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sabato 11 ottobre 2008

Ricordi di Sorso: Bona notte e fine d'anno...

Ogni pezzetto di storia della Sardegna, come le sue tradizioni popolari, i racconti e le filastrocche, rischiano ogni giorno di scomparire, travolte dalle nuove lingue e dalla quasi totale mancanza di interesse da parte delle scuole nei confronti di una lingua antica come il Sardo...
Così, per me, ogni occasione è buona per rievocare quei pochi ricordi che ancora restano di una società antica e quasi sconosciuta.
Anche una giornata al mare può trasformarsi in una caccia al tesoro, dove il tesoro è una vecchia filastrocca recitata, o meglio cantata, dai ragazzi nella notte di fine anno per cercare di raccogliere qualche dolce...
Ma, se siete arrivati fino a qui, lasciatemi raccontare tutto dall'inizio...
Tra un bagno e l'altro nello splendido mare di Porto Torres, io e Gavino chiacchieriamo del più e del meno. Si parla di politica e di come le cose vadano male, della mancanza di serietà generalizzata, della scarsa fiducia nel futuro e del fatto che i giovani non conoscono più la lingua sarda e le tradizioni popolari.
Gavino, é lui il conoscitore delle tradizioni di Sorso, mi chiede se avessi mai sentito la filastrocca "Cantemu la cariga, bona notte e fine d'anno", una filastrocca del suo paese.
"Mai sentita", gli dico... e così, nel suo dialetto che per me è quasi incomprensibile, Gavino inizia a recitare la filastrocca, con qualche incertezza visto quanto tempo è passato da quando ragazzino la sentiva e magari la recitava lui stesso!
"Laudemo li padroni
seddu semmu pizzinne minori
già vavemus bettula..."
Come?!?
Non ti capisco... dico io, tanto il dialetto è diverso...
Te la traduco dopo... ma non ricordo tutto... dice Gavino. E va avanti.
Forse non è proprio così... ma il senso è questo...
"Non fa niente, racconta ciò che ti ricordi... vedrai che ti verrà in mente mentre parli" dico io...
"Semu giunti a la su gianna
pa pudezzi cumprendini
chi la notti di Santu Silvestru
se illiarada mamma..."
Ma cosa significa? Domando io...
Fammi finire...
"i a fattu una pizzinna manna manna manna
in cantiddai
si la cariga zi dazzi
noi bire ringraziemo..."
Poi Gavino si ferma...
pensa, ripete, riflette, cerca di trovare nella memoria le parole sentite tante volte, ma troppo tempo addietro...
Allora mi dice, "aspetta un attimo... " vediamo se gli altri la conoscono...
Così inizia la caccia al tesoro, prima tra gli amici dello scoglio, poi, dopo aver chiesto il giro senza troppo successo, decide di chiamare al telefono la cugina forse lei sa qualcosa di più...
Dopo qualche telefonata Gavino mi dice che esiste un libro con le tradizioni di Sorso, la sera cercherà di trovarlo in paese... Speriamo!
Il giorno dopo Gavino mi aggiorna sulla caccia al libro e mi ripete la filastrocca... ora più lunga perchè frutto di discussioni con gli amici e conoscenti del paese di Sorso... purtroppo del libro ancora nessuna traccia... ma la filastrocca comincia a prender forma.
Qualche giorno dopo finalmente, ecco di nuovo Gavino, ha trovato il tesoro, la filastrocca per intero, raccolta e pubblicata da Andrea Pilo nel libro "Ammenti di la vidda di tandu" (Ricordi della vita di un tempo) Ed. Democratica Sarda. Grazie...
Ecco la filastrocca, per intero, mi dice Gavino... e mentre comincia a recitarla me la traduce...
Il titolo era "Fini d'annu"
"Bona notti e fini d'annu laudemmu li padroni,
(Buona notte e fine d'anno ringraziamo i padroni)
semmu pizzinni minori e pusthemmu besthura manna
(siamo ragazzi piccoli ma abbiamo bisaccia grande)
semmu giunti a la so giann pà pudezzi cumprindì
(siamo venuti alla sua porta per poterci capire)
e semmu giunti pa dilli lu fattu chi z'è suzzessu
(siamo venuti per dirgli il fatto che è successo)
la notti di Santu Silvesthru s'è illiarada mamma
(la notte di San Silvestro si è sgravata mamma)
e ha fattu una pizzinna manna, manna manna in cantiddai
(ed ha partorito una bambina grande davvero grande)
si vò a dinniri assai zi priparia li frisciori
(se vuole saperne di più ci prepari le frittelle)
e noi zi n'andemmu sori, sori sori in santa pazi
(e noi ce ne andiamo soli soli in santa pace)
si la cariga zi dazi noi la ringraziemmu
(se ci dà i fichi secchi noi la ringraziamo)
cumenti abemmu fattu tandu bona notti e fini d'annu
(come abbiamo fatto allora buona notte e fine d'anno)
si la canzoni è finidda n'aggiugnimmu asthri e tre muti
(se la canzone é finita aggiungiamo altri tre versi)
andiani bé li frutti e li passoni di casa
(vada bene il raccolto e le persone di casa)
e li baggianeddi iposi e li cuiuaddhi diciosi.
(e le fanciulle spose e gli sposati felici).

Ed è uno spettacolo sentirlo parlare un dialetto antico, diverso dal mio ma talvolta uguale...
Ed è uno spettacolo aver recuperato dalla memoria, questa volta con l'aiuto di un libro, un pezzo delle tradizioni di Sorso!

Gavino USAI e Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 9 ottobre 2008

Giornata del Paesaggio: Colores de monte

Cari amici, come forse sapete, io sono sardo e in quanto tale non posso certo esimermi dal reclamizzare le attività culturali che si svolgono nella mia regione. Tra le associazioni più attive nei paesi della sardegna vi sono le Pro Loco, talvolta piccole , spesso senza fondi, ma dotate della forza dei loro componenti che portano avanti programmi e progetti di alto valore culturale.
Oggi ho l'occasione di parlarvi dell'iniziativa della Pro Loco di Tonara, un paese del nuorese di 2400 abitanti a 910 m.s.l.m. conosciuto da tutti soprattutto per l'ottimo torrone. La Pro Loco di Tonara ha aderito al progetto "S.O.S. PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE" dell'UNPLI (Unione nazionale delle Pro Loco) con "Colores de Monte", alla seconda edizione della "Giornata del Paesaggio" organizzata da "Mondi Locali", che promuove tali giornate in tutto il territorio nazionale. La manifestazione si svolgerà a Tonara il il prossimo 12 ottobre 2008 prevede varie attività, tra le quali:
  • Una camminata non competitiva nei monti di Tonara aperta a tutte le fasce di età, che consente di ammirare i paesaggi e le viste che offrono i monti e le vallate di Tonara, lungo un itinerario che si snoda in 12 Km.
  • Una estemporanea di pittura, dedicata ai colori, alle viste e ai paesaggi dei monti di tonara;
  • Un concorso fotografico (in formato digitale)
E allora un in bocca al lupo a Gabriele Casula, Presidente della Pro Loco TONARA e, per maggiori informazioni eccovi alcuni link utili:

www.mondilocali.eu;

www.giornatadelpaesaggio.eu


Un saluto a tutti e spero che qualche lettore che parteciperà alla giornata vorrà mandarmi qualche foto da pubblicare sul blog.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


domenica 5 ottobre 2008

Censorino: sui tempi storici, incerti e favolosi; epoca degli imperatori ed ere egiziane... e l'isola di Ogigia di Omero

Dopo aver parlato dell'anno e del Grande Anno, ecco che ora Censorino ci da una serie di informazioni sulle età passate... prendendo come guida uno storico enciclopedico latino, Marco Terenzio Varrone (Rieti 116-27 a.C.) autore, tra l'altro dei "Logistorici" e delle "Antichità", opere di storia memorabili e di cui resta poco o niente! Censorino però ci permette di conoscere alcune informazioni tratte da Varrone.
Devo però mettere i lettori sull'avviso, Censorino l'ho letto in francese e, quando poco chiaro, ho consultato la versione in latino. Data la mia conoscenza del Francese e del Latino, potrebbero esservi degli errori! Se volete, potete leggere voi stessi i testi su http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/home.html.

Detto ciò, vediamo cosa ci dice il nostro Censorino...

"Io vado ora a parlare di quel periodo di tempo che Varrone chiama "storico". Questo autore, in effetti, divise il tempo in tre periodi: il primo periodo che va dall'origine degli uomini al primo diluvio Varrone lo chiama "incerto", a causa delle tenebre che lo ricoprono. Il secondo periodo va dal primo diluvio fino alla prima olimpiade e siccome si raccontano tante storie fantastiche, Varrone lo chiama "mitico"; il terzo periodo va dalla prima olimpiade a oggi e Varrone lo chiama "storico" perché i fatti principali accaduti ci sono riportati da storici veri."

Ecco dunque che uno storico, nella sua suddivisione delle ere, utilizza come confine un Diluvio... ma quale? E quando si sarebbe verificato?

"Sul primo periodo, se abbia avuto o meno un inizio, non si potrà mai dire di quanti anni fu. Non sappiamo con precisione di quanti anni sia stato il secondo periodo ma si pensa a circa 1.600 anni. Dal primo diluvio, in effetti, chiamato diluvio d 'Ogigia, fino al regno di Inaco, si contano circa 400 anni, da li all'eccidio di Troia se ne contano circa 800, poco più di 400 poi da li alla prima olimpiade. E siccome questi ultimi, nonostante appartengano alla fine dell'epoca mitologica, si avvicinano più degli altri all'epoca degli scrivani, qualcuno ha cercato di meglio precisare il numero degli anni. Così Sosibius ha fissato il numero degli anni a 395; Eratostene a 407, Timeo a 417, Aretes a 514. Altre cifre ancora sono state indicate da altri autori ma il loro stesso disaccordo è testimone dell'incertezza del numero degli anni trascorsi."

Dunque sappiamo che si parla del Diluvio di Ogigia... e che si verificò circa 1600 anni prima della prima olimpiade... secondo il nostro calendario la prima olimpiade fu celebrata verso il 776 a.C. , il diluvio di Ogigia si sarebbe dunque verificato nel 2376 a.C., anno più, anno meno!

E sempre secondo la cronologia indicata, nell'anno 1176 a.C. circa si ebbe la fine di Troia. Nel 1976 a.C. si ebbe invece il regno di Inaco, chiunque esso sia!

Diluvio di Ogigia... occorre tornare indietro al periodo delle scuole per cercare nella memoria e poi nel libro, l'Odissea, qualche notizia su Ogigia... sappiamo infatti che al tempo della guerra di Troia, quindi intorno al 1176 a.C secondo la cronologia di Censorino/Varrone, Ogigia esisteva ma era pressoché disabitata, e questo ce lo conferma Omero quando ci dice che...

[Odissea, Libro I, 80-87]

"O nostro padre Cronide, sovrano tra i potenti, se questo é caro ai numi beati, che alla sua casa torni l'accorto Odisseo, allora, Ermete messaggero, argheifonte mandiamo all'isola Ogigia, che subito alla dea trecce belle dica decreto immutabile, il ritorno del forte Odisseo, perché possa tornare."

E' chiaro che Odisseo si trovava ad Ogigia... ma di quale terra si tratta? Per scoprirlo, o almeno per avere delle informazioni utili, occorre spostarci più avanti...

[Odissea, Libro V, 13-17]

"Là nell'isola giace, dure pene soffrendo, nella dimora della ninfa Calipso, che a forza lo tiene. E non può ritornare alla terra paterna, perché non ha navi armate di remi, non ha compagni che lo trasportino sul dorso ampio del mare."

E' Atena che parla agli dei, ricordando loro le pene di Odisseo. E' Atena che parla di isola, dimora della ninfa Calipso, ed è là che è diretto dunque Ermete messaggero... Ed è dunque nell'isola Ogigia che ci spostiamo ora, sempre nell'Odissea... é Zeus ora che parla...

[Odissea, Libro V, 29-35]

"Ermete, tu sempre sei il messaggero; alla ninfa bei riccioli porta decreto immutabile, il ritorno del costante Odisseo; che ritorni senza accompagno né di numi né d'uomini, ma sopra una zattera di molti legami, soffrendo dolori, arrivi al ventesimo giorno alla Scherìa fertili zolle, dei Feaci alla terra, che sono parenti agli dei."

Dunque il viaggio di Odisseo dovrà riprendere dietro ordine di Zeus e Odisseo partirà da Ogigia, l'isola, come abbiamo detto poco sopra, e a bordo di una zattera si dirigerà verso Scherìa... fertili zolle, terra dei Feaci parenti degli dei, terra che raggiungerà dopo venti giorni di navigazione... Ma oggi a noi interessa qualcosa di più su Ogigia, non Scherìa... che vedremo in altra occasione! Vediamo se troviamo qualcosa che possa aiutarci a capire quale sia la famosa e introvabile isola di Ogigia... E allora seguiamo Ermete, il messaggero degli dei, nel suo viaggio verso l'isola, attraverso il mare, fino alla grande spelonca in cui la ninfa abitava...

[Odissea, Libro V, 59-74]

"Gran fuoco nel focolare bruciava e lontano un odore di cedro e di fissile tuia odorava per l'isola, ardenti [..] Un bosco intorno alla grotta cresceva, lussureggiante: ontano, pioppo e cipresso odoroso. Qui uccelli dall'ampie ali facevano il nido, ghiandaie, sparvieri, cornacchie che gracchiano a lingua distesa, le cornacchie marine, cui piace la vita del mare. Si distendeva intorno alla grotta profonda una vite domestica, florida, feconda di grappoli. Quattro polle sgorgavano in fila, di limpida acqua, una vicina all'altra, ma in parti opposte volgendosi. Intorno molli prati di viola e di sedano erano in fiore..."

E così sappiamo che l'isola Ogigia aveva una grande grotta, vi cresceva la vite domestica, era ricca di uccelli e il clima era tale da permettere la crescita delle viole e del sedano. E niente altro? vediamo se Ermete ci aiuta...

[Odissea, Libro V, 99-101]

"Zeus m'ha costretto a venir quaggiù, contro voglia; e chi volentieri traverserebbe tant'acqua marina, infinita? non è neppure vicina qualche città di mortali..."

Dunque Ogigia è un'isola priva di città di mortali, posta in mezzo al mare infinito, ma qualcuno comunque vi abitava o vi aveva abitato in passato...

Ermete va via... ora chi potremo seguire alla ricerca di informazioni? Seguiamo Calipso, mentre guida Odisseo nella preparazione della zattera per il ritorno...

[Odissea, Libro V, 234-240]

"Per Odisseo magnanimo, poi, preparò la partenza. Gli diede una gran scure, ben maneggevole, di bronzo, a due tagli: e un manico c'era molto bello, d'ulivo, solidamente incastrato. Gli diede anche un'ascia lucida e gli insegnava la via verso l'estremo dell'isola, dov'erano gli alberi alti, ontano e pioppo e pino, che al cielo si leva, secchi da tempo, ben stagionati, da galleggiare benissimo."

Ecco altre preziose informazioni, c'era il bronzo, che veniva usato per fabbricare asce, c'era l'ulivo, e tra gli alberi vi era anche il pino, oltre al pioppo e all'ontano... Poi Calipso, terminata la zattera e munitala di vele, da ad Odisseo le informazioni per il viaggio di ritorno...

[Odissea, Libro V, 270-290]

Così col timone drizzava il cammino sapientemente, seduto: mai sonno sugli occhi cadeva, fissi alle Pleiadi, fissi a Boòte che tardi tramonta, e all'Orsa, che chiamano pure col nome di Carro, e sempre si gira e Orione guarda paurosa, e sola non ha parte ai lavacri d'Oceano; quella infatti gli aveva ordinato Calipso, la dea luminosa, di tenere a sinistra nel traversare il mare. Per diciassette giorni navigò traversando l'abisso, al diciottesimo apparvero i monti ombrosi della terra feacia: era già vicinissima, sembrava come uno scudo, là nel mare nebbioso."

Ecco le ultime informazioni... per andar alla terra dei feaci, Odisseo avrebbe dovuto navigare per circa 17 giorni tenendo gli occhi fissi alle Pleiadi e tenere Orione sulla sinistra durante la traversata... Dove si trova la terra dei feaci? Dove si trova Ogigia? Le domande aumentano... o Omero ha inventato tutto?

Ma ora finalmente Odisseo approda tra i Feaci e noi riprendiamo la strada indicataci dalla nostra guida, Censorino... con nella mente, però, un po più di notizie su Ogigia, quella del Diluvio...

"In merito al terzo periodo, tra gli autori esiste una divergenza di 6 o 7 anni sulla sua estensione, ma questa incertezza è stata pienamente dissipata da Varrone, che, dotato della più rara sagacia, pervenne, risalendo i tempi di alcune città, basandosi sulle eclissi e calcolandone gli intervalli, a far riemergere la verità e ad illuminare questo punto con tale luce che oggi è possibile precisare non solo il numero di anni ma addirittura il numero dei giorni di quest'epoca! Se non erro, seguendo questi calcoli, l'anno in cui ci troviamo e del quale il consolato di Ulpius e Ponziano é indice e titolo, a partire dalla prima olimpiade fino ai giorni estivi in cui si celebrano i giochi olimpici sono passati 1014 anni. se invece si inizia a contare dalla fondazione di Roma, ci troviamo nell'anno 991 a partire dalla festa "des Parilies", festa usata per il conteggio degli anni della città. Se invece si inizia a contare secondo l'anno Giuliano, ci troviamo nell'anno 283, a partire dalle calende di gennaio, periodo in cui Giulio Cesare ha voluto che cominciasse l'anno da lui stabilito. Se invece si conta a partire dall'anno detto degli Imperatori, siamo nell'anno 265, a partire sempre dalle calende di gennaio, nonostante solo il 16 delle calende di febbraio sotto la proposta di L. Munatus Plancus, il senato e il resto dei cittadini diedero il nome di "Imperatore Augusto" a Cesare Ottaviano, figlio del divino Cesare, allora console per la settima volta assieme a Vipsanius Agrippa che lo era per la terza volta. In merito agli egizi, siccome essi si trovavano, a quell'epoca, già da due anni sotto il dominio del popolo romano, il presente anno è per loro il 267 degli Imperatori."

Dunque, così apprendiamo che l'opera fu scritta nell'anno 238 d.C.... e che siamo in grado di fare questi conto lo dobbiamo, ancora una volta, a Varrone!

"Anche la storia d'Egitto, come la nostra, ha dato luogo a differenti ere: così distinguiamo l'era di Nabonassar, così chiamata dal nome del principe Nabonassar e che ad oggi ha raggiunto la cifra di 986 anni dalla data di inizio del suo regno. Quindi si parla dell'era di Filippo, che a partire dalla morte di Alessandro il Grande e contando fino ad oggi abbraccia un periodo di 562 anni. Tutte queste epoche degli egiziani cominciano sempre al primo giorno del mese da essi chiamato "thoth", giorno che quest'anno corrisponde al 7 di calende di luglio, tanto che cento anni fa, durante il secondo consolato di dell'Imperatore Antonino Pio e di Bruttius Praesens, questo giorno corrispondeva al 12 di calende d'agosto, epoca del levarsi della canicola in Egitto. Dunque, possiamo vedere che noi siamo oggi nel centesimo anno di questo Grande Anno che, come ho detto prima, è chiamato "solare", "canicolare" o anno di Dio."

E così ora sappiamo che nell'anno 138 d.C. iniziò un altro Grande Anno...

"Ho dovuto indicare in quale epoca cominciano gli anni per evitare che si pensi che questi comincino tutti alle calende di gennaio o a qualche altro giorno simile, perché sulla questione delle diverse ere si sottolineano non meno opinioni divergenti nelle volontà dei loro fondatori che nelle opinioni dei filosofi. Così alcuni fanno cominciare l'anno naturale al levar del sole nuovo, cioè in inverno, altri autori al solstizio d'estate, altri all'equinozio di primavera, altri ancora all'equinozio d'autunno, questi al levare, quelli al calare delle Pleiadi, altri ancora, infine al levare di Canicola."

Un bel caos, dunque, ma mai un dubbio sul fatto che gli antichi conoscessero alla perfezione l'anno solare, anche se con qualche approssimazione... e chissà che più avanti Censorino non possa raccontarci qualche altra cosa di interessante sul sapere dei suoi tempi, o magari, Varrone vorrà prender parte alla nostra tavola rotonda!?!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 28 settembre 2008

Gita a Como

Como, di manzoniana memoria...

Il Duomo...
Continua e vedi le foto...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 27 settembre 2008

Censorino: De die natali ovvero "sul giorno natale"

Come spesso mi capita, sfogliando un libro finisco per trovare qualche cosa che mi spinge a cambiar libro per inseguire la curiosità del momento... e per fortuna che c'é Wikipedia!
Questa volta la curiosità è sorta mentre leggevo le informazioni riportate nella "Grande guida illustrata dell'Antico Egitto" a proposito del "Ciclo Sotiaco" o sorgere eliaco di Sirio... ad un certo punto infatti si parla di un tal "Censorino", un sapiente latino che ne avrebbe parlato in un suo testo...
E così inizia la ricerca.
Censorino, mai sentito prima...
Il Dizionario Enciclopedico non mi aiuta, Censorino è stato un grammatico latino del III° secolo dopo cristo ma niente più. Allora mi rivolgo a Wikipedia e così scopro che il Censorino fu un grammatico romano, compose un'opera di grammatica sull'accento, non pervenutaci, mentre ci è pervenuto un suo opuscolo, il "De die natali ", che riunisce alcuni scritti su questioni scientifiche trattate in testi più antichi e... tanto mi basta a partire alla ricerca del "De die natali"!
Ci vuol poco a trovare il testo, sempre grazie a Wiki, in una traduzione online in lingua francese... e così inizia la lettura di un opuscolo che pare sia stato scritto nel 238 d.C.!
Gli argomenti trattati, anche se sinteticamente, sono tanti...
Censorino parte con una breve introduzione in cui dedica il libro ad un tal Q. Cerellius, per il suo compleanno per poi passare alla spiegazione del Genio protettore degli uomini... quindi si parla della generazione dell'uomo, del feto e così via... ma non voglio percorrere tutto il libro, chi vuole potrà leggerlo online su:
http://penelope.uchicago.edu/Thayer/F/Roman/Texts/Censorinus/text*.html.
Cercherò piuttosto di mettere in evidenza alcune curiosità, che possono essere utili a chi studia storia antica o, come me, ne è un semplice appassionato.
Censorino ad un certo punto parla delle misure tra la Terra e il sole e i pianeti in generale e fa notare che vari autori del passato hanno usato unità di misura con lo stesso nome ma di valore diverso, è questo il caso dello "stadio", utilizzato dai greci per misurare le distanze.
L'autore, al paragrafo XIII, ci dice che esistono diverse misure per lo stadio, esiste lo "stadio italiano" che misura 625 piedi, usato da Pitagora nelle sue misurazioni. Esiste lo "stadio olimpico" che è di soli 600 piedi ed ancora lo "stadio Pitico" che è però di 1000 piedi, occorre dunque fare attenzione quando si leggono i testi antichi anche al problema di eventuali conversioni tra unità di misura...
Poco oltre, al paragrafo XVII, Censorino ci parla della definizione di "secolo" dei diversi autori e di alcuni vegliardi che raggiunsero età inimmaginabili...
Secondo Censorino "Il secolo è la più lunga durata della vita umana: ha per limiti la nascita e la morte dell'uomo". C'era però chi affermava che il secolo durava trent'anni, ma secondo l'autore il periodo di trent'anni è da riferirsi alla "generazione" o γενεὰ di Eraclito, cioè al periodo di tempo che passa tra il momento in cui si riceve la vita e quello in cui si dona la vita. Ma anche la generazione è di lunghezza differente a seconda degli autori antichi, per Herodicus si deve parlare di 25 anni, per Zenone di 30.
Censorino ci ricorda dei più vecchi uomini del mondo, citati da altri autori. Erodoto per esempio parla di Argantonio, re di Tartesso, che visse 150 anni. Ephorus sostiene invece che alcuni re dell'Arcadia vissero 300 anni. Censorino però ritiene che si tratti di favole. Così, nel tempo, diversi autori fissarono la durata del secolo, per Épigène il secolo doveva essere di 112 anni mentre Berosso sosteneva che la durata massima della vita dell'uomo fosse di 116 anni, per altri ancora si parlava di 125.
Diversi popoli contavano i secoli diversamente, gli etruschi avevano secoli di durata differente, mentre pare che i Romani avessero secoli di cento anni esatti.

Il paragrafo successivo, il XVIII°, è ancora più interessante perché parla della durata del "Grande anno" e, finalmente, dell'anno sotiaco...
Censorino ci dice che gli egiziani, nella formazione del loro Grande anno, non tengono conto della Luna. Il loro anno civile è composto da 365 giorni così, dopo 4 anni, il ciclo civile è un giorno indietro rispetto a quello naturale, ciò comporta che la corrispondenza tra anno civile e naturale si ristabilisce dopo 1461 anni. Questo anno è chiamato da alcuni anno eliaco, da altri anno di Dio.
Il nostro autore prosegue dicendo che esiste anche il cosiddetto anno supremo che, secondo Aristotele, è formato dalla rivoluzione del Sole, della Luna e delle cinque stelle erranti, allorquando tutti questi astri ritornano al punto dal quale erano partiti. Quest'anno ha un grande inverno, detto dai greci κατακλυσμὸς, cioè diluvio, seguito da una grande estate, detta ἐκρύωσις, ovvero incendio del mondo.

Kατακλυσμὸς... cataclisma, grande inverno ovvero "Diluvio" e ἐκρύωσις, grande estate, ovvero incendio del mondo! Curiosi questi greci!

Censorino prosegue dicendo che in effetti, pare che il mondo sia inondato o bruciato in ognuna di queste epoche. Secondo Aristarco questo periodo di tempo è di 10.484 anni solari; per Aretes Dyrrachinus invece si deve parlare di 5.552 anni solari; per Eraclito e Linus 10.800 anni mentre per Dione 10.884 anni, per Cassandra 3.600.000 anni, per altri ancora questo periodo di tempo è infinito...

Ma per ora basta così, non che il resto non sia interessante, ma per oggi è scaduto il tempo a mia
disposizione...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Istantanee da Roma

Poco prima di partire per il profondo nord, ci siamo concessi una ultima (per ora!) passeggiata per Roma...
Ed ecco di seguito alcune foto...

Roma è sempre fantastica...

Continua...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 22 settembre 2008

Sergio Frau: Le Colonne d'Ercole, un'inchiesta

Già dal titolo si capisce che il libro ha qualcosa da dire sull'argomento, qualcosa di importante... un'inchiesta, dice l'autore... e sapendo che è un giornalista, un'inchiesta è un'inchiesta!

Poi inizi a leggere e subito ti senti trascinato verso tempi antichi, guidato per mano da quegli autori spesso bistrattati dai moderni "scienziati" della storia e della geografia. Frau no, lui li rispetta quegli autori antichi, come faccio io! Siamo sicuri che loro non sapessero cosa scrivevano? Erodoto mi ha accompagnato nelle letture negli ultimi tre anni e non mi sembra che non sapesse ciò che scriveva... eppure dai nuovi sapienti è talvolta tacciato di inconsistenza, di ignoranza, nella descrizione dei luoghi da lui visitati... mai nessuno che abbia pensato che, forse, gli ignoranti eravamo noi moderni, tutti pieni di strumenti elettronici che ci misurano con precisione il decimo di millimetro ma che spesso non siamo mai usciti da casa per fare una rilevazione sul terreno... cosa ne sappiamo noi delle difficoltà che occorreva affrontare per seguire la rotta delle stelle in mezzo il mediterraneo, senza bussola...

Ma lasciamo perdere...

Frau, dicevo, rispetta gli antichi e li fa parlare, come in un dialogo, come in un processo talvolta... ma li fa parlare e gli fa dire quello che sanno, guidati da un filo conduttore... le Colonne d'Ercole!

Le domande servono sempre a cercare di capire se le Colonne d'Ercole sono sempre state li dove oggi le conosciamo oppure... Chi ha letto i testi antichi il problema se l'é posto varie volte perché seguendo le descrizioni dei viaggi talvolta queste colonne sbucano dove meno te le aspetti... perché il problema è proprio quello, che te le aspetti in un certo posto, a Gibilterra, all'imboccatura del nostro Mediterraneo, ai confini con l'Oceano Atlantico e invece, se dovessimo disegnare la mappa di alcuni antichi viaggi, beh, forse, le si potrebbe mettere in mezzo al mediterraneo...

E se... Frau comincia sin da subito ad instillare il dubbio nel lettore, sapientemente... E se... le colonne non fossero state sempre laggiù? E se anticamente si fossero trovate prima, supponiamo, tra la Sicilia e l'Africa? beh, allora tutto cambia, le descrizioni diverrebbero leggibili con la carta del Mediterraneo... e ti permetterebbero di scoprire, anzi no, di riscoprire il Mediterraneo occidentale, forse un tempo chiamato "Oceano"... e con lui scoprireste le sue Isole, la Sardegna, la più grande, Ichnusa o Sandalia, quella conosciuta per le sue vene d'argento, per il suo bel clima... salvo la malaria delle paludi! Quella che fu soggetta al taglio degli alberi da parte dei Cartaginesi, che ne fecero il loro granaio e che vietarono, pena la morte, la piantagione di alberi (chissà poi parche!), quella stessa Sardegna cosi bistrattata da Cicerone che non perdeva mai occasione di parlar male dell'Isola e dei suoi abitanti, quella passata nelle mani dei Romani, dopo le guerre puniche, che conoscevano gli Iliensi e i Balari e che poi li chiamarono tutti "barbari" per negarne l'esistenza come civiltà! E ci riuscirono, perché i Sardi dimenticarono, dimenticarono le storie antiche che venivano tramandate, dimenticarono tutto ad eccezione di una cosa, la paura del mare! Paura del mare che proveniva, si dice, o forse dovrei dire "si diceva", dalla presenza dei pirati, dei dominatori stranieri e chissà di cos'altro! Eppure la Sardegna già a quei tempi era un'Isola fortificata, con migliaia di nuraghe distribuiti su quasi tutto il territorio, coste comprese, impossibile giungere senza essere visti, impossibile non prepararsi a respingere gli attacchi, oppure fuggire (cosa non certo onorevole per un sardo, anche moderno!). Ma allora perché tutta questa paura?

Il Frau tenta di spiegarci anche questo, dopo aver spostato le Colonne d'Ercole e averle rimesse dove probabilmente un tempo si trovavano, prova a spiegare la ancestrale paura del mare dei Sardi, e per farlo parte da una constatazione, i nuraghe del Campidano, la grande pianura del centro sud sono spesso distrutti e ricoperti di terra... di fango! Perché? Si chiede lui ed io e tanti altri che i nuraghe li hanno visitati, ma visitati per davvero, da ragazzino, lasciando la bicicletta "graziella" vicino ad un muretto a secco ed andando a frugare per curiosità tra quelle enormi rocce mute, senza una storia, solo preistoria, dicono, perché i nuragici non avevano la scrittura... possibile che popoli che avevano le conoscenze per costruire torri così gigantesche non conoscessero la scrittura? Possibile si, dicono... o forse occorre dire, di nuovo, dicevano... perché poco alla volta ce chi dice che qualcosa sta saltando fuori... ma qualcosa di antico, di più antico del fenicio... forse! E Frau allora ci parla dei resti, dei segni di uno tsunami che forse interessò quell'area del Mediterraneo di fronte al golfo di Cagliari, e che intorno al 1200 a.C. avrebbe distrutto una grande civiltà, quella dei governatori del commercio del mediterraneo, quella dei costruttori di torri, quella dei popoli del mare che poi tentarono di conquistare l'Egitto e furono sconfitti... forse quella stessa civiltà del Timeo e del Crizia di Platone, quella che negli ambienti "bene" si evita di citare perché poco seria, solo una favola per bambini, la civiltà Atlantidea...

Ma allora, tutte queste cose contiene il libro? Vi potrete domandare, la risposta è no, ne contiene molte, molte altre, sugli dei del tempo antico, sui movimenti delle popolazioni del Mediterraneo, su templi a pozzo Sardi e similsardi che però si trovano in Bulgaria, costruiti nel tempo in cui Sofia, la capitale, si chiamava ancora Sardica, chissà poi perché... dei nuraghe della Giordania e del passaggio, doloroso, dal bronzo al ferro... Ed ancora, ci racconta di Eratostene e delle sue manie di ordine e del fatto che proprio lui, forse, volente o nolente, fu la causa di tanti problemi!

Ci parla di Tartesso, quella favolosa città che gli spagnoli ancora cercano, senza trovarne traccia, lungo le coste della penisola Iberia, e che forse, invece, si trova lungo le coste si, ma della Sardegna, sotto uno strato di fango, sotto le città puniche che vi vennero costruite sopra secoli dopo la distruzione ad opera dello tsunami...

E allora, fate come ho fatto io, dedicate qualche giorno alla lettura e poi qualche anno a cercare di capire.... se può essere andata veramente così, come ci dice Frau... come ci dicono i resti archeologici del Mediterraneo e come ci hanno detto tante volte gli antichi... ad ascoltarli, gli antichi...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO