancora quella piccola costruzione che di tanto in tanto veniva utilizzata come riparo, ma ora non restano che poche rovine a testimoniare la sua esistenza. Lungo la strada il paesaggio desolato ci porta a pensare a chi, cinquanta e più anni fa, pernottava presso “is domus de Peppi Pai” (le case di Peppi Pai), anche di queste non restano che vecchi ruderi visibili alla nostra sinistra. In quei tempi i bambini di cinque o sei anni venivano portati in campagna e lasciati a custodire il gregge. Questi piccoli uomini avevano paura, specialmente la notte, ma allora così era la vita. Per raggiungere le rovine bisogna camminare lungo il sentiero per circa venti minuti, tra cespugli di “tramatzu” e di “moddizzi”, ammirando splendidi pennacchi di “cruccuri” per giungere “assa domu ‘e su Para”. Alla sinistra, poco sotto Bruncu Murcioni, possiamo vedere Nuraxi ‘e Accasa”, ma noi ci fermiamo prima, quando vediamo le prime tracce di pietra lavorata.
Di fronte a noi si apre un foro circolare di circa tre metri di diametro e profondo circa un metro e cinquanta. Si tratta dei resti di una costruzione in pietra lavorata, di forma circolare, che presenta un ingresso sul lato Ovest. Il pavimento é stato rimosso e si può notare che la costruzione é poggiata su una fila di pietre non lavorate. Su di queste si trovano tre file di pietre lavorate. Le mura sono spesse circa ottanta centimetri e, ad un esame sommario, sembra che siano costituite da due file di pietre lavorate a T, la fila esterna presenta la faccia convessa lavorata mentre la fila interna presenta la faccia concava. Tra le due file si trovano delle pietre di dimensione ridotta legate con fango e terra. Per poter essere certi del metodo costruttivo e quindi risalire allo stile architettonico e cercare di datare la costruzione bisognerebbe intraprendere degli scavi in tutta la zona. Pietre lavorate si possono notare un po’ ovunque, dentro e fuori la costruzione. A circa dieci metri di distanza si trovano i resti di una seconda costruzione di diversa fattura. Le mura sono costituite da pietre di dimensioni inferiori, rispetto alla prima, e non lavorate, legate tra loro con terra. Di questa seconda costruzione resta solo una parte a forma di cupola. Dalla forma si potrebbe pensare si trattasse di un forno o di una cisterna, ma , come già detto, solo degli scavi accurati potrebbero portare alla luce elementi determinanti e chiarificatori. La leggenda popolare racconta che queste costruzioni erano abitate da un frate che viveva nella zona ma non si conoscono altri particolari. Al di là delle rovine de “sa domu ‘e su Para”, che già di per se possono offrire una valida motivazione ad affrontare il viaggio per Gesico e le sue campagne, la zona presenta delle sue caratteristiche peculiari per le quali vale la pena dedicarvi una giornata. Si può raggiungere a piedi o a cavallo, facendo bene attenzione a non recar fastidio alle greggi e chiedendo l’autorizzazione ad attraversare i terreni ai legittimi proprietari al fine di evitare danneggiamenti. Nel periodo piovoso si può assaggiare l’acqua salata de “s’arriu Sabiu”, negli altri periodi dell’anno il ruscello é asciutto. Questo ruscello dall’acqua salata, in passato , si credeva fosse ciò che restava di un antico mare e qualcuno racconta di aver visto degli anelli in ferro infissi nella roccia che dovevano essere utilizzati come attracchi per le imbarcazioni. Nessuno mi ha saputo indicare l’ubicazione di questi anelli, probabilmente perché non sono mai esistiti. Sembra improbabile credere alla storia del mare come a quella degli anelli di ferro,é più facile ipotizzare un deposito di sale a monte della sorgente. Tutta la zona é ricoperta di cespugli di moddizzi, (Lentisco) di questi in passato venivano raccolte le bacche utilizzate per la produzione de “s’ollu e stinci”, usato al posto dell’olio d’oliva; si trova anche qualche cespuglio di tramatzu (Tamerice) i cui rami venivano tenuti nei pollai per allontanare le pulci delle galline. Rientrando possiamo immaginare la vita di quel piccolo pastorello che cinquanta e più anni fa si aggirava intimorito per queste campagne, possiamo quasi vederlo mentre raccoglie le bacche da un cespuglio di “arruabi” per placare la fame e la sete. Potete farlo anche voi se volete, i cespugli di “arruabi” ci sono ancora ed in settembre le bacche sono mature e saporite.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
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Da quando ho visitato il posto l'ultima volta sono passati diversi anni... chissà se il tempo (e i vandali) ha modificato le cose...

mercoledì 14 novembre 2007

Erodoto di Turi - Dario e il governo popolare

Dario e i sei suoi alleati, dopo aver fatto strage dei Magi che avevano usurpato il potere, sedato il tumulto e trascorsi cinque giorni durante i quali fu sospesa la legge, decisero di riunirsi per discutere sulla forma di governo che avrebbe dovuto adottare i Persiani.

Otane, uno dei sette,
"consigliava di introdurre fra i Persiani il governo popolare, adducendo queste ragioni: Io sono del parere che non debba più uno di noi farsi padrone assoluto, poiché non è cosa ne bella ne buona. Voi, infatti, avete visto fino a qual punto è arrivata la tracotanza di Cambise e avete sperimentato anche la prepotenza del Mago. E come potrebbe essere un governo ben ordinato il dominio d'un solo, se egli può fare quello che vuole, senza rendere conto ad alcuno? Poiché anche l'uomo migliore del mondo, investito di questa autorità, si troverà al di fuori del consueto modo di pensare. Per l'abbondanza dei beni che lo circondano, mette radici in lui l'orgoglio, mentre in ogni uomo è radicata per natura l'invidia fin dalla prima origine e quando uno possiede questi due vizi, racchiude in sé ogni perversità [..] Invece quando è il popolo che detiene il comando, in primo luogo il governo ha il nome più bello d'ogni altro: uguaglianza di diritti; poi, non commette nessuno di quei soprusi che compie il monarca; le cariche pubbliche si ottengono per sorteggio; il governo è soggetto a rendiconto e tutte le decisioni sono prese in comune. Io propongo quindi che noi rinunciamo alla monarchia, per dare forza al governo popolare poiché nella maggioranza c'è la fonte di ogni diritto".
Così si espresse Otane, per il governo popolare, per la democrazia, avrebbero detto i greci, e dunque contro la monarchia...
Si, democrazia avrebbero detto i greci... greci... ma Otane era Persiano...
E come ne parla, non sembra stia improvvisando al momento... vi è dietro un pensiero già formato... studiato e conosciuto... nel 500 a.C.!

Ma poi, per farla breve, decidono per la Monarchia!
Ma questa è un'altra storia...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 12 novembre 2007

GATTI

GATTI
Dopo le nove di sera
siamo tutti dei gatti

quelli che fuggono
alla ricerca
dell'avventura della notte

e quelli che s'accovacciano
bisognosi di tenere
carezze d'amore
Giovanni Bernardi (1996)

domenica 11 novembre 2007

VIRGILIO - Georgiche... e parlano le bestie

Virgilio compose il suo "Georgiche" intorno al 37 a.C., in lingua latina, facendo riferimento alle sue conoscenze e a testi e autori più antichi... tra questi Lucrezio e Esiodo.Ma non voglio certo annoiarvi con dati che potete trovare ovunque, ciò che mi preme è mettere in evidenza alcune parti che mi hanno colpito...
Virgilio sta parlando dell'Etna e delle sue numerose eruzioni, quindi dei terremoti delle Alpi quando...
(Libro I, 475-490)
E un alto grido, da tutti udito, corse in mezzo ai boschi silenziosi, e si videro fantasmi pallidi in strani atteggiamenti al buio della notte e parlano le bestie, terribile! Si ferman l'acque e s'aprono le terre, e mesti piangono nei templi gli avori e i bronzi sudano. Travolti con l'infuriata piena i boschi, scorse l'Eridano, dei fiumi il re, dovunque per le campagne trascinando armenti e stalle. In quello stesso tempo infauste fibre nei tristi visceri si videro nè cessò di sgorgar sangue nei pozzi: e nella notte l'ululu dei lupi entro l'alte città sempre echeggiava. Mai più che allora, nel sereno cielo saettarono folgori e comete funeste fiammeggiarono.
Cosa accadde?
Un alto grido...
Fantasmi pallidi...
E parlano le bestie...
Piangono gli avori e i bronzi sudano...
Infauste fibre nei tristi visceri si videro...
Sgorgar sangue nei pozzi...
Fenomeni naturali estremi accomunati a manifestazioni particolari...
Invenzioni e immaginazione?
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

La posizione dell'Unione Europea nel conflitto USA-IRAQ

In seno all’Unione Europea bisogna rilevare la solita spaccatura interna dovuta alla mancanza di una politica estera comune nonostante i passi avanti fatti in questi ultimi anni nel campo della PESD.
Come abbiamo già accennato, gli Stati europei seguitano a prendere posizione seguendo la propria linea di politica estera e non secondo una comune linea di politica estera europea, spesso influenzati in ciò da interessi industriali, accordi commerciali, problemi interni di natura religiosa dovuti alla presenza di immigrati dai paesi musulmani, per citarne solo alcuni.
La mancanza della politica estera comune e più in generale, di coordinamento, provoca spaccature interne che hanno ripercussioni soprattutto sullo sviluppo delle istituzioni europee ma che nell’immediato provocano la sensazione dell’inesistenza politica dell’Europa come struttura politica in grado di affrontare situazioni di crisi in maniera unitaria, nel rispetto di regole comuni.
In un primo tempo la presidenza greca dell’Unione Europea, resasi conto della situazione ha agito troppo tardi fissando per il diciassette del mese di febbraio un summit dei capi di Stato e di governo dell’UE sulla questione Iraq.
Alla data fissata per il summit lo schieramento delle truppe statunitensi e britanniche era già in stato avanzato, dunque, qualunque decisione o presa di posizione avrebbe comunque incontrato troppi ostacoli.
Durante il summit i quindici paesi dell’Unione Europea, alla presenza del Segretario Generale dell’ONU, hanno cercato di raggiungere un compromesso che evitasse, nel contempo, di approfondire le spaccature esistenti all’interno dell’Europa e tra Europa e Stati Uniti. Durante il summit il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha espresso la sua preoccupazione per le tensioni esistenti tra le nazioni e per le tensioni esistenti nelle relazioni transatlantiche (1).
Al termine del summit, gli Stati partecipanti sono addivenuti ad una dichiarazione in cui si è stabilito che l’obiettivo dell’Unione Europea è quello dell’effettivo e totale disarmo dell’Iraq, obiettivo che deve essere raggiunto pacificamente. D’altro canto le ispezioni non potranno proseguire all’infinito in assenza della totale collaborazione dell’Iraq.
In ogni caso, l’uso della forza deve essere preso in considerazione esclusivamente come ultima risorsa.
La dichiarazione di principio appare essere un mero compromesso politico totalmente privo di qualunque utilità.
Per il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, il piano Franco-Tedesco (tendente ad aumentare il numero degli ispettori e a dotarli di più potenti strumenti) va nella giusta direzione tenendo nella giusta considerazione le norme di diritto internazionale e le competenze delle Nazioni Unite.
Per il deputato francese al Parlamento Europeo Jean-Louis Bourlanges esistono due condizioni fondamentali affinchè l’Europa possa dire e dimostrare con i fatti di esistere: in primo luogo occorre che Francia e Germania siano essere d’accordo sui veri obiettivi comuni, in secondo luogo occorre che tale accordo Franco-Tedesco sia accettabile dalla maggioranza degli altri stati europei. Secondo Bourlanges, se si analizza la questione irachena secondo le due condizioni fondamentali appena illustrate ci si rende conto del fatto che queste non sono soddisfatte, infatti non solo l’accordo franco-tedesco non è ben definito ma questo, comunque, non risponde alle necessità degli altri stati europei, che ritengono più importante appoggiare l’alleato d’oltre oceano.
Gli europei desiderano la pace e rifiutano l’unilateralismo degli americani ma allo stesso tempo non desiderano rompere i rapporti con gli Stati Uniti, sia in considerazione dei trascorsi bellici, sia in considerazione della realtà oggettiva del momento storico che vede gli Stati Uniti come unica superpotenza mondiale.
Il presidente Jaques Chirac inizialmente ha insistito sulla impossibilità di fare una guerra senza mandato dell’ONU e sul fatto che non vi possa essere un mandato ONU senza prove di colpevolezza. L’appoggio dei tedeschi, contrari alla guerra anch’essi, ha portato all’irrigidimento sulle proprie posizioni e alla fine alla frattura dell’Unione Europea in due opposti schieramenti.
E’ chiaro che una situazione simile non può che far comodo a chi, nella più completa mancanza di accordo politico internazionale, decida di comportarsi come meglio crede anche in forza della superiorità economica e militare.
____________________
1) Le figaro.fr, Pierre Bocev e Philippe Gélie, “Les Quinze n’excluent plus un recours à la force”, 18 febbraio 2003.
Alessandro Giovanni PAolo RUGOLO

sabato 10 novembre 2007

Costantino e la religione...

Leggendo un trattato sul calendario (The Calendar di David Ewing DUNCAN) mi sono imbattuto su una curiosità storica sul Concilio di Nicea... che mi piace condividere con voi...

Costantino indice un concilio al quale sono invitati tutti i Vescovi della chiesa Cristiana, li nutre e li intrattiene fino al suo arrivo...

"Constantine arrived at Nicaea on about 19 June 325, and was immediately handed a thick packet of papers detailing controversies large and small among the attendees. He carried the packet with him into the audience hall of his palace, where officially opened the council wearing a robe of gold and draped with jewels like a Persian King. Sitting on a golden throne in front of the prelates..."

Nonostante il mio scadente inglese, mi sembra di capire che al suo arrivo gli fù consegnato un voluminoso pacco di documenti, nei quali sono riportate le principali problematiche discusse dai religiosi e padri della chiesa...

"Ordering the bishops to set aside their arguments, he took the packet and dropped it into the flames of a brazier. As it burned he told his audience that they must use this council to establish a uniform doctrine they all would follow - an imperative that became the guiding force behind the Catholic churc for centuries to come and would profoundly affect all aspects of life, including attitudes toward measuring time"

Questi signori non avevano ben capito che il concilio non era un semplice momento di discussione ma una opportunità che gli venne offerta... e che, visto i risultati, seppero acchiappare al volo!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 9 novembre 2007

Erodoto di Turi e la fonte della lunga vita

Erodoto ci racconta come Cambise riuscì nella conquista dell'Egitto, quindi come esso, dopo tante inutili crudeltà, provò a conquistare il regno degli Etiopi... e, manda un gruppo di esploratori provenienti da Elefantina, chiamati Ittiofagi, a parlare con il re degli Etiopi e ad osservare... e così si intrattengono nello scambio dei doni e nel discutere. Il re degli etiopi...

(Libro III, 22)
Quando però si venne al vino e fu informato sul modo di produrlo, rimase incantato per questa bevanda: chiese allora di cosa si cibasse il re e quale fosse, per un persiano, la durata più lunga della vita. Gli Ittiofagi dissero che il re si nutriva di pane, spiegandogli come nascesse il grano e che, per un uomo, il termine massimo della vita era ottanta anni. Al che l'Etiope osservò che non c'era nulla da meravigliarsi se essi, nutrendosi di letame, vivevano pochi anni, anzi neppure quei pochi sarebbero in grado di viverli, se non avessero il ristoro d'una tale bevanda, intendendo il vino, in questo, senza dubbio, gli etiopi erano separati dai persiani.

(Libro III, 23)
Alle domande, poi, che a loro volta gli Ittiofagi gli rivolsero intorno alla durata della vita e al sistema alimentare degli etiopi, il re disse che la maggior parte di loro giungeva fino a centoventi anni, anzi alcuni li superavano. Il loro nutrimento era costituito da carni cotte e la bevanda era il latte. E siccome gli osservatori si meravigliavano per il gran numero di anni, li avrebbero condotti a una fonte, nella quale si bagnavano e ne uscivano più lucidi, come se fosse d'olio: emanava, poi, da essa un profumo come di viole. L'acqua di questa fonte era così leggera. Dicevano sempre gli osservatori, che nessuna cosa vi poteva sopra galleggiare, né schegge di legno, né quanto è più leggero del legno; tutto ciò colava a fondo. Se veramente essi possiedono quest'acqua, tale quale si dice, è per questo, forse, che, facendone uso costante, sono cosi longevi.
Che dire... poco credibile la storia della fonte...
chissà se é mai esistita una tal fonte miracolosa...
Ma cosa pensare della dieta e di quanto sostenuto dal re degli etiopi?
Carne cotta e latte...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

ACCADE (1995)

Accade di remare il vento
Come se fastidiosi punti di luce ovattassero
Quello che resta della città
Il centro della notte scorre via
Appagato di leggera brezza della vita.

Accade di calpestare le orme
del deja come librato volo
di noi sopra le cose tangibili
quello che resta della memoria.

Rigurgitato fuori dal buio prepotenza
Dei ricordi e dei sogni sul presente
L’invisibile ricerca in fondo alle mani
Quel che resta dell’impossibile amore

Giuseppe MARCHI
“già pubblicata su Raccolta Ansol 2000- Milano”

giovedì 8 novembre 2007

Erodoto e l'Egitto

Erodoto, nel libro secondo ci parla, tra l'altro degli Egizi. Ci informa che le sue descrizioni sono raccolte spesso di persona intervistando i sacerdoti dei tempi di Menfi, di Tebe, di Sais e altri...

[Libro II, Euterpe, 2]
Gli egiziani prima che Psammetico salisse al potere, erano convinti di essere essi i primi uomini comparsi sulla Terra; ma da quando Psammetico, divenuto re, volle indagare chi fossero davvero i primi uomini, da allora riconoscono che prima di loro vennero al mondo i Frigi; poi comparvero essi prima di tutti gli altri.

Ma il modo in cui fu stabilito che i Frigi vennero prima non credo possa essere ritenuto scientifico...Gli egizi riferiscono ad Erodoto che...

[Libro II, Euterpe, 4]
...primi fra tutti gli uomini, furono gli egiziani a scoprire l'anno, avendo diviso il ciclo delle stagioni in dodici parti, e l'avevano scoperto, a quel che dicevano, osservando gli astri.
E' interessante la descrizione e il calcolo degli anni e delle generazioni...

[Libro II, Euterpe, 5]
Mi dissero pure che il primo re d'Egitto, che fosse uomo, era stato Mina, e che ai suoi tempi tutto l'Egitto, eccetto la regione di Tebe, era una palude e nulla emergeva da quei territori che ora sono a valle del lago Meri, al quale si giunge dal mare, risalendo la corrente del fiume, con sette giorni di navigazione.
Il primo re d'Egitto è stato Mina, altre volte chiamato Mene, probabilmente Erodoto si riferisce a Menes...

[Libro II, Euterpe, 99]
Dunque, mi raccontavano i sacerdoti che Mene, primo re d'Egitto, difese con degli argini il territorio di Menfi: il fiume, scorreva in tutta la sua larghezza lungo la catena sabbiosa dalla parte della Libia; Mene, a monte, a circa cento stadi da Menfi, verso sud, avendo costretto il fiume con degli sbarramenti a formare un'ansa mise a secco l'antico alveo, e incanalò il fiume in modo che scorresse in mezzo alle due catene montuose.

Grandi opere... per i tempi a cui ci si riferisce... deviare il corso del fiume... del Nilo...

[Libro II, Euterpe, 100]
Dopo Mene i sacerdoti, consultando un loro libro, elencavano i nomi di altri 330 re; e in tante generazioni umane c'erano stati 18 etiopi, e una donna indigena: tutti gli altri erano uomini ed egiziani.

[Libro II, Euterpe, 141]
Dopo il cieco, salì al trono dicevano, il sacerdote di Efesto che si chiamava Setone.

Questo Setone visse al tempo in cui re degli Arabi e degli Assiri era Sennacherib...
Potrebbe trattarsi di Sethi?

[Libro II, Euterpe, 142]
... dal primo re fino a questo sacerdote di Efesto [..] si contano 341 generazioni [..] 11340 anni...
Così, essi dicevano, in 11340 anni, nessun Dio era stato tra loro in forma umana. Nemmeno prima del resto, come neppure dopo, tra gli altri re che regnarono in Egitto, s'era verificato, a sentir loro, alcunché di simile.
In questo periodo di tempo, raccontavano, il sole si sviò quattro volte dall'usato suo corso: due volte sarebbe spuntato di là dove ora tramonta; e dove ora sorge, ivi due volte sarebbe tramontato: nulla in Egitto, per tutto questo tempo, ebbe a subire mutamenti: né i prodotti della terra, ne quanto veniva dato dal fiume, ne il decorso delle malattie o le cause di morte.

11.340 anni... certo che se fosse vero...
Ma cosa significa che "il Sole si sviò quattro volte dall'usato suo corso"?
Non so... non capisco... o forse...

Credo che sia il caso che chi conosce il greco mi dia una mano... è corretta la traduzione sulla quale sto lavorando?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 6 novembre 2007

SRIMAD BHAGAVATAM - Uttara e la freccia di ferro infuocata

Ho già accennato alle armi per così dire, non convenzionali per i tempi, presenti nello SRIMAD BHAGAVATAM, ed ecco ancora una stranezza...
(Canto 1, Cap. 8, verso 9)
Uttara disse:O Signore dei signori, maestro dell'universo! Tu che sei il più grande degli yogi, proteggimi, Ti prego, perchè nessun altro può salvarmi dalla morte in questo mondo di dualità.
(Canto 1, Cap. 8, verso 10)
O Signore onnipotente, una freccia di ferro infuocata si sta dirigendo verso di me a grande velocità. Che io sia pure ridotta in cenere, se questo è il Tuo desiderio, ma Ti prego, non lasciare che uccida il figlio che porto in me. O mio Signore, Ti supplico, concedimi questa grazia.
Come possiamo vedere, Uttara è preoccupata perché "una freccia di ferro infuocata" la sta per raggiungere "a gran velocità"... Di che si tratta? Il versetto successivo ci spiega che é Asvatthama che, non ancora contento, lancia un altro brahmastra contro l'ultimo discendente dei Pandava. Alla vista del radiante brahmastra i cinque Pandava afferrano le loro armi. Il loro Signore, allora...
(Canto 1, Cap. 8, verso 13)
Vedendo in pericolo i Suoi puri devoti, anime completamente sottomesse a Lui, il Signore onnipotente, Sri Krsna, afferra subito il Suo disco Sudarsana per proteggerli.Dunque, contro un'arma terribile occorre un rimedio potente, come dire, contro un missile occorre un sistema antimissile... e così il brahmastra, seppure era un'arma implacabile viene neutralizzata!
Solo ora il Signore può partire...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 4 novembre 2007

Erodoto, Glauco di Chio e le saldature, i giganti

Erodoto, di Jean-Guillaume Moitte - Louvre
Storie, di Erodoto, è uno dei testi più interessanti che abbia mai letto...anche perchè sconvolge le mie conoscenze...
Per esempio:

(Libro I, 25)
Aliatte di Lidia, quello che aveva portato alla fine la guerra contro i Milesi, venne in seguito a morire, dopo aver regnato 57 anni.
Egli fu il secondo di questa famiglia, che guarito da una malattia, dedicò in Delfi un grande cratere d'argento, col suo basamento in ferro le cui parti erano saldate, offerta degna di essere vista più di tutte quelle che sono in Delfi;
opera di Glauco di Chio, l'unico uomo al mondo che abbia trovato il modo di saldare il ferro.
Dunque, almeno 500 anni prima di Cristo si era in grado di saldare il ferro! Ma questa tecnologia, da dove arriva? Oppure si tratta di un caso unico?

(Libro I, 68)
Certo, io penso o straniero, che molto saresti meravigliato, se avessi visto quello che ho visto io [..] nel lavoro di scavo mi imbattei in una bara lunga sette cubiti (cioè circa 3,15 metri!) e, siccome non volevo credere che fossero mai esistiti degli uomini più grandi di quelli che ci sono ora, la scoperchiai e vidi un cadavere delle stesse dimensioni della bara..
Così parla un fabbro a Lica, spartano, che era alla ricerca della tomba di Oreste...
Non so se ciò che aveva trovato fosse la tomba di Oreste o meno... certo che se fossero però corrette le dimensioni... doveva trattarsi di un vero e proprio gigante!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Balai, 1° novembre 2007

E' arrivato l'autunno...
Con il suo tempo, il freddo, il vento,
si è portato via i resti di quella splendida estate...
che è stata!





Dove c'era la spiaggia e i bagnanti ora c'è solo acqua...
spumeggiante della sua forza.
E sopra, un cielo terso dallo sferzar dei venti,
ha sostituito la tepida calura di settembre!
Anche le rocce scricchiolano,
sotto i colpi possenti...
e si spaccano
e si sciolgono in sabbia.


E dove c'erano rocce nasce la spiaggia,
per i nuovi bagnanti... di un mondo nuovo!

E poi un'onda più forte delle altre spazza via tutto!
foto di Paola e Gavino FADDA
testi di Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO






sabato 3 novembre 2007

Su mobenti (l'asino)

Talvolta la realtà supera la fantasia... e quando si ascoltano i racconti dei nostri vecchi, si scoprono cose dell'altro mondo... che ci fanno sorridere...
Tanti anni fa era usanza l'accompagnare i fidanzati ogni volta che uscivano a passeggio per evitare che facessero danni...
Il compito spettava ai fratelli della donna oppure ai nonni. Talvolta i parenti della donna, quando parlavano del fidanzato, per non farsi capire, usavano dei nomi in codice... in questa storia, per esempio, il fidanzato era chiamato « mobenti » cioè asino.
Era sera e i due fidanzatini erano appena tornati, accompagnati dalla solita scorta, dalla passeggiata, quando cominciò a piovere a dirotto. Il tempo passava ma non accennava a smettere così, ad un certo punto, la padrona di casa decise di far stare il ragazzo a casa loro per la notte... La casa era piccola e la famiglia era grande... così il fidanzato fu sistemato nel loggiato, nella stanza adiacente dormivano i genitori della ragazza e nell'ultima stanza dormivano le donne e il nonno.
Il nonno, che tra l'altro era la loro scorta, non si fidava troppo del giovane e così parlò con il padre di lei che era già andato a letto, avvisandolo della presenza dell'ospite e raccomandandogli di far bene la guardia alle donne. Siccome il padre della ragazza ci vedeva da un occhio solo, il nonno gli disse di sistemarsi in modo da poter vedere cosa accadeva nel passaggio tra una camera e l'altra. Le camere erano infatti comunicanti e per andare in bagno o in cucina si doveva attraversare tutte le stanze...
Il nonno, sospettoso per natura temeva infatti che « su mobenti » tentasse di raggiungere la ragazza durante la notte. Così, mentre tutti dormivano, il padre della ragazza si svegliò per la sete e alzatosi avanzò a tentoni, senza accendere la luce per non svegliare nessuno, alla ricerca della bottiglia dell'acqua che solitamente si trovava sul comodino del nonno... Così, per errore, lo toccò e il nonno, svegliato di soprassalto e ricordandosi della presenza del fidanzato della nipote cominciò ad urlare: « Su mobenti s'est fuiu... su mobenti s'est fuiu... » (l'asino è scappato...) svegliando tutti quanti, ospite compreso, per un semplice bicchier d'acqua!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 2 novembre 2007

La posizione di Francia, Germania, Cina, Russia nel conflitto USA-IRAQ

I mass media hanno dato molto risalto alla posizione presa dalla Francia nel conflitto iracheno, contraria all’intervento unilaterale degli Stati Uniti in mancanza di prove certe di colpevolezza e dell’autorizzazione all’uso della forza da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
La posizione della Francia è facilmente individuabile sia dai discorsi del presidente Jaques Chirac, sia dalla linea politica sostenuta dai rappresentanti francesi in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, della NATO e dell’Unione europea, posizione sostenuta in forza del potere di veto posseduto in seno al Consiglio di Sicurezza.
Secondo il presidente francese Jaques Chirac, l’ONU è l’unica organizzazione internazionale che può decidere e quindi autorizzare l’uso della forza per la soluzione di problemi internazionali al fine di mantenere la pace e la stabilità. Per portare stabilità in Iraq gli strumenti da utilizzare sono il diritto, il dialogo tra culture, il rispetto del prossimo, il rispetto dei valori umani, la solidarietà e la ricerca di soluzioni politiche e soprattutto pacifiche.
La Francia ha trovato nella Germania un ottimo alleato nella sua linea di condotta. Francia e Germania hanno approfittato di ogni occasione per ribadire il loro punto di vista e per affermare che non permetteranno la legittimazione della guerra all’Iraq se non dopo aver avuto delle prove certe sia dell’esistenza di armi batteriologiche sia dell’esistenza di un programma segreto di armamenti di distruzione di massa, prove che devono essere ottenute tramite le ispezioni ONU e che devono essere valutate dall’ONU e non, unilateralmente, da uno Stato o gruppo di stati.
In seguito alla presentazione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU delle “prove” della colpevolezza dell’Iraq, ad opera di Colin Powell, la Francia ha sostenuto la necessità di rafforzare la missione degli ispettori affermando l’urgenza di fornire a Blix ed a ElBaradei tutti i mezzi e le informazioni necessari per verificare la veridicità delle presunte “prove” presentate da Powell al Consiglio di Sicurezza.
Francia e Germania, schierandosi apertamente contro gli Stati Uniti, hanno provocato la reazione indignata dei paesi europei più strettamente legati alla superpotenza. In particolare della Spagna, l’Italia e i paesi in corsa per accedere alla NATO.
Conseguenza indiretta di questa spaccatura nella linea di pensiero e nella condotta della politica estera tra i paesi europei, nei confronti del conflitto, ha causato la più totale impossibilità d’azione da parte dell’Unione europea, che ha dimostrato ancora una volta di non essere in grado di esprimere un peso politico rilevante in campo internazionale risentendo ancora troppo delle politiche estere nazionali.
La Francia rischia di rimanere isolata dall’Europa, anche per la scelta di stringere legami particolaristici con la Germania pacifista di Schroeder, anche dietro la spinta interessata della campagna mediatica condotta dai sostenitori degli Stati Uniti.
A dimostrazione di ciò si può considerare la dichiarazione di solidarietà, verso gli Stati Uniti, da parte di molti paesi europei a seguito delle dichiarazioni fatte durante i festeggiamenti del 40° anniversario del trattato Franco-Tedesco.
Nonostante il rischio di isolamento dovuto alla posizione anti interventista, l’analisi effettuata dalla Francia sui rischi di una guerra in Iraq si basa su considerazioni certamente non insensate e che possono essere riassunte fondamentalmente in alcune brevi considerazioni:
la guerra implica la morte di persone, civili e militari, Irachene e non;
la guerra implica distruzione;
la guerra potrebbe causare il collasso del paese, già in ginocchio da un trentennio di governo sconsiderato;
la guerra potrebbe contribuire alla destabilizzazione della regione mediorientale, già in fermento per i problemi noti.
Inoltre, gli effetti positivi che secondo gli Stati Uniti la guerra potrebbe avere sul paese e di riflesso sulla regione medio orientale in generale, vale a dire l’avvento della democrazia (stile occidentale) come conseguenza dell’allontanamento dal potere del governo di Saddam Hussein (con ripercussioni positive sul problema del terrorismo internazionale), non possono essere considerati certi in quanto si deve tenere in debito conto che le correnti religiose sciite potrebbero portare ad un avvicinamento dell’Iraq all’Iran, vanificando il tentativo degli Stati Uniti di portare la democrazia occidentale e rischiando di provocare più danni che benefici per il medio oriente.
La posizione della Francia appare essere, dunque, non quella del pacifista né quella dell’antiamericano, né diretta a salvare il regime di Saddam Hussein, ma dettata da considerazioni razionali di utilità, senza peraltro dimenticare gli interessi nazionali francesi nella zona e il problema dell’elevata percentuale di popolazione francese di religione musulmana.
La Francia ritiene in linea di massima che sia scorretto fare una guerra, tra le altre motivazioni, a causa di un errore di valutazione commesso dagli americani che, avendo già inviato sul posto 150.000 soldati, difficilmente possono tornare indietro senza provocare conseguenze politiche(1).
La Francia si dice pronta ad utilizzare il diritto di veto, in seno al Consiglio di Sicurezza, per impedire il progetto di risoluzione che legittimi l’intervento armato in Iraq, posizione sostenuta anche in seno alla NATO, dove la Francia si è opposta di fronte alle richieste degli Stati Uniti di fornire appoggio alla Turchia in vista della guerra, in quanto la NATO è una Organizzazione regionale avente carattere difensivo.
Alla stessa stregua di Francia e Germania, anche la Russia sostiene la necessità di proseguire la missione degli ispettori ONU, in tale contesto afferma che non vi è alcun motivo di parlare di una risoluzione che legittimi l’intervento armato in Iraq in quanto la situazione non desta particolare preoccupazione ma soprattutto perché un intervento con la forza sarebbe un grave errore sul piano politico nazionale e internazionale. Il capo della diplomazia Russa, Igor Ivanov, durante i colloqui con il capo della diplomazia finlandese ha affermato che:

“La Russie se prononce pour la continuation du travail des inspecteurs internationaux. S’il s’avère nècessaire d’offrir un soutien supplèmentaire aux inspecteurs au moyen d’une résolution, nous sommes prets à examiner cette question. [..] L’utilisation de la force contre l’Irak serait une misure extreme entrainant de lourdes conséquences, tant pour ce pays que sur le plan international. Il faut y avoir recours dans des cas extremes. [..] Le problème des armes de destruction massive en Irak pouvait réellement etre réglé par des moyens politiques et qu’il y avait aujourd’hui toutes les possibilités pour cela.” (2)

Francia, Germania e Russia, con il sostegno della Cina, il 25 febbraio 2003 presentano un memorandum al Consiglio di Sicurezza, articolato su quattro punti principali per mezzo del quale è possibile comprendere il punto di vista di questi paesi, con il quale propongono una loro linea d’azione basata su quattro punto cardine:
Disarmare l’Iraq. L’obiettivo imperativo della comunità internazionale è il disarmo reale e completo dell’Iraq. E’ nostra priorità far si che tale obiettivo sia raggiunto pacificamente per mezzo del regime delle ispezioni. Il ricorso all’uso della forza deve essere l’ultima possibilità;
L’uso della forza non è necessario. Nonostante l’esistenza di sospetti, nessuna prova è stata portata a favore della tesi che l’Iraq possieda delle armi di distruzione di massa. Le ispezioni hanno raggiunto un buon ritmo e proseguono senza ostacoli, hanno gà prodotto dei risultati significativi. La cooperazione irachena è migliorata, come indicato nel rapporto dei capi ispettori, anche se non è del tutto soddisfacente;
Rafforzare le ispezioni. La risoluzione 1441 ha stabilito un sistema rafforzato di ispezioni intrusive. In questo campo però non tutte le possibilità sono state utilizzate. Altre misure potrebbero essere prese, per esempio: l’aumento e la diversificazione del personale esperto; la creazione di unità mobili destinate in particolare al controllo dei convogli stradali; l’impiego di un nuovo sistema di controllo aereo; l’analisi sistematica delle informazioni fornite dal sistema di sorveglianza aerea;
Stabilire un calendario rigoroso. Nel quadro delle risoluzioni 1284 e 1441 i l programma di lavoro dovrà seguire un calendario realistico e rigoroso. Gli ispettori dovranno sottomettere i loro programmi di lavoro con l’indicazione dei principali compiti che l’Iraq dovrà assolvere, in relazione ai missili, alle armi chimiche, biologiche e nucleari durante la presentazione del rapporto del 1° marzo 2003. Perché una soluzione pacifica sia possibile, le ispezioni dovranno poter beneficiare dei tempi e delle risorse necessarie.
Il memorandum, chiaramente, andava contro gli interessi degli Stati Uniti che, nonostante contro il parere delle Nazioni Unite proseguirono nelle operazioni di dispiegamento delle forze.
Il presidente francese Jaques Chirac, a seguito dell’ultimatum americano del 17 marzo, ha riassunto con una dichiarazione alla stampa il suo pensiero sulla vicenda.
Secondo Chirac la Francia si è sempre preoccupata di rendere possibile il necessario disarmo dell’Iraq nel rispetto dell’autorità delle Nazioni Unite. In questo senso ha spinto affinché si provvedesse a intensificare le ispezioni per rendere possibile il disarmo, cosa che si è realizzata grazie all’azione degli ispettori delle Nazioni Unite.
L’azione della Francia è sempre stata improntata al rispetto del diritto e in virtù della propria concezione dei rapporti tra i popoli e tra le nazioni.
La Francia, fedele allo spirito della Carta delle Nazioni Unite, che considera come comune legge dei popoli della terra, ritiene che il ricorso all’uso della forza nei rapporti internazionali debba essere l’ultima spiaggia, da perseguire esclusivamente quando tutte le altre possibili linee d’azione si siano dimostrate inefficaci.
La posizione della Francia è condivisa dalla maggioranza della comunità internazionale e gli ultimi dibattiti hanno chiaramente mostrato che il Consiglio di Sicurezza non sarebbe stato disposto, viste le circostanze, a legittimare l’entrata precipitosa in guerra.
Per Chirac,

“Gli Stati Uniti hanno posto un ultimatum all’Iraq. Che si tratti, lo ripeto ancora una volta, del necessario disarmo dell’Iraq o del desiderabile cambio del regime nel paese, non è giustificabile il ricorso alla guerra attraverso una decisione unilaterale. Qualunque sia lo sviluppo successivo degli avvenimenti, quest’ultimatum mette in discussione l’idea che noi abbiamo delle relazioni internazionali. Ciò riguarda l’avvenire di un popolo, l’avvenire di una regione, la stabilità del mondo. E’ una decisione grave, in quanto il disarmo dell’Iraq è in corso e le ispezioni hanno dimostrato di essere una valida alternativa per il disarmo del paese. E’ una decisione che compromette per l’avvenire i metodi di regolamentazione pacifica delle crisi legate alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. L’Iraq non rappresenta, oggigiorno, una minaccia tale da giustificare una guerra immediata. La Francia fa appello alla responsabilità di ognuno affinché la legalità internazionale sia rispettata. Fa appello affinché sia preservata l’unità del Consiglio di Sicurezza nel restare all’interno del quadro fissato dalla risoluzione 1441. Affrancarsi dalla legittimità delle Nazioni Unite, privilegiare la forza al Diritto, significherà assumersi una sporca responsabilità.”(3)

Il discorso sottolinea, ancora una volta, il punto di vista francese riassumibile in breve:
la necessità di disarmare l’Iraq sotto la responsabilità delle Nazioni Unite;
la Francia considera che il ricorso alla forza sia l’ultima spiaggia;
il Consiglio di Sicurezza non legittimerà l’entrata precipitosa in guerra;
non è giustificabile il ricorso alla guerra attraverso la decisione unilaterale degli Stati Uniti;
l’ultimatum mette in discussione l’idea delle relazioni internazionali basate sul Diritto Internazionale;
tale modo d’agire potrà influire i metodi di regolamentazione pacifica delle crisi legate alla proliferazione delle armi di distruzione di massa;
gli Stati Uniti, privilegiando l’uso della forza al Diritto, si assumono una grave responsabilità.
Dello stesso avviso Germania, Russia, Cina e molti altri paesi, principalmente islamici ma non solo.
1. www.lefigaro.fr, 07 febbraio 2003, “Jaques Chirac maintient ses positions”, di Pierre Rousselin.
2. www.lefigaro.fr, 07 febbraio 2003, “Moscou reste favorable aux inspections”.
3. www.lefigaro.fr, “Ultimatum: Chirac dénonce une décision grave”, 18 marzo 2003.
_________________
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 1 novembre 2007

Infine, la Morte

Gioire di un pezzo di pane
offerto senza pretendere niente in cambio...

Pane di grano duro,
cresciuto nella mia Sardegna...
senz'acqua...

Acqua amica e nemica terribile,
di questa Terra!
Una Terra distrutta,
che tante volte ci ha visti morire...
dopo essere assurti a Stella luminosa lassù,
nell'Universo.

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo
30 ottobre 2007

MILANO (1995)

Il vero viaggio è quello senza ritorno
Lungo la strada disegnata dalle stelle
Incendiare i giorni della memoria
I muri dipinti dai sogni nostri
Milano è una ragnatela
Di fili d’acciaio
Il tram si inerpica nel dedalo
Dei palazzi nuovi.

Una notte portata via dal Naviglio
Ho visto il cuore immenso della città
Accesa di mille luci fluorescenti
Pulsava nascosto lontano dagli occhi
Indiscreti dei sentimenti.

Una vera città del futuro.

Sono stato felice un sospiro
Di attimo dimenticato
Il necessario ritorno
Alla fine d’ogni gesto.

Giuseppe MARCHI
“già pubblicata su Raccolta Ansol 2000- Milano”

mercoledì 31 ottobre 2007

7x10^9

Cingeremmo il mondo centocinquanta volte!
Se ci prendessimo per mano...
Invece lo massacriamo!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Solone, Platone e Fetonte, figlio del Sole

Ancora una volta, rileggendo il Timeo, vengo colpito da qualcosa...
Questa volta è il terzo capitolo, lo stesso in cui si parla del mito di Atlantide che mi colpisce per un aspetto che non avevo osservato con attenzione... e sempre Critia che racconta ciò che da ragazzo sentì da un più vecchio Critia durante la festa Cureotide che asseriva di averla sentita raccontare da Solone sulla sua visita in Egitto e in particolare presso la città di Sais.
Solone parlava con i sacerdoti del tempio di Neith (Atena) di Foroneo e Niobe, vissuti prima del Diluvio e di Deucalione e di Pirra e di come s'erano salvati dal Diluvio, quando un sacerdote, per alcuni di nome Sonchis, per altri Pateneit, lo interruppe dicendo:
"... voi Greci siete sempre fanciulli e un Greco vecchio non c'é [..] Perocchè non avete in essa per antica udita alcuna antica opinione né scienza che per il lungo tempo sia diventata canuta. E il perché di ciò è questo: molte volte e per molti modi avvennero stermini di uomini e ne avverranno, per mezzo del fuoco e dell'acqua i maggiori, e per infinite cause altri più lievi. Infatti ciò che si racconta presso di voi, che una volta Fetonte figlio del Sole, aggiogato il carro paterno, per non esser capace di guidarlo sulla strada del padre, bruciasse quanto era in terra e perisse fulminato, questo si racconta in forma di favola, ma la verità è la deviazione delle cose che circuendo la terra vanno per il cielo, a la distruzione per mezzo del fuoco, dopo lunghi periodi di tempo, di tutto ciò che è sulla terra. Allora infatti..."

Tutto il resto è interessantissimo ma voglio cercare di capire meglio queste poche righe...

In primis, il sacerdote afferma che i greci sono giovani nel senso che non conoscono la storia.
Motivo? Le numerose estinzioni che hanno colpito il genere umano (e in particolare il popolo greco).
Le estinzioni sono causate principalmente da acqua e fuoco, così nel passato come nel futuro.
Poi arriva la spiegazione della favola di Fetonte... che è visto come il figlio del Sole perchè portò distruzione per mezzo del fuoco... ma Fetonte non è altro che uno o più corpi celesti che deviati dal loro percorso finirono sulla terra e la distrussero con il fuoco.
E poi, per finire, sembra che ciò accada ripetutamente ad intervalli di tempo...

Bene, dopo queste poche righe vi invito a leggere il Timeo con attenzione e senso critico, cercando di andare oltre le parole, cercando di capire cosa potesse esserci dietro le parole...

Cercando di capire la Storia che potrebbe essere alla base di racconti, miti e leggende perchè conoscere meglio il passato potrebbe aiutarci a vivere meglio il presente preparandoci correttamente al futuro...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 30 ottobre 2007

Inutile...

Mi sento inutile,
quando mi accorgo di non poter far niente,
quando vorrei agire ma non posso,
imbrigliato dal conformismo
di questa nostra società morente!

Mi sento inutile,
quando seguo una lezione inconcludente,
tenuta da un Professore eminente,
lontano da me e dal tempo
tanto da non farsi capire...
E non poterglielo dire!

Mi sento inutile,
quando vedo l'agire quotidiano di chi ci guida
contrario all'etica ed al buon senso
ma ripagato da successo e denari...
E chi lavora onestamente... muore!

Mi sento forte
della mia inutilità apparente,
perché dietro l'apparire c'è l'Essere
e quello determina l'Agire...
E il Fare cancella il mio sentirmi inutile!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 28 ottobre 2007

Cos'è il software Open Source?

Bella domanda davvero!
Più difficile rispondervi in modo chiaro...
Per provare a rispondere riprendo in parte quanto ho già scritto in precedenti articoli e vi aggiungerò delle nuove considerazioni, principalmente di carattere organizzativo-strategico.
E' credenza comune che il software Open Source sia gratuito, ma non è sempre così!
Il termine “open source” è impiegato per identificare il software il cui codice sorgente può essere liberamente studiato, modificato, copiato e ridistribuito.
Il software Open Source “nasce” nel 1983 quando Richard Stallman, ricercatore del Massachusetts Institute of Technology, decide di realizzare un sistema Unix completamente gratuito ad uso e consumo di studenti e ricercatori. Quello stesso anno la AT&T decise di commercializzare il sistema Unix.
Stallman lanciò il progetto GNU(1) con l'intento di creare un sistema operativo completo dei più comuni applicativi. Per sostenere la sua iniziativa, che intanto prendeva piede tra i colleghi, Stallman creò la “Free Software Foundation”(FSF) (2), con cui intendeva sponsorizzare la libertà di distribuire il codice sorgente di tutti i programmi. La Free Software Foundation scrisse un contratto di licenza per il software open, chiamato GNU General Public License (GNU GPL), che stabilisce come deve essere reso disponibile il codice sorgente e prevede che i programmi che includono codice coperto dalla GNU General Public License devono essere resi disponibili sotto lo stesso tipo di licenza.
La GNU GPL (versione 2 del giugno 1991 (3) nel preambolo spiega che:
“Le licenze della maggior parte dei softwares sono scritte per sottrarvi la libertà di condividere e di modificare (il software – n.d.a.). Al contrario, la GNU General Public License è intesa per garantire la vostra libertà di condividere e modificare software libero garantendo che il software sia libero per tutti i suoi utilizzatori. Questa General Public License si applica alla maggior parte dei software della Free Software Foundation e ad ogni altro programma i cui autori si impegnano ad impiegarla. (Alcuni altri software della Free Software Foundation sono invece coperti dalla GNU Library General Public License.) Potete applicarla anche ai vostri programmi. Quando parliamo di software “free”, ci riferiamo alla libertà, non al prezzo. Le nostre General Public Licenses sono scritte per garantirvi la libertà di distribuire copie di software libero (e guadagnare per il servizio reso, se lo desiderate), di ricevere il codice sorgente se lo volete, di poter modificare il software o impiegare parti di esso in nuovi programmi liberi e di sapere che potete fare tutto ciò”(4).
La GNU GPL prosegue spiegando cosa è possibile fare e cosa no ma, per quello che ci interessa è sufficiente questa parte. Il software Open Source è libero, non si paga, a meno dei costi di riproduzione e distribuzione delle copie. Ciò rende il software open source incredibilmente vantaggioso se paragonato al software soggetto ad altro tipo di licenza.
Oggi esistono anche altri tipi di licenze che definiscono software più o meno liberi, ma soprattutto esistono tanti software open source che possono essere liberamente impiegati, studiati, migliorati e ridistribuiti. Si va dai Sistemi Operativi quali Linux (nelle diverse versioni e distribuzioni), sviluppato da Linus Torvald a partire dal 1991, ai software per uso d'ufficio quali Open Office e, ultimamente, si comincia a vedere anche qualche videogioco (per la felicità degli appassionati).
(Inserire la Figura 2: Ecco come si presenta il software Open Office Writer, chi conosce Microsoft Word si trova subito benenell'impiego di open Office, molte icone sono infatti simili.)
Ma allora perché molte grandi organizzazioni, non impiegano (se non sporadicamente) software open source?
La lettura attenta della licenza GNU GPL ci aiuta anche in questo.
E' sufficiente leggere il paragrafo “TERMS AND CONDITIONS FOR COPYING, DISTRIBUTION AND MODIFICATION” (5) per capire che uno dei problemi è la mancanza di garanzia, infatti,
“Siccome il programma è licenziato nella forma gratuita, non c'è garanzia, nei limiti permessi dalla legge. Salvo indicazione contraria nel copyright, i proprietari e/o altre parti forniscono il software “così com'è”, privo di garanzia di qualunque tipo, esplicita o implicita, incluse, ma non solo, le garanzie implicite nella commercializzazione relativamente l'assolvimento di uno scopo particolare. L'intero rischio in relazione alla qualità ed alla performance è vostro. Se anche il programma dovesse mostrare dei difetti voi vi dovrete fare carico dei costi dei servizi necessari, riparazioni o correzioni. In nessun caso, ad eccezione di quanto previsto in applicazione della legge o in accordo con quanto riportato in copyright proprietari o con altra parte che possa modificare e/o ridistribuire il programma come sopra indicato, saremo responsabili nei vostri confronti per i danni generali, speciali, incidentali o consequenziali, che dovessero presentarsi nell'uso o che dovessero causare problemi nell'impiego del programma (inclusa, ma non solo, la perdita di dati, la perdita di accuratezza dei dati a vostro danno o a danno di terze parti; oppure il malfunzionamento del programma nell'operare con altri programmi), soprattutto se tale possessore o ogni altra parte sia stata avvisata della eventualità che tali danni possano verificarsi.”(6)
Appare chiaro che sia la mancanza di garanzia a far paura alle organizzazioni!
Certo, non è semplice introdurre l'impiego di software open source ma non si tratta neanche di un'impresa impossibile... Ciò che è importante è "non procedere a casaccio". E' necessario studiare a tavolino la portata di una operazione del genere... che è sicuramente più complessa di un "semplice" aggiornamento di software.
E' necessario predisporre un team di esperti interni all'organizzazione che si occupino di studiare le interazioni e le possibili ripercussioni sull'organizzazione, cioè devono compiere una completa analisi dei rischi. E' inoltre necessario capire se e quali sono i vantaggi e gli svantaggi di una tale scelta, non solo in termini economici ma anche in termini strategici.
E' necessario pianificare la migrazione nei minimi dettagli e, infine (forse), è necessario predisporre tutto quanto occorre affinchè si possa tornare indietro in caso ci si renda conto di aver commesso qualche grave errore di valutazione!
Tutto ciò non è a costo zero e richiede competenze elevate e non certo disponibili dietro l'angolo, questo presuppone che l'organizzazione che decidere di seguire la strada dell'open source abbia la possibilità di preparare il personale e che tale scelta sia capita e appoggiata al più alto livello dirigenziale.
Tutto ciò non è facile e, seppure lo fosse, non è detto che vada bene sempre e per qualunque tipo di organizzazione!
Considerazioni di carattere strategico dovrebbero essere alla base di una simile scelta da parte di organizzazioni statali o di grandi organizzazioni internazionali.
Talvolta infatti può essere necessario rendersi "indipendenti" e quindi non soggetti ai "capricci" dei produttori di software. Ciò vale soprattutto quando non si abbiano grosse esigenze di seguire l'evoluzione spasmodica dei pacchetti applicativi...
Chi di noi può dire di aver conoscenza e assoluta necessità di tutte le funzioni presenti, per esempio, nel pacchetto Office della Microsoft? Credo nessuno!
Eppure talvolta si inseguono le nuove versioni e così facendo, spesso, è necessario cambiare anche hardware o, nella migliore delle ipotesi, procedere all'aggiornamento dello stesso...
Ma è realmente necessariò?
Quanto di ciò che ci viene venduto è realmente necessario per il nostro lavoro?
Quanto invece è inutile ma lo paghiamo lo stesso?
Ma queste sono altre domande...
e meritano trattazione a parte!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
_________________________
1 L'acronimo GNU significa “GNU is not UNIX” cioè “GNU non è Unix”.
2 Maggiori informazioni possono essere reperite su internet all'indirizzo: www.gnu.org.
3 GNU GENERAL PUBLIC LICENSE, Version 2, June 1991 - Copyright (C) 1989, 1991 Free Software Foundation, Inc. -
(www.fsf.org).
4 La traduzione in italiano non rende esattamente il senso per cui riporto integralmente in nota il testo in lingua originale: “ The licenses for most software are designed to take away your freedom to share and change it. By contrast, the GNU General Public License is intended to guarantee your freedom to share and change free software to make sure the software is free for all its users. This General Public License applies to most of the Free Software Foundation's software and to any other program whose authors commit to using it. (Some other Free Software Foundation software is covered by the GNU Library General Public License instead.) You can apply it to your programs, too.“When we speak of free software, we are referring to freedom, not price. Our General Public Licenses are designed to make sure that you have the freedom to distribute copies of free software (and charge for this service if you wish) , that you receive source code or can get it if you want it, that you can change the software or use pieces of it in new free programs; and that you know you can do these things.”
5 Termini e condizioni per la copia, la distribuzione e la modifica.
6 Anche in questo caso ritengo corretto inserire il testo in lingua originale: “because the program is licensed free of charge, there is no warranty for the program, to the extent permitted by applicable law. Except when otherwise stated in writing the copyright holders and/or others parties provide the program “as is” without warranty of any kind, either expressed or implied,including, but not limited to, the implied warranties of the implied warranties of merchantabilityand fitness for a particular purpose. The entire risk as to the quality and performance of the program is with you. Should the program prove defective, you assume the cost of all necessary servicing, repair or correction. In no event unless required by applicable law or agreed to in writing will any copyright holder, or any other party who may modify and/or redistribute the program as permitted above, be liable to you for damages, including any general, special, incidental or consequential damages arising out of the use or inability to use the program (including but not limited to loss of data or data being rendered inaccurate or losses sustained by you or third parties or a failure of the program to operate with any other programs), even if such holder or other party has been advised of the possibility of such damages.

sabato 27 ottobre 2007

La posizione dell’ONU riguardo il conflitto USA-IRAQ

La Carta delle Nazioni Unite è categorica, "allo scopo di assicurare un’azione pronta ed efficace da parte delle Nazioni Unite" conferisce al Consiglio di Sicurezza la "responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale"(1)

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in un articolo apparso il 12 marzo 2003 ha espresso in questo modo i suoi legittimi dubbi in merito alla situazione internazionale, ribadendo, in primo luogo, la responsabilità principale del Consiglio di Sicurezza nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tale responsabilità gli deriva dalla Carta delle Nazioni Unite che, all’art. 24 stabilisce:

“Al fine di assicurare un’azione pronta ed efficace da parte delle Nazioni Unite, i Membri conferiscono al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e riconoscono che il Consiglio di Sicurezza, nell’adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce in loro nome. Nell’adempimento di questi compiti il Consiglio di Sicurezza agisce in conformità ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite.” (2)

In secondo luogo ha posto l’accento sul problema della minaccia rappresentata dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa, problema particolarmente sentito nella questione irachena in quanto l’Iraq ha utilizzato tali armi in due precedenti occasioni, nella guerra contro l’Iran e in quella contro il Kuwait.
Kofi Annan esprime preoccupazione per questa guerra in quanto potrebbe aumentare l’instabilità e la crisi economica nella regione, senza considerare poi le possibili imprevedibili ripercussioni che una guerra può avere.
Tre in particolare le domande che ci si deve porre, le cui risposte dovrebbero essere attentamente valutate, sulle possibili conseguenze della guerra:

“Renderà ancora più difficile la lotta al terrorismo o la ricerca della pace fra israeliani e palestinesi?
Segnerà divisioni profonde tra nazioni e popoli di fedi diverse?
Comprometterà la nostra capacità di lavorare insieme per affrontare in futuro altre preoccupazioni di comune interesse?”
(3)

Nell’articolo Kofi Annan ricorda che si deve ricorrere alla guerra solo dopo aver tentato ogni ragionevole alternativa. Mette in evidenza, inoltre, che se i Membri

"non riescono a trovare un accordo su una posizione comune, e qualcuno di loro intraprende un’azione priva dell’Autorizzazione del Consiglio, la legittimità di quell’azione sarà ampiamente messa in discussione e non otterrà l’appoggio politico necessario a garantire il successo anche dopo la fase militare.” (4)

Kofi Annan pone l’accento sul fatto che, al di là di come si risolverà il conflitto con l’Iraq,

“il successo o il fallimento della Comunità internazionale nel risolvere la crisi irachena inciderà in modo cruciale sulla sua capacità di affrontare sviluppi non meno inquietanti nella penisola coreana.”

Non è la prima volta che la posizione dell’ONU non è condivisa da alcuni Stati, membri o meno dell’Organizzazione. Già in passato (5) si sono verificati casi del genere, ma forse la crisi non è mai stata così grave.

Che si proteggano dal terrorismo o combattano contro la triade sinistra di povertà, ignoranza e malattie, le nazioni hanno bisogno di lavorare insieme, e lo possono fare attraverso le Nazioni Unite. Comunque venga risolto questo conflitto, l’ONU resta centrale. Dovremmo fare tutto il possibile per mantenere l’unità.” (6)

Più che un appello alle Nazioni affinché lavorino assieme per la risoluzione dei problemi contingenti, il discorso appare essere una dichiarazione di sconfitta di fronte al mondo.
E’ interessante notare come la posizione dell’ONU rappresenti, in linea di massima, quella della comunità internazionale nel suo complesso, posizione temperata dal diritto di veto dei cinque paesi fondatori. E’ importante notare ciò, in quanto il diritto di veto gioca un ruolo fondamentale nell’assunzione di decisioni da parte dell’ONU quando queste sono contrarie alla politica estera dei cinque paesi fondatori.
Il diritto di veto si pone, dunque, come uno strumento di politica estera utilizzabile dai paesi fondatori delle Nazioni Unite a salvaguardia dei propri interessi. Nel 1945 il diritto di veto era attribuito alle cinque potenze mondiali riconosciute ma, attualmente, sono cambiati i rapporti di potenza nel mondo e il diritto di veto non rispecchia la reale potenza degli Stati detentori. I rapporti di potenza all’Interno dell’ONU portano all’emanazione delle risoluzioni, la più importante, che prenderemo come punto di riferimento, è la 1441 del 8 novembre 2002.
Con la risoluzione 1441, il Consiglio di Sicurezza, com’è uso, richiama i precedenti aventi rilevanza con il caso in argomento ed in particolare:
la risoluzione n. 660 del 2 agosto 1990;
la risoluzione n. 661 del 6 agosto 1990;
la risoluzione n. 678 del 29 novembre 1990;
la risoluzione n. 686 del 2 marzo 1991;
la risoluzione n. 687 del 3 aprile 1991;
la risoluzione n. 688 del 5 aprile 1991;
la risoluzione n. 707 del 15 agosto 1991;
la risoluzione n. 715 del 11 ottobre 1991;
la risoluzione n. 986 del 14 aprile 1995;
la risoluzione n. 1284 del 17 dicembre 1999;
la risoluzione n. 1382 del 29 novembre 2001.
Riconosciuto il mancato rispetto, da parte dell’Iraq, delle precedenti risoluzioni e dei trattati sulla proliferazione delle armi di distruzione di massa e sui missili a lungo raggio, passa a ricordare alcuni passi importanti delle precedenti risoluzioni.
La risoluzione 678, in particolare, autorizzava gli Stati Membri ad utilizzare

“all necessary means to uphold and implement its resolution 660 [..] and all relevant resolution subsequent to resolution 660 (1990) and to restore international peace and security in the area (7)”,

mentre la risoluzione 687 imponeva una serie di obblighi all’Iraq per il ripristino della pace e della sicurezza nella regione.
Si deplora che l’Iraq non abbia provveduto a rendere noti, come richiesto dalla risoluzione 687, in modo completo accurato e sotto ogni aspetto, i propri programmi di sviluppo delle armi di distruzione di massa, dei missili balistici aventi gittata superiore ai centocinquanta chilometri e dei programmi nucleari.
Si deplora il fatto che l’Iraq abbia ripetutamente ostacolato l’accesso ai siti designati dalla UNSCOM (8) e dalla IAEA (9), non abbia collaborato pienamente con gli ispettori e infine, nel 1998, abbia cessato ogni forma di collaborazione con gli stessi.
Si deplora l’assenza, fin dal dicembre 1998, del monitoraggio internazionale, delle ispezioni e delle verifiche richieste nelle risoluzioni indicate in precedenza e ci si dispiace per il conseguente prolungamento della crisi nella regione e delle prolungate sofferenze del popolo iracheno.
Si deplora che il governo iracheno non abbia rispettato la risoluzione 687, in materia di terrorismo; che non abbia rispettato la risoluzione 688 che chiedeva di porre fine alla repressione nei confronti della popolazione civile e di permettere l’accesso, sul territorio, alle organizzazioni umanitarie internazionali; che non abbia rispettato gli obblighi, imposti dalle risoluzioni 686, 687 e 1284, relativamente alla restituzione di proprietà Kuwatiane o di paesi terzi illecitamente trattenute in Iraq.
Si ricorda che la risoluzione 687 (1991) poneva a base del “cessate il fuoco” il rispetto e l’accettazione di quanto contenuto al suo interno, con tutti gli obblighi derivanti.
Per assicurare il pieno ed immediato rispetto, da parte dell’Iraq, della risoluzione 687 e seguenti risoluzioni in materia, si ribadisce l’importanza della UNMOVIC (10) e della IAEA nello svolgimento delle ispezioni.
Si prende nota dei contenuti della lettera del 16 settembre 2002, del Ministro degli Esteri iracheno, tendente a modificare la situazione creatasi in direzione di quanto sancito dal Consiglio di Sicurezza.
Si prende nota del contenuto della lettera del 8 ottobre 2002 del Presidente della UNMOVICI e del Segretario Generale dell’IAEA all’Iraq con cui s’indicavano dei provvedimenti pratici da porre in atto come requisiti base per la ripresa delle ispezioni e si esprimeva preoccupazione per la mancata conferma da parte del Governo Iracheno al rispetto di quanto concordato.
Si afferma l’impegno di tutti gli Stati Membri al rispetto della sovranità e integrità territoriale dell’Iraq, Kuwait e degli Stati confinanti; si loda l’impegno del Segretario Generale, dei membri della Lega degli Stati Arabi e del loro Segretario Generale per la ricerca di una soluzione di pace. Determinato ad assicurare il pieno rispetto delle sue decisioni, agendo sotto il capo VII della Carta delle Nazioni Unite, decide:
a. che l’Iraq non ha assolto gli obblighi derivanti dalle principali risoluzioni, in particolare a quelli derivanti dalla risoluzione 687 (1991) in materia di disarmo e di cooperazione;
b. di dare una ultima possibilità all’Iraq, affinché assolva agli obblighi derivanti dalle risoluzioni 687 e seguenti;
c. che, al fine di assolvere agli obblighi suddetti, in aggiunta alla relazione biennale deve essere presentata una relazione accurata e completa riguardante tutti gli aspetti relativi ai programmi di sviluppo di armi chimiche, biologiche e nucleari, missili balistici, e qualunque cosa possa esservi correlata;
d. che qualunque omissione, dichiarazione falsa, mancanza di cooperazione, sarà considerata come un ulteriore violazione degli obblighi derivanti dall’applicazione delle risoluzioni;
e. che l’Iraq dovrà permettere agli ispettori UNMOVIC e IAEA l’accesso immediato, senza impedimenti, incondizionato e senza restrizioni ad ogni luogo, area, sottosuolo, edifici, documenti, mezzi di trasporto, registrazioni, equipaggiamenti, attrezzature. Dovrà altresì permettere l’interrogatorio del personale militare e non, senza la presenza di osservatori appartenenti al governo iracheno;
f. si conferma quanto riportato nella lettera del 8 ottobre 2002 dei presidenti delle commissioni ispettrici al Governo iracheno e si stabilisce che i contenuti della lettera dovranno essere vincolanti per l’Iraq;
g. si decide, inoltre, al fine di permettere il raggiungimento degli scopi prefissati, di apportare delle modifiche agli organi ispettivi e alle autorità incaricate;
h. si decide inoltre che l’Iraq non dovrà tenere comportamenti ostili verso le rappresentanze o il personale dell’ONU o dell’IAEA o verso qualunque altro Membro che intraprenda azioni in ottemperanza alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza;
i. si richiede al Segretario Generale delle Nazioni Unite di inoltrare, con immediatezza, la risoluzione al governo iracheno, risoluzione vincolante per l’Iraq, chiedendo conferma dell’intenzione di accondiscendere pienamente con quanto stabilito e chiedendo che l’Iraq cooperi con immediatezza, sensa restrizioni, incondizionatamente ed attivamente con UNMOVIC e con l'IAEA;
j. si chiede agli Stati Membri di dare pieno supporto a UNMOVIC ed a IAEA per lo svolgimento dei mandati avuti, anche fornendo qualunque informazione relativa a programmi proibiti o ad altri aspetti dei loro mandati, inclusi i tentativi dell’Iraq di acquisire articoli proibiti, siti da ispezionare, persone da interrogare, dati da raccogliere, eccetera. Tutti i dati e le informazioni raccolte dovranno essere relazionate al Consiglio da UNMOVIC e dall’IAEA;
k. invita il Presidente esecutivo di UNMOVIC e il Direttore Generale di IAEA a riferire con immediatezza al Consiglio su qualunque interferenza dell’Iraq verso le attività degli ispettori, come pure su qualunque mancanza dell’Iraq verso gli obblighi di disarmo nella loro interezza;
l. si decide di riunirsi immediatamente alla ricezione di rapporti, previsti ai punti 4 e 11, che richiedano l’analisi della situazione, per garantire il pieno rispetto delle risoluzioni sull’argomento e per assicurare il ripristino della pace e della sicurezza internazionale;

m. si ribadisce, infine, che il Consiglio ha ripetutamente avvisato l’Iraq delle serie conseguenze che possono comportare le ripetute violazioni dei suoi obblighi e di decide di mantenersi informati sull’evoluzione della situazione.
E’ importante notare la complessità di questa risoluzione articolata in quattordici punti, che si ricollega a quanto detto in altre precedenti risoluzioni ed in alcune lettere con le quali si stabilivano delle procedure operative preliminari alla ripresa delle ispezioni.
D’altro canto, i punti essenziali sono ben individuabili nel testo e su questi, e sulla loro differente interpretazione, si è basato il dibattito politico concernente la necessità di una seconda risoluzione che autorizzasse l’intervento armato contro l’Iraq.
In particolare è interessante notare come al punto "k" si dice:

“Decides to convene immediately upon receipt of a report in accordance with paragraphs 4 or 11 above, in order to consider the situation and the need for full compliance with all of the relevant Council resolutions in order to secure international peace and security”.

Su questa base i paesi schierati per il non intervento armato sostengono che la risoluzione 1441 non autorizza l’uso della forza ma stabilisce il quadro generale della situazione e consente il ritorno degli ispettori e lo svolgimento delle attività ispettive.
Viceversa, secondo gli interventisti questa risoluzione autorizza l’intervento in quanto:
nel preambolo si afferma che si agisce sotto il capo VII;
al punto "b" si offre un’ultima opportunità all’Iraq per rientrare nella legalità, opportunità non accettata dall’Iraq, alla luce del comportamento non pienamente aderente a quanto stabilito.
Per capire chi abbia ragione ci si può basare sulla somiglianza della risoluzione 1441 con la risoluzione 678 del 29 novembre 1990 con la quale le Nazioni Unite autorizzavano gli Stati Membri a cooperare con il Kuwait e ad usare tutti i mezzi necessari per far rispettare all’Iraq la risoluzione 660 e seguenti e per riportare la pace e la sicurezza nell’area. Con questa frase si autorizzava la guerra del Golfo.
Con la risoluzione 678 del 29 novembre 1990, si dava un’ultima opportunità all’Iraq, anche allora si agiva sotto il Capo VII ma la differenza è da ricercarsi proprio nella frase (mancante nella risoluzione 1441) “to use all necessary means to”.
Il volere dell’ONU appare essere quello indicato ai punti "l" ed "m" che, come già visto, danno disposizioni puntuali e precise in merito al comportamento da tenere e cioè:
riferire con immediatezza, al Consiglio di Sicurezza, su qualunque interferenza dell’Iraq verso le attività degli ispettori, come pure su qualunque mancanza dell’Iraq verso gli obblighi di disarmo nella loro interezza;
riunirsi immediatamente alla ricezione dei rapporti, previsti ai punti "d" e "j", che richiedano l’analisi della situazione, per garantire il pieno rispetto delle risoluzioni sull’argomento e per assicurare il ripristino della pace e della sicurezza internazionale.
In questo senso non vi possono essere dubbi sul fatto che il Consiglio di Sicurezza non avesse ancora deciso di autorizzare l’uso della forza contro l’Iraq ma, piuttosto, si riservasse il diritto di decidere, a seguito delle risultanze delle ispezioni autorizzate, quali azioni intraprendere per assicurare il ripristino della pace e della sicurezza internazionale.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
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1 Il dilemma degli Stati e il Diritto dei Popoli, Corriere della Sera, 12 marzo 2003, traduzione a cura di Monica Levy
2 Carta delle Nazioni Unite, Art. 24.
3 Il dilemma degli Stati e il Diritto dei Popoli, Corriere della Sera, 12 marzo 2003, traduzione a cura di Monica Levy
4 Ibidem
5 E’ il caso dell’intervento in Bosnia, in quell’occasione l’intervento fu legittimato solo in seguito all’intervento armato ad opera della NATO.
6 Il dilemma degli Stati e il Diritto dei Popoli, Corriere della Sera, 12 marzo 2003, traduzione a cura di Monica Levy.
7 Resolution 1441 (2002) adopted by the Security Council at 4644th meeting, on 8 november 2002. Trad. “tutto ciò che occorre per mettere in atto la risoluzione 660 e tutte le principali risoluzioni seguenti e per ripristinare la pace e la sicurezza internazionale nell’area”.
8 United Nations Special Commission, stabilita dalla risoluzione n. 687 (1991).
9 International Atomic Energy Agency.
10 United Nations Monitoring, verification and Inspection Commission, stabilita dalla risoluzione n. 1284 (1999) in sostituzione della UNSCOM.

lunedì 22 ottobre 2007

ENIGMA (1989)

L’enigma è come facciano
A nuotare le stelle:
ma poi le domande
finiscono per rispondere
e le stelle mi accontento
di guardarle
senza capire.

Giuseppe MARCHI
(Differenze. Cultura Duemila Editrice 1992)

domenica 21 ottobre 2007

L'importanza strategica della lingua...

In questi ultimi anni ho sempre cercato di migliorare la conoscenza delle lingue straniere, in particolare della lingua inglese, un po per necessità un po per sete di conoscenza.
Eppure mentre leggevo un articolo in inglese o un libro di informatica o ancora una presentazione della NATO, pensavo all'importanza strategica per una nazione di una lingua forte e avente rilevanza a livello internazionale.
Nei secoli diverse lingue si sono alternate nel ruolo di lingua franca, il greco prima, il latino poi ed ora l'inglese. Il futuro potrebbe essere dello spagnolo o del cinese oppure... perchè no, dell'italiano!
Ma perchè è così importante avere una lingua forte e internazionale? I motivi sono tanti, economici, politici e strategici.
Cerchiamo di analizzare la situazione italiana e quindi della lingua italiana, in particolare nei confronti della lingua internazionale per eccellenza, l'inglese.
Chi ha frequentato l'università negli ultimi dieci anni in una facoltà scientifica si è potuto rendere conto della sudditanza culturale cui l'Italia è assoggettata. I libri di testo sono quasi sempre in lingua inglese come, peraltro, gli articoli delle riviste tecniche o i siti internet.
L'Unione Europea, in teoria, riconosce l'uguaglianza delle lingue ufficiali dei paesi membri ma è solo apparenza. La realtà è diversa. Nel tempo si è andato affermando il principio di “lingua di lavoro” - l'inglese - e poi si è passati a “lingue di lavoro” - inglese, francese e tedesco – le altre lingue non vengono utilizzate se non raramente.
In questa condizione si trovano, per essere chiari anche altre nazioni europee, la Spagna, il portogallo, la grecia, la Francia e la Germania per citarne solo alcune, anche se non per tutti il problema è della stessa gravità...
Vi va di parlarne?
Anche su Facebook...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Dieci parole...

Acqua...
Avevamo tutti una sete del diavolo, dopo la corsa a cavallo sotto il sole, sulle sabbie dorate di Alghero...
Se ci avesse visto qualcuno ci avrebbe potuto scambiare per "bandidos", quelli messicani che rubavano cavalli nei fumetti di Tex Willer e poi finivano impiccati ad un ramo di un albero!
E invece eravamo ragazzi di buona famiglia, allevati a base di caffellatte e crostata di mele della nonna...
La casa era proprio sulla spiaggia, vicino al fiume... un tempo era un fiume, ora era diventato un rigagnolo e l'acqua aveva cambiato colore...
Un tempo nonna mi mandava a prendere l'acqua in quel fiume, la usava per impastare la farina per il pane... Ricordo come fosse ieri quei giorni felici, quei sapori, quegli odori...
Ricordo quel profumo di pane caldo e poi l'aroma delle formaggelle...
Gioventù passata... gioventù tutt'altro che bruciata!
Ora, è cambiato tutto... mare... montagna... il mondo è solo l'immagine sbiadita del "mio mondo", quello dei ricordi...
Il mondo di allora, purtroppo, è scomparso... sconvolto in ogni sua parte cerca di sopravvivere all'Uomo... distruggendolo!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 20 ottobre 2007

Da bambino

Da bambino ero affascinato da curiosi lampadari che ornavano i portici della piazza del mio quartiere. Roma è una città strana. Anzi esistono più città. La mia si chiamava e si chiama tuttora col nome di un santo piemontese. Don Bosco. I salesiani gestiscono l’oratorio, la scuola e la chiesa. Una chiesa costruita negli anni ‘50. L’architetto pensava a San Pietro ma vedeva l’EUR. Due braccia di portici come quelli del Brunelleschi ma non più ellittici, quadri. Come se il futuro rappresenti la quadratura della sfera. Per se stessa e per gli antichi perfetta. Per noi moderni troppo rotonda. Colonne a parallelepipedo. Finestre piccole e quadrate. Troppi occhi ciechi sull’abbandonato giardino di ghiaia. Una fontana neanche al centro, piena di carte e rifiuti. Sul bianco del granito una scritta nera. “ La nato non è un fiore”.
Non so dire se oggi quei lampioni ci siano ancora. Dalla finestra del primo piano che ospitava il coiffeur per signore dove si acconciava i capelli mia madre, guardavo l'asta lignea che reggeva una sorta di esaedro da cui scaturiva la luce. Avevo otto anni. Troppo piccolo per restare solo a casa, troppo grande per starmene lì buono a giocare, mentre le signore parlavano, parlavano. Dino era il parrucchiere. Mi piaceva, avrà avuto qualche anno meno di mia madre, giocava col nome, io per tutti ero Pino.
Adesso ha attraversato l’oceano e accompagna turisti a Santo Domingo.
Dal centro del mondo alla periferia dei nostri sogni.
Era così vicino che sembrava potessi toccarlo, solo fossi stato più grande. Qualche centimetro più alto. Era inutile protendere le braccia poiché risultavano sempre troppo corte per afferrare il lampadario.
E poi perché prenderlo? Forse per usarlo come uno strano trapezio da circo, per dondolarmi nell'aria del sottoportico.
Lo escludo, perché ho sempre sofferto delle altitudini ! Ancora adesso, i ponti guardando giù in basso, mi fanno star male. Ma un male atipico, che fa girare le budella, che da nausea, ma è controllabile, basta allontanarsi un poco dalla balaustra. E dà l'ebbrezza della sofferenza, della caducità.
Il sapore sconosciuto del suicidio. Parola magica e tabù. Chi ha saputo superare la barriera estrema dell'amor proprio. “Salvata da un pino" recitava il giornale della Sera. Mai viste conifere in periferia di Roma. Forse per il distratto giornalista di cronaca nera era meglio che la folle donna morisse e invece si ruppe solo le ossa principali, meschina! Trattenuta nel volo a cadere da un povero oleandro mezzo piegato. Eppure non erano bastati sei piani per mandare in frantumi quel corpo. Ma chi cura quell'anima fratturata ? Senza via di scampo...o scelta lucida. Non ho avuto possibilità di chiedergli la cosa più importante, la domanda che il frettoloso giornalista botanico non si è posta: dove stavi andando, volando o cadendo signora cinquantenne di un condominio popolare del mio quartiere-città?
Noi, che stiamo dall'altra parte a guardare attoniti, non sappiamo nemmeno immaginare il vuoto dentro e fuori. In ogni posto del mondo, c'è la morte. Lo so da quando ero bambino e gioivo silenzioso e incauto dietro qualche funerale di parenti. Poi l'uomo è maturato e quel cinismo innocente è diventato angoscia, tutte le volte ed ogni volta ancora. Quando la morte è passata, non so se soddisfatta del suo lavoro, ingrato. Chi prima e chi dopo. E noi ad insultare l'intelligenza e la vita stessa, col pianto. Ovunque ho visto la morte. Quegli occhi neri come buchi vuoti sfiorarmi o prendermi decisamente la mano senza vedermi.
Una stretta rapida e calda. E poi mi è rimasto il tiepido ricordo dell'inesistente. E noi ciechi a non vedere la vita, perché è questa la vertigine invisibile, l'unica giustificazione alla morte. La vita stessa che è necessaria, tanto veloce da non sentirne i passi, come un viaggio da solo, senza o con ritorno.
Adesso sto seduto su un treno e si fa notte. Non sono più bambino. Seguo ancora un attimo i fili paralleli dell'elettricità e il leggero nistagmo rappresenta un paesaggio sfocato, che non può appartenermi, visto nella velocità.
Il silenzio si impadronisce dei miei sensi, in mezzo a tanta gente. Qualcuno dorme e aspetta di arrivare , quell’altro per fretta parla di niente allo sconosciuto al suo fianco.
Solo un brusio di fondo del respiro, un mondo intero dalle dimensioni impossibili. Questo tacere è il preludio al suono magico della preveggenza. Così si allontana la vertigine di certi ricordi imbarazzanti, di certi cedimenti alla sconfitta. Non alla morte sorella, perché pur essendo ottimista, ammetto di essermi alla fine arreso alla vita.
Da bambino non ce l'ho fatta ad arrampicarmi a quel lampadario e volare. Sono rimasto coi piedi nelle scarpe, davanti al davanzale. La finestra socchiusa e lontano il via-vai delle strade della metropoli. La capitale del mondo. Così lontana eppure raggiungibile un tiepido giorno di maggio , prendendo un treno come questo. Siccome c'era troppo da sognare, da scrivere e da vivere.
 
Giuseppe Marchi

GILGAMESH, la storia del ritrovamento.

Come ho già accennato, Gilgamesh è il protagonista di un poema epico della Mesopotamia, il personaggio è probabilmente esistito realmente come re sumerico.
Il mito di Gilgamesh emerge dal passato solo nel XIX° secolo ed è strettamente legata alle vicende di un inglese (Austen Henry Layard) che durante un viaggio si fermò in Mesopotamia e iniziò gli scavi che condussero al ritrovamento di due antichissime città: Ninive e Nimrod. In quella occasione fu ritrovata una immensa biblioteca di tavolette in scrittura cuneiforme... era la biblioteca di Ninive.
Grazie alla scoperta di una iscrizione conosciuta come "Le Gesta di Dario", ad opera di Henry Rawlins, un Ufficiale dell'Esercito britannico, che riportava lo stesso testo in lingua persiana, elamitica e babilonese, fu possibile tradurre buona parte delle tavolette provenienti da Ninive e non solo. Tra le varie cose ritrovate e tradotte da George Smith, una tavoletta riportava delle notizie del "Diluvio", fino ad allora presente solo nella Bibbia. Fu proprio questo ad eccitare gli animi e ad infondere nuova forza nei ricercatori e nei traduttori...
Qualche anno dopo i tedeschi compirono degli scavi nella zona e riportarono alla luce le rovine dell'antica città di Uruk unitamente ad un buon numero di tavolette...
L'Università della Pennsylvania alla fine dell'ottocento si occupò degli scavi di Nippur riuscendo a raccogliere circa 40.000 tavolette finite negli archivi di vari musei.
Le tavolette contenenti parti del testo della saga di Gilgamesh sono distribuite ormai sul mondo intero e probabilmente non tutte sono state ancora identificate e magari si trovano negli archivi di qualche museo... in ogni caso molto è stato fatto e il racconto è abbastanza chiaro.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

La preistoria dell'Egitto

Sino al VII, VI millennio a.C. un clima umido e caldo con una lussureggiante vegetazione subtropicale, caratterizzava l’Egitto. Le zone ricoperte da boschi e le colline (ora desertificate) erano terreno di caccia. Ci vollero millenni prima che il Nilo originariamente a clima torrentizio, scavasse il suo letto portando benefici al suolo egizio. Le vallate a lungo furono completamente inospitali, costellate di lagune e malsane paludi.
Poche sono le testimonianze dell’età paleolitica.
Reperti più abbondanti relativi alla fase mesolitica, si trovano a Helwan, Kom Ombo e nell’oasi di Laqeita, periodo che corrisponde anche ad un cambiamento di clima divenuto più asciutto. L’altopiano del Sahara, ormai inabitabile tranne che per poche oasi, spinse le popolazioni verso la valle del Nilo, che lentamente aveva assunto l’aspetto attuale. Ritrovamenti nelle zone di Merimda, Beni Salama e nella zona del Faiyum, mostrano che l’economia durante l’età neolitica, era basata sull’allevamento e sull’agricoltura e le tombe avevano un’abbondante corredo funebre, amuleti e oggetti ornamentali.
Allo stesso periodo risalgono ceramiche lavorate, lance, asce levigate e frecce.
Solitamente si usa dividere l’eneolitico egiziano in tre grandi fasi.
- La civiltà di Badari che, basata sull’economia agricola e pastorale era caratterizzata dalla presenza di utensili di pietra, d’osso, di conchiglia, di rame e da ceramiche. Le necropoli in cui sono state ritrovate statuine femminili, vasi e tavolozze sorgevano lontano dai villaggi.
- Il periodo di Naqada I in cui sono evidenziate non soltanto influenze nubiane, ma anche asiatiche. Alcune raffigurazioni di cane testimonierebbero il culto di Seth, appaiono i primi sarcofagi e come nell’epoca faraonica, nell’Alto Egitto i morti sono sepolti con la testa a oriente.
- Il periodo di Naqada II dove è sempre più frequente l’uso del rame cui si aggiunge l’argento. Dagli elementi iconografici di origine mesopotamica su oggetti egizi si potrebbe supporre invasioni nella valle del Nilo di popolazioni asiatiche.

Sabrina BOLOGNI