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lunedì 31 marzo 2014

I custodi della storia (Cap. IV) - Terra!


Era stata una giornata pesante.

Dopo lo sbarco era immediatamente iniziato un lavoro febbrile tra la nave e il campo a terra. Tutti si muovevano su e giù dalla nave scaricando barili, attrezzatura e materiale da costruzione, cordame, vele, reti da pesca, strumenti di misura e da disegno.

I carpentieri si misero subito all'opera per ispezionare la nave e riparare i danni della lunga navigazione. Altri iniziarono a riparare le vele e controllare il cordame del vascello.

Ma il grosso del lavoro era a terra.

Era necessario preparare un campo prima di dare inizio alla esplorazione della nuova terra, bisognava raccogliere tutte le informazioni possibili sulle caratteristiche del territorio, sulle risorse disponibili e sulla presenza di indigeni.

Il campo era situato ad alcune centinaia di metri dalla linea di costa in cui eravamo sbarcati. Il luogo era ben protetto dai venti e si trovava a circa dieci metri sul livello del mare, al sicuro dall'alta marea e allo stesso tempo sufficientemente lontano dalla foresta che si estendeva a perdita d'occhio lungo tutta la costa.

La prima notte qualcuno aveva notato dei fuochi sulla cima della collina, a qualche miglio di distanza dal campo e la voce si era diffusa velocemente tra gli uomini, forse non era niente ma era meglio assicurarsene. Occorreva verificare che sull'isola non si trovassero indigeni ostili prima di potersi dedicare alla raccolta delle provviste che avrebbero consentito di proseguire l'esplorazione della nuova terra.

Inoltre occorreva risolvere immediatamente il problema dell'acqua, le riserve custodite a bordo erano quasi finite. Era necessario trovare una sorgente al più presto.

Il Capitano Vivaldi organizzò accuratamente l'esplorazione dell'isola dividendo il personale in tre gruppi.

Il primo e più numeroso sarebbe restato al campo base con l'incarico di costruire una palizzata difensiva contro la visita di animali o di ospiti non desiderati e di provvedere alla ricerca dell'acqua e alla raccolta di provviste.

Il materiale da costruzione non mancava di certo e i carpentieri erano degli esperti nel tagliare e lavorare il legno. Nel giro di mezza giornata con l'aiuto di una squadra di mozzi avevano tagliato gli alberi necessari a costruire il recinto e le capanne per gli uomini. La sera il recinto era quasi terminato e un riparo provvisorio fu innalzato per la notte. A poca distanza dal campo fu trovato un ruscello dall'acqua era fresca e pulita.

Gli altri due gruppi esplorarono la costa fino ad una distanza di tre ore dal campo e rientrarono al campo prima prima che tramontasse il sole senza aver trovato tracce di vita umana. In compenso avevano catturato diversi esemplari di una razza tipica di maiali del luogo. Dopo mesi di navigazione un po' di carne avrebbe fatto bene al loro fisico debilitato.



Le esplorazioni sarebbero proseguite nei giorni seguenti ma non diedero alcun risultato di rilievo. Nessuna traccia di villaggi indigeni o della presenza dell'uomo.

Il terzo giorno una squadra raggiunse la collina sulla quale la sera dell'arrivo erano state viste delle luci ma questa volta le cose erano diverse.

Di fronte alla squadra di esploratori si ergeva una antica costruzione in pietra. Segno indiscutibile della presenza umana.

Era una specie di piramide in pietra abbandonata da secoli.

Frate Nicola in quei primi giorni si era dedicato a prendere appunti e a disegnare mappe. Aveva tenuto traccia nel suo diario degli avvenimenti principali durante la navigazione e della posizione delle stelle per cercare di calcolare la rotta tenuta e la distanza percorsa. Le sue osservazioni sarebbero state utili al suo rientro ed erano quanto di più prezioso possedesse. Quando la squadra tornò con la notizia del ritrovamento di una strana costruzione a forma di piramide fra' Nicola decise che il giorno dopo sarebbe andato anche lui sul posto per raccogliere informazioni. Forse i suoi studi questa volta potevano risultare utili. Durante gli ultimi anni aveva passato molto tempo a lavorare per arricchire la biblioteca dell'Ordine e sempre sotto la guida di Giovanni aveva letto molti libri di storia. Classici latini e greci.

La mattina dopo il drappello partì dal campo di buon ora. Frà Nicola seguiva il nostromo che aveva il compito di guidare la spedizione. Durante il viaggio che durò appena quattro ore e non presentò alcuna difficoltà si fermò diverse volte ad osservare la flora e la fauna e a prendere appunti. Vi erano piante simili a quelle europee ma quasi sempre erano di dimensioni differenti, molto più grandi e rigogliose. Fratello Giovanni sarebbe stato molto utile in quel momento. Lui aveva avuto una grande conoscenza dei frutti della terra. Raccolse alcune piante che potevano essere utili per le loro capacità curative e altre che invece destavano il suo interesse per le forme particolari e i colori sgargianti. Arrivati alla piramide il nostromo Vadino Doria diede disposizioni per preparare un campo temporaneo. Avrebbero passato alcune notti nei pressi della piramide per esplorare la zona con calma ma occorreva come al solito premunirsi dagli animali e da eventuali visite inaspettate. Il lavoro iniziò subito e tutti si diedero da fare. Fu approntato un rifugio temporaneo utilizzando i resti in pietra di quella che sembrava una capanna abbandonata da tempo e che avrebbe dato riparo ai dieci uomini del gruppo. Acceso il fuoco, i marinai si sedettero a mangiare del pesce salato e dei tuberi allungati che crescevano in parte sotto terra e che dopo cotti avevano un buon sapore anche se un po dolciastro. C'era acqua in abbondanza e se non fosse stato per la distanza dal mare che avrebbe impedito di sorvegliare la nave, sarebbe stato un ottimo posto per il campo permanente. Nel frattempo frate Nicola e Vadino e due mozzi armati di grossi coltelli cominciarono ad esplorare i dintorni della piramide. Era una struttura antica, abbandonata forse da secoli. In mezzo alle grosse pietre erano cresciute delle piante alte anche venti metri e che, a giudicare dalla dimensione del tronco dovevano avere almeno cento anni. La piramide era costruita a scaloni. Il primo era alto almeno due metri e le rocce utilizzate erano enormi. I quattro uomini si arrampicarono sul primo livello e fecero tutto il giro della piramide a forma perfettamente quadrata. Ogni lato doveva essere lungo circa cento metri. La piramide presentava una grossa apertura solo su un lato che dava verso est. Purtroppo l'ingresso era crollato da tempo ed era impossibile rimuovere le rocce che ne ostruivano il passaggio. Nel mezzo di ogni lato si trovavano delle scalinate che da terra portavano fino alla cima. Dal basso non le avevano notate a causa della vegetazione ma ora era facile individuarle. Decisero di salire in cima alla piramide per vedere se era possibile accedere alla struttura. La piramide era alta circa cinquanta metri ed era composta da diversi livelli, sembravano cinque grosse piattaforme impilate l'una sull'altra e in cima, al centro dell'ultima piattaforma, vi era una grossa roccia piatta scolpita, una specie di altare, pensò subito frate Nicola. Purtroppo da lassù non era possibile entrare all'interno della costruzione. Avrebbero dovuto esplorare tutte le pareti con calma per cercare un qualche accesso secondario.

Il tramonto si avvicinava quando uno dei mozzi lanciò un urlo per richiamare l'attenzione del nostromo. Aveva trovato qualcosa. Una specie di stretto cunicolo si apriva a metà della parete ovest e sembrava penetrare all'interno della piramide per alcuni metri prima che il buio impedisse di vedere oltre.

- Solo un ragazzo o un uomo molto magro potrebbe pensare di entrare ad aesplorare quel cunicolo e di riuscire a uscirne vivo. Disse il nostromo rivolgendosi a frate Nicola sconsolato.

- Pensavo che forse uno dei giovani carpentieri forse potrebbe farcela. Mi sembra si chiami Andrea, ma è restato al campo base. Potremmo mandarlo a chiamare e se tutto va bene domani in tarda mattinata potremmo averlo qui da noi. Cosa ne pensate Vadino? Rispose frate Nicola, senza troppa convinzione.

- Vale la pena di provare. Chiamati due dei suoi uomini gli diede disposizioni affinchè rientrassero al campo e riferissero al Capitano le scoperte e le loro esigenze. Sarebbero dovuti tornare la mattina dopo con il carpentiere che si chiamava Andrea.

I due uomini partirono subito. Andando di buon passo con un po' di fortuna sarebbero arrivati al tramonto.

Non sarebbe stato semplice entrare nella piramide e la luce cominciava a calare. Avrebbero ripreso l'esplorazione il giorno dopo con calma, sperando di trovare qualche altro passaggio più praticabile. Intanto gli altri uomini avevano terminato di appontare il riparo e avevano preso alcuni esemplari di grossi animali che assomigliavano a grossi conigli selvatici e che avrebbero fatto da cena per quella sera.

Mangiarono con gusto e poi andarono tutti a dormire. Dell'erba gettata in terra avrebbe fatto da giaciglio e una vecchia coperta di lana li avrebbe protetti dal freddo della notte. Il fuoco ardeva al centro della capanna e alcuni rami freschi sarebbero serviti a chiudere l'ingresso di quell'improvvisato rifugio. La stanchezza era tanta e tutti si addormentarono pesantemente.

Frate Nicola e il nostromo si sedettero vicino al fuoco e passarono una mezz'ora a chiacchierare del loro viaggio. Vadino Doria era poco più grande di frate Nicola. Doveva avere trentacinque o trentasei anni. Apparteneva ad una importante e famosa famiglia genovese che vantava molti avi nella marina e nel commercio. Da piccolo aveva sempre avuto come esempio da seguire uno zio materno che era un Capitano della marina genovese. Sin da piccolo aveva viaggiato con lo zio attraversando il mediterraneo in lungo e in largo. Nonostante la sua giovane età conosceva i venti e le stelle meglio della propria città e se qualcuno poteva guidarli attraverso l'oceano quello era proprio lui. E così era stato! Ora dava dimostrazione di essere anche un buon comandante, tranquillo ma deciso e autorevole, gli uomini lo rispettavano anche più del Capitano. Il Capitano era temuto, Vadino invece era amato e rispettato. Si erano appena sdraiati ai piedi del fuoco quando sentirono un fruscio subito fuori dall'accampamento li fece alzare di colpo. Vadino afferrò la sua sciabola e frate Nicola raccolse un grosso bastone da terra. Era meglio controllare che non si trattasse di qualche animale pericoloso. Svegliarono gli uomini dell'accampamento e armati di torce uscirono a controllare. Mentre rimuovevano i rami che chiudevano l'ingresso un ruggito li mise in allarme. Doveva essere un leone o un animale simile. Il buio non permetteva di vedere che a pochi passi e non era il caso di allontanarsi dal campo. Accesero altri fuochi nei dintorni e tornarono dentro l'accampamento, rinforzando il tetto e l'ingresso con alcuni tronchi raccolti la davanti.

- Sarà meglio se qualcuno resta di guardia questa notte– disse Vadino rivolgendosi ai suoi uomini – turni da due ore. Il primo turno è il tuo Giovanni. Disse Vadino ad uno dei suoi che sembrava più riposato.

- Io gli faccio compagnia – disse frate Nicola –tanto non ho più sonno.

Stabiliti i turni di guardia gli altri tornarono a dormire. La notte era ancora lunga e il giorno dopo avrebbero dovuto proseguire la loro esplorazione e dovevano riposare, per quanto possibile.

La notte proseguì senza altri problemi. Il grosso animale si era fatto sentire qualche altra volta ma sempre più in lontananza. Evidentemente il fuoco ed i rumori lo avevano spaventato. Il resto della notte passò tranquilla e gli uomini poterono finalmente riposare.

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Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 23 marzo 2014

I custodi della storia (Cap. III) - Un'occasione mancata

In quei primi anni di studio mi ero appassionato sempre più alla storia antica. Avevo seguito il corso che più mi si attagliava, l'archeologia e la storia degli antichi popoli mediorientali era il nucleo centrale del mio corso di studi ma mi ero interessato anche delle culture primitive centroamericane senza perdere occasione di approfondire la storia della mia isola nei ritagli di tempo sfruttando le enormi risorse della biblioteca.
La biblioteca era quasi la mia seconda casa, almeno per numero di ore passate al suo interno. Era enorme, custodiva decine di migliaia di libri la cui consultazione era abbastanza semplice per gli studenti. Divenni quasi subito buon amico dei bibliotecari e spesso mi lasciavo guidare da loro nella scelta dei libri su cui approfondire i miei studi.
Uno di loro si chiamava Andrea, aveva una decina d'anni più di me e lavorava li da quando si era laureato. Alto, biondo, colorito pallido, sembrava provenire dal nord Europa, invece era siciliano, di un paese in provincia di Enna che si chiama Nicosia. Era nato per fare il bibliotecario, diceva sempre, e lo faceva con passione. Fu proprio Andrea ad introdurmi nel mondo della biblioteca. Mi spiegò i vari metodi di classificazione dei libri, come trovare velocemente ciò che mi serviva consultando gli indici per titolo ed autore, mi illustrò la disposizione dei libri sugli scaffali. Tutte cose di comune utilità per un bibliotecario, ma non solo. Andrea era innamorato dei libri, erano tutta la sua vita, sin da bambino per cui mi raccontava la storia dei libri a stampa o i metodi di rilegazione come ai bimbi si raccontano le fiabe. Le sue conoscenze erano veramente enormi e quando si aveva bisogno di sapere qualcosa su una particolare edizione di un certo libro bastava chiedere a lui e raramente la richiesta non veniva soddisfatta! Fu lui che mi suggerì di studiare i testi antichi possibilmente nella lingua in cui erano stati scritti in origine. Diceva infatti che ogni traduzione mascherava il testo originale non solo con una lingua diversa ma anche con la cultura di chi lo traduceva e del periodo in cui ciò veniva fatto.
Così, per migliorare le mie conoscenze linguistiche frequentai dei corsi paralleli di lingua greca antica e di ebraico senza trascurare le lingue moderne, inglese e francese, che mi sarebbero state utili per seguire i colleghi studiosi degli altri paesi.
Mi laureai con una tesi sulla storia antica dei Caldei e mi iscrissi immediatamente al Dottorato di ricerca. Il mio professore, Claudio, divenne il mio mentore e quasi il fratello maggiore che non avevo mai avuto.
Claudio era basso di statura, leggermente sovrappeso e con i capelli grigi. Indossava sempre un paio di occhiali a fondo di bottiglia che lo facevano assomigliare ad un vecchio topo di biblioteca. Sotto il braccio destro portava sempre un vecchio tomo dalla copertina rossa, solo più tardi scoprii trattarsi della sua agenda personale di cui era estremamente geloso e su cui prendeva appunti sulle novità e scoperte della storia che più lo incuriosivano. La sua vita sociale era inesistente, a meno che non si voglia considerare tale la sua frequentazione della biblioteca dell'istituto. Non era sposato e raramente si allontanava per andare a trovare l'anziano padre che viveva solo a Pavia. Passammo assieme un fine settimana a Pavia, durante il quale approfittai per visitare la Certosa.
Claudio era un grande studioso, intelligente, paziente, con l'animo del ricercatore e una enorme passione per l'insegnamento, cosa non comune neanche tra gli insegnanti migliori. Anche da professore infatti non si tirava mai indietro e conduceva le sue ricerche in prima persona facendosi sempre promotore di nuove iniziative culturali. Era difficile non innamorarsi della storia antica con un professore come lui e infatti il suo corso era sempre il più seguito.
Solitamente il sabato pomeriggio ci si incontrava nella biblioteca e scelto un volume antico tra le migliaia di titoli disponibili, i partecipanti si alternavano nella sua lettura ad alta voce e poi si discuteva ciò che si era letto. Poteva sembrare una attività da scuola superiore ma così non era, in questo modo noi studenti approfondivamo la conoscenza delle lingue antiche e degli autori classici e allo stesso tempo imparavamo a conoscerci meglio.
La vita da dottorando proseguiva tranquilla tra studi, lezioni e lavoro da portinaio. Non mi potevo certo lamentare anche se quando avevo lasciato la mia terra aspiravo a qualcosa di più.
Poi, un giorno, Claudio mi chiamò per telefono annunciandomi di aver fatto una scoperta che avrebbe cambiato non solo la sua vita ma – disse – il mondo intero. Disse che avrebbe avuto bisogno di qualcuno che gli desse una mano perché ci sarebbe stato molto lavoro da fare e voleva che quello fossi io, mi chiese di diventare suo assistente. Io non riuscivo a crederci, ma accettai immediatamente.
- Certo Claudio, sai che puoi contare su di me. Ma cosa dovrò fare? Di cosa mi dovrò occupare?
- Alessandro, ne parliamo al mio rientro a Milano. Ora ho fretta e non posso stare al telefono. Puoi venire a prendermi all'aeroporto?
- Certamente, a domani sera Professore. Mi capitava spesso di chiamarlo ancora professore nonostante ci conoscessimo da diversi anni e fossimo ora buoni amici.
Mi avrebbe raccontato tutto al suo rientro a Milano, sarei dovuto andare a prenderlo il giorno dopo, a Malpensa alle 22.00, scalo internazionale.
Claudio negli ultimi due anni si era assentato diverse volte per lavoro, stava svolgendo alcune ricerche nel sud America ma non mi aveva mai parlato di questi suoi studi. Quando facevo qualche domanda rispondeva sempre evasivamente e dopo un po' avevo pensato che fosse meglio non fare domande sull'argomento. Ma ora cambiava tutto. Se aveva bisogno di un assistente avrebbe dovuto spiegarmi di cosa si stava occupando e del perché di tanta segretezza.
Passai la serata in compagnia di alcuni amici nel pub irlandese che si trovava vicino a casa cercando di non pensare troppo al futuro. Diventare assistente di Claudio mi inorgogliva ma allo stesso tempo significava che avrei dovuto lasciare il mio lavoro da portiere. La cosa mi dispiaceva in fondo. Il lavoro non era pesante, mi piaceva e mi piacevano soprattutto i condomini. Col tempo avevo imparato a conoscerli bene. Oltre l'avvocato vi erano altre undici famiglie che mi avevano quasi adottato. Mi sentivo un po' in colpa, ma non potevo rinunciare all'opportunità di diventare assistente di Claudio. Magari avrei potuto cercare un ragazzo del primo anno che avesse bisogno di lavorare e presentarlo all'avvocato. Poi sarebbe stato lui a decidere.
Quella notte andai a letto tardi, non riuscivo a prendere sonno e così passai alcune ore leggendo un libro.
Il giorno dopo come al solito andai all'università. Il tempo sembrava non passare mai.
Quella sera come al solito pioveva.
Si trattava di una pioggerellina sottile e fastidiosa e il vento pungente proveniente dalle Alpi si sentiva nelle ossa, la nebbia fitta inoltre rendeva le strade della periferia milanese molto pericolose.
Decisi di uscire di casa con largo anticipo e arrivai all'aeroporto mezz'ora prima del previsto atterraggio. Fortunatamente trovai parcheggio proprio di fronte agli arrivi internazionali così evitai di bagnarmi troppo. Trovai un posto libero nella grande sala antistante gli arrivi e nell'attesa lessi qualche pagina della biografia di Isaac Newton. Un bel libro, ma la mente non faceva altro che pensare alle parole del professore e poi il freddo della sera non mi lasciava un attimo.
Lasciai perdere la lettura e cominciai a guardarmi attorno alla ricerca di un bar. Mi alzai e decisi di attendere l'arrivo del volo gustando una tazza di cioccolata calda e cercando di trovare le risposte alle tante domande che mi passavano per la mente.
Ero curioso di sapere a cosa andavo incontro. Per telefono il professore era stato evasivo, ma dalla sua voce intuivo che doveva trattarsi di qualcosa di straordinario. Non l'avevo mai sentito così entusiasta come la sera prima, al telefono.
Avevamo parlato tante volte di misteri della storia che affascinavano entrambi che vi era solo l'imbarazzo della scelta. Ancora pochi minuti e avrei saputo di che si trattava.
Un allarme fastidioso mi richiamò alla realtà.
Non vi era stato alcun annuncio ancora ma diversi passeggeri si erano diretti verso le vetrate che davano su una delle piste e parevano visibilmente agitati. Mi resi conto che sotto il brusio generale si sentivano in lontananza le sirene dei vigili del fuoco. Doveva essere accaduto qualcosa.
Qualche istante dopo una folla di gente si affacciava alle vetrate che davano sulla pista. Un bagliore rosso fuoco la illuminava a giorno e le esplosioni si succedevano spaventose.
Un 747 in fase di atterraggio con i suoi centosettanta passeggeri era andato a impattare sulla pista esplodendo all'istante. Nessun sopravvissuto!
Il mio Professore, l'amico Claudio, avrebbe portato il suo segreto con se, nella tomba, per sempre.

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Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
 

lunedì 17 marzo 2014

I custodi della storia (Cap. II) - Il viaggio

Anno del signore 1290, 2 gennaio.
 
Era una fredda giornata d'inverno quando Nicola e Lazzaro lasciarono Assisi alla volta di Genova dove li attendeva una nave per la Sardegna. Da li sarebbero partiti poco dopo alla ricerca di una terra lontana e sconosciuta, nel lontano ovest, sanza sapere se sarebbero mai tornati a casa.
Nicola, il più anziano, aveva compiuto da poco quarant'anni anche se non li dimostrava. Portava i capelli tagliati corti e una folta barba nera incorniciava la sua faccia squadrata e dalla pelle abbronzata. Il naso aquilino gli dava un'aria nobile e forte. Era nato ad Assisi quarto figlio di una famiglia di ricchi commercianti ma era entrato in convento già all'età di dodici anni dove aveva preso gli ordini minori.
Lazzaro ne aveva dieci in meno di anni, anche lui era nato ad Assisi ma apparteneva ad una famiglia povera. Era alto poco più di Nicola ma di corporatura più esile. Di carattere calmo ma fermo nelle decisioni, si era subito trovato bene con Nicola che considerava un po' come un fratello maggiore. Il padre era stato soldato di ventura ed era morto in una scaramuccia con alcuni commilitoni. I frati lo avevano accolto con amore dopo la morte della madre quando aveva appena compiuto otto anni.
Entrambi vestivano il saio scuro dei francescani, portavano ai piedi dei vecchi sandali aperti e intorno al collo il Tau, la croce di Francesco, il fondatore del loro Ordine. Nella povera bisaccia di cuoio custodivano i loro tesori, alcuni testi di preghiere, un antico diario di viaggio, alcune mappe e l'occorrente per scrivere e disegnare.
Avevano discusso a lungo del viaggio col loro fratello Giovanni. Era stato Giovanni a raccontargli della mappa e della possibilità di raggiungere il lontano Oriente viaggiando verso Occidente. Giovanni era stato il loro insegnante di Latino e greco antico e le sue conoscenze dei classici erano enormi. Spesso, durante il lavoro, gli raccontava le storie che aveva letto tanti anni prima con una tale disinvoltura che il tempo passava senza che neppure se ne accorgessero. Nicola e Lazzaro ci avevano pensato tante volte a quel fantastico viaggio verso oriente e ora ora che lui era morto non avevano più nessuno che li trattenesse.
Guidati dalla fede nel loro Signore e dalla Regola che li avrebbe aiutati a sopportare un così lungo viaggio partirono sicuri di riuscire dove altri avevano fallito.
Sapevano bene a cosa andavano incontro, o forse era l'esatto contrario a spingerli, l'incoscienza, ma erano pronti a mettere a rischio le loro vite per conquistare nuove terre alla fede.
Il loro successo sarebbe stato il successo di fratello Giovanni. Dio li avrebbe guidati e soccorsi.
Non erano soli nell'impresa. Con loro viaggiavano i giovani rampolli di alcune famiglie liguri, Ugolino Vivaldi e Vadino, Guido e Teodisio della famiglia Doria. Quattro giovani avventurieri che avevano fondato una società con l'intento di raggiungere le Indie e tentare così la fortuna.
Per il viaggio allestirono due navi, la Sant'Antonio e l'Allegranza, dando fondo ai risparmi accumulati dalle loro famiglie e con la loro ciurma costituita da marinai, pirati redenti e semplici mozzi, partirono alla ricerca di fortuna, alla volta di una terra misteriosa e ricchissima di cui avevano sentito parlare nelle antiche storie che si tramandavano in famiglia.
Il viaggio sarebbe stato lungo e difficile ma così è la vita.
Solo sei persone sapevano approssimativamente cosa li attendeva. Ne avevano discusso a lungo coi tre frati prima di farsi convincere ad investire tutte le loro fortune in una impresa che poteva significare la fortuna di tutti come la morte.
Durante la preparazione del viaggio avevano pianificato tutto per stare in mare tre mesi di seguito prima di fare scalo. I genovesi avevano conosciuto i tre frati durante un viaggio di lavoro ad Assisi. Avevano cenato nella stessa osteria e bevuto vino rosso alla stessa tavola fino a che non avevano sentito parlare fratello Giovanni che raccontava di una sua lettura in cui era descritto un viaggio in una terra lontanissima e immensa ad ovest della Spagna, oltre l'Oceano. Giovanni assicurava che nel libro che aveva letto alcuni anni prima vi era una mappa e lui era certo di averla vista. Gliela avrebbe mostrata alla prima occasione dato che il libro sicuramente si trovava ancora nella biblioteca della famiglia del fondatore dell'Ordine. I genovesi avendo sentito Giovanni parlare di questa terra lontana, avevano loro offerto da bere e cominciarono a far domande. Giovanni era sempre felice di avere attorno giovani vogliosi di ascoltarlo raccontare le storie da lui lette e non aveva lesinato in particolari. Raccontò di una terra straniera, il cui ricordo era perduto nel tempo, una terra immensa che si estendeva da un estremo all'altro del mondo e che millenni prima era stata raggiunta dai viaggiatori che partirono dalle coste del mediterraneo.
Così avevano stretto amicizia ed era nata l'idea del viaggio.
Ci volle del tempo prima che la mappa fosse ritrovata e che i preparativi per il viaggio fossero completati. Una brutta polmonite si portò via fratello Giovanni che non poté assistere alla partenza dei suoi giovani confratelli.
Nicola e Lazzaro partirono da Genova in una giornata di primavera, costeggiando la Corsica, diretti verso Castelgenovese, castello e porto del nord Sardegna appartenente alla famiglia Doria. Da lì, dopo aver fatto rifornimento di viveri e acqua, sarebbero ripartiti dieci giorni dopo alla volta delle colonne d'Ercole.
Il tempo era buono e non ci sarebbero state più soste, fino all'arrivo in Africa sulla costa Atlantica, dove avrebbero fatto scalo all'altezza del fiume Geba. Il viaggio durò trentadue giorni durante i quali i marinai oltre al loro lavoro alle vele passavano il tempo a pescare per integrare il cibo della cambusa con del pesce fresco. Un giorno un forte temporale rischiò di mandare a picco l'Allegranza ma proprio quando la situazione si era fatta più critica il temporale cessò e il tempo cambiò con insolita velocità. I due frati furono visti pregare in ginocchio per la salvezza delle anime con le braccia rivolte al cielo, incuranti della pioggia e dei fulmini, e questo era stato sufficiente per indurre i marinai a credere che lo scampato pericolo fosse opera della loro intercessione verso dio.
Erano le dieci del mattino quando il nostromo avvisò il capitano che erano arrivati a Geba. Un fiume di acqua dolce e fango si inoltrava per miglia e miglia prima di disperdersi nell'acqua azzurra dell'oceano, segnalando ai marinai esperti la sua inconfondibile presenza.
Gettarono le ancore a circa mezzo miglio dalla riva fangosa poco oltre la foce del fiume. Un gruppo di selvaggi aveva acceso un fuoco per segnalare un approdo sicuro e l'intenzione di scambiare le proprie merci, principalmente frutta e acqua, con i marinai. Era una pratica comune lungo le coste dell'Africa. Spesso i marinai lasciavano le loro mercanzie sulla riva dove in precedenza gli abitanti della zona avevano lasciato le loro merci e lo scambio avveniva sulla fiducia. Altre volte era possibile scendere a terra e trattare con i commercianti del luogo.
La sosta fu breve e tranquilla. I marinai sbarcarono per fare rifornimento nel vicino villaggio. Comprarono cibo fresco per altri tre mesi di viaggio in alto mare e cinque giorni dopo già si ripartiva. La sera prima di partire tre marinai scesero a terra mezzi ubriachi e allontanatisi nella giungla all'inseguimento di una specie di maiale selvatico non tornarono più indietro.
La mattina dopo, all'alba, il convoglio prese il largo con tre marinai in meno, diretto senza alcun tentennamento ad ovest.
La costa si allontanava velocemente. Le due imbarcazioni avanzavano velocemente nell'oceano spinte da un vento forte e regolare. I primi giorni di viaggio il tempo si mantenne buono anche se il vento aumentava costantemente la sua forza.
Il quarto giorno di navigazione, poco prima di mezzogiorno, il cielo cominciò a farsi scuro e all'orizzonte si profilava un grosso temporale. Le onde cominciarono a crescere di altezza fino a raggiungere i dieci metri di altezza. I galeoni, grandi e sicuri fino a quel momento, sembravano diventati dei gusci di noce in balia del mare. Incapaci di qualsiasi manovra i marinai della Sant'Antonio ammainarono le vele sperando che questo li aiutasse a resistere al vento e alla forza delle gigantesche onde. L'Allegranza invece volse la prua verso est per aggirare il temporale con l'unico risultato di venire trascinata lontano dalla Sant'Antonio. Dopo pochi minuti le due navi si persero di vista. Per tre giorni e tre notti gli uomini dell'Allegranza restarono in balia della burrasca cercando di lottare per sottrarre la nave alla furia del mare e dei venti. Il temporale infuriava tutto intorno a loro e la nave cigolava sinistramente sotto i possenti colpi delle onde, diffondendo sinistri presagi tra gli uomini spossati e scoraggiati. Il quarto giorno il vento era calato leggermente e le nuvole si erano aperte ad ovest lasciando intravvedere un lembo di cielo azzurro in lontananza.
La Sant'Antonio era stata più fortunata.
Il temporale non li aveva risucchiati al suo interno ma li aveva sospinti indietro, verso le coste dell'Africa lasciate qualche giorno prima. Sfortunatamente il galeone aveva subito danni all'albero maestro e non era più in condizione di percorrere un lungo viaggio. I marinai erano troppo sfiduciati per proseguire e due giorni dopo approdarono a poca distanza dal fiume Geba dove cominciarono immediatamente i lavori di riparazione, sperando di rivedere di li a poco i compagni della Allegranza. Le cose sarebbero andate diversamente, ma nessuno poteva saperlo.
Il mare aveva deciso diversamente.
Sarebbero passati quarantasei giorni prima che l'Allegranza e il suo equipaggio potesse vedere in lontananza una scura linea di costa e i due gruppi non si sarebbero mai più rivisti.
A bordo dell'Allegranza il Capitano Ugolino Vivaldi e il nostromo Vadino Doria, accompagnati da frate Nicola proseguirono il viaggio verso ovest.
Prima di lasciare le coste dell'Africa Nicola e Lorenzo si erano salutati augurandosi di potersi riabbracciare presto. Ognuno di loro portava con se una copia della mappa. Il viaggio era stato lungo e faticoso ma niente in confronto a ciò che li aspettava.
Dopo il temporale che li aveva separati dalla Sant'Antonio il viaggio proseguì per venti giorni senza particolari problemi. Il ventunesimo giorno dalla fine del temporale alcuni giovani marinai poco abituati alle privazioni avevano cercato di convincere gli altri a tornare indietro. Il Capitano Vivaldi li aveva sentiti confabulare tra loro e lamentarsi con il resto della ciurma. Li aveva affrontati di petto, minacciandoli di buttarli a mare se non avessero smesso immediatamente.
Uno dei tre estratto il coltello e aveva provato a saltargli addosso ma era stato troppo lento, il Capitano l'aveva passato a fil di spada sul ponte della nave per poi buttarlo ai pesci, ancora vivo.
- Volete seguire il vostro amico?
Disse torvo ai due mozzi che lo guardavano con il terrore negli occhi.
- Liberi di scegliere. O proseguite con me o potete buttarvi in acqua. Potrete proseguire a nuoto verso la costa se ne avete la forza, oppure più probabilmente, finirete nella pancia di qualche grosso pescecane come quelli che potete vedere banchettare la sotto. La spuma dell'acqua, bianca fino a qualche istante prima, era diventata rossa del sangue del loro compagno le cui parti si contendevano tra grossi squali dalle enormi pinne grige.
Che scegliessero liberamente la loro sorte.
A malincuore i due giovani ripresero il lavoro dietro stretta sorveglianza del nostromo e dei marinai più anziani, più abituati alla dura disciplina di bordo.
- Siete stati incoscienti e fortunati voi due. Due anni fa il capitano della nave sulla quale ero imbarcato per molto meno ha fatto impiccare un mozzo all'albero maestro! - Disse uno degli anziani ai giovani, guardandoli di sottecchi.
- Finitela di lamentarvi o vi abbandoneremo, vi siete imbarcati volontariamente e non si torna indietro fino a che non lo deciderà il Capitano. E poi sarebbe da stupidi morire adesso che il viaggio è quasi giunto alla fine.
In effetti i più esperti avevano già notato i segni distintivi della presenza di una terra non troppo lontana. Da due giorni il numero degli uccelli acquatici era aumentato e le acque diventavano a tratti più chiare. Rami e foglie si intravvedevano in superficie, trascinati dalla corrente, segno inconfondibile della presenza di una terra non troppo lontana. Qualche giorno di navigazione al massimo e la terra sarebbe stata avvistata.

Il due luglio dell'anno del signore 1292 il marinaio di guardia urlò con quanto fiato aveva in corpo:
- Terra! Terra!
Il Capitano si diresse immediatamente a prua per osservare l'orizzonte. Alzò la mano destra all'altezza della fronte per proteggersi gli occhi dal sole e confermò la scoperta con un cenno del capo.
Di fronte a loro si stagliava la costa di una terra sconosciuta, solo accennata con una linea nera sulla mappa dei due francescani.
Il Capitano Ugolino Vivaldi accompagnato dall'amico e nostromo Vadino Doria, da fratello Nicola e dai centododici marinai superstiti si trovarono di fronte quella linea scura di terra che si estendeva a perdita d'occhio all'orizzonte.
Ancora un giorno di viaggio e sarebbero finalmente sbarcati.
Il tre luglio il Capitano mise piede sulla terra ferma prendendone possesso in nome del Comune di Genova. Fratello Nicola ne era testimone di fronte a Dio ma non era più tanto sicuro di aver fatto la cosa giusta.
La morte del giovane marinaio l'aveva colpito profondamente. Non avrebbe mai pensato che il Capitano Vivaldi, quel giovane simpatico conosciuto nella taverna di Assisi, avrebbe potuto uccidere. Forse avevano sbagliato tutto – pensò – non era questo che immaginava prima di partire. Avevano messo in conto sofferenze e privazioni ma non gli omicidi. Se aveva ucciso un suo uomo senza batter ciglio, cosa avrebbe potuto fare ad uno sconosciuto? Ma oramai era tardi per tornare indietro, occorreva riporre le speranze nelle mani del Signore.
Appena messo piede sulla spiaggia si gettò a terra in ginocchio e pregò dio padre perché proteggesse la sua anima.

Vai al cap. III: Un'occasione mancata.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 12 marzo 2014

Colonizzando Marte (Primo episodio)

Era da tanto tempo che passando di fronte alla vetrina della libreria del centro osservavo "Cronache Marziane", di Ray Bradbury. Per assurdo, l'avrei comprato proprio ora che la possibilità di colonizzare il pianeta Rosso era diventata realtà.

Ancora qualche anno e i principali paesi industrializzati avrebbero infisso le loro bandiere sul terreno del pianeta.

Entrai.

- Vorrei Cronache Marziane di Bradbury. Chiesi al commesso che mi guardava da sopra i suoi occhialini da intellettuale.

- Glielo devo ordinare signore. Rispose con voce impersonale e un sorriso di circostanza che mi faceva pensare ad un uomo falso.

- Ma se ce n'è una copia proprio in vetrina, nell'angolo a destra...

- Mi scusi. E' sicuro?

- Guardi pure! Ribattei con stizza. Come si fa a non sapere cosa si espone in vetrina?

- Sa che ha ragione? Non l'avevo proprio visto. E ancora quel sorrisino stupido. - Pacco regalo?

- No grazie, non serve. Pagai e uscii dalla libreria, non vi sarei più entrato, pensai.

Cronache Marziane... l'avrei letto durante la pausa pranzo, in Ufficio. L'Ufficio Centrale per la pianificazione della Colonizzazione di Marte.
Anche se scritto nel 1950, magari avrei trovato qualcosa di utile per il mio lavoro. D'altra parte la colonizzazione di un pianeta era qualcosa di assolutamente inusuale e senza precedenti.
Bradbury scrisse che su Marte vi era una atmosfera, anche se povera di ossigeno. Noi sappiamo che non è così, l'ossigeno è solo lo 0,13%.
Scrisse di estati calde e inverni freddi. Noi sappiamo che la temperatura oscilla tra i -140 e i +20 gradi Celsius. Non proprio il massimo.
L'acqua è presente, anche se quasi sempre allo stato solido a causa delle temperature rigide.
Ma quali siano gli effetti di queste condizioni estreme sull'organismo umano e degli esseri viventi di cui avremo bisogno non possiamo dire niente perchè non sappiamo niente!

Come si poteva pianificare la Colonizzazione senza le minime informazioni necessarie?
Era stata la mia prima domanda al momento in cui mi avevano chiamato a ricoprire l'incarico appena creato.
- Non lo sappiamo! Era stata la risposta. - Per questo ci rivolgiamo a Lei, signor Reed. Lei è uno scienziato di chiara fama e... non uno stregone! Completai la frase con ironia.
Eppure, cosa avrebbero potuto fare quei burocrati?
Almeno avevo avuto la possibilità di scegliermi la squadra di lavoro. Cosa che non capita a tutti. Venti persone per iniziare. Poi diventate quaranta e avevo anche la possibilità di assumere temporaneamente chiunque avessi ritenuto necessario per la buona riuscita dell'impresa.
La colonizzazione di Marte aveva avuto la benedizione del Presidente in persona che ci aveva voluto incontrare per discutere le sue idee in proposito. Indiscutibilmente un onore non da tutti!

Il lavoro procedeva incessante e frenetico. L'industria si era buttata sullo sviluppo di nuovi materiali e dei processi di purificazione dell'aria e di produzione dell'acqua.
Ma i problemi erano altri e su questi non si facevano passi avanti.
Occorreva creare una nuova specie vegetale a crescita veloce che fosse in grado di sopravvivere con bassissime quantità di ossigeno e assorbisse molta anidride carbonica.
Eravamo partiti dalla canna da zucchero, una delle specie a crescita più rapida sulla Terra ma ci eravamo arenati subito sulla sua possibilità di adattamento alle basse temperature. Qualunque modifica si facesse al suo DNA il risultato era sempre lo stesso: nulla di fatto!
Il problema era legato alla sintesi degli zuccheri, simulando le condizioni di luminosità del pianeta e del terreno particolarmente ricco di ferro le proiezioni dei simulatori indicavano che a meno di un qualche miracolo non si sarebbe riusciti ad aumentare considerevolmente la presenza di ossigeno se non dopo almeno un millennio. E un millennio non era un lasso di tempo compatibile con i piani di colonizzazione...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 7 marzo 2014

L'estronauta torna a casa (Quindicesimo episodio)

- Nonno, nonno, avevi promesso di raccontarmi una storia di Gionzo! Urlò Giulia tirando il nonno per il braccio mentre ancora terminava la cena.
 
- Va bene piccola, ora arrivo. Se ben ricordo l'ultima volta Gionzo si trovava nel paese delle Idimarip ed era appena stato invitato a casa di Rasa...
 
- Si si. E poi cosa è successo? Dai su, racconta...
 
- E poi... e poi il nostro ospite Rasa gli ha spiegato il significato di tutti quei simboli disegnati nelle pareti di casa. Devi sapere, mia piccola nipotina, che la razza del paese delle Idimarip è una razza antichissima. Che inventò la scrittura molto tempo prima delle Lettere. Però la loro scrittura era composta da tanti disegni e perciò era molto difficile da capire. Solo in pochi possono interpretare...
 
- E tu nonno, sai inpepetare i loro disegni? Disse Giulia impaziente.
 
- E no, io non sono in grado di interpretare i loro disegni. Comunque sia, Rasa spiegò a Gionzo che la sua razza aveva colonizzato tutto il sistema solare e che si era trasferita su un'altra stella molto molto lontana. Lui, Rasa, era molto vecchio e non voleva abbandonare la sua casa così aveva deciso di restare sulla luna.
Di tanto in tanto i nipoti venivano a trovarlo e lui approfittava di quei momenti per raccontare loro delle storie, come faccio io con te!
 
- Perchè Rasa non voleva partire? Non voleva bene ai suoi nipotini? Chiese Giulia un po triste per i nipotini di Rasa.
 
- Ma si che gli vuole bene. Però è molto anziano e un lungo viaggio non era consigliato.
 
- Comunque c'è sempre il telelunofono. Per cui tutte le sera può vedere i nipotini e raccontargli quello che fa. Disse Giulia impossessandosi della storia del nonno.
 
- E si, hai proprio ragione. Che sbadato non ci avevo pensato!
 
- Nonno, io sarei partita comunque. Non avrei mai lasciato soli i miei nipotini. E tu cosa avresti fatto? 
 
- Anche io sarei partito. Non ti avrei mai lasciata sola!
 
- E poi cos'è successo?
 
- Gionzo e Ruggero il Camaleone visitarono la casa e la valle e furono ospiti di Rasa per una settimana fino a che non fu il momento di partire. Erano passati due mesi da quando Gionzo era arrivato sulla Luna e aveva nostalgia della famiglia così decise di tornare sulla Terra.
Però per farlo dovevano tornare alla sua navetta ed era abbastanza lontana. Rasa allora offrì loro un passaggio con la sua nave a luce.
 
- Nonno, cos'è una nave a luce?
 
- La nave a luce è una navicella spaziale molto potente che per volare usa la luce del sole. E' una navetta velocissima che in pochi minuti li portò tutti dove si trovava la navicella di Gionzo che in confronto sembrava piccolissima. Dovresti vedere quanto è bella questa navetta. sembra una gigantesca nave volante con tante vele di tutti i colori.
 
- Deve essere bellissima. Disse Giulia sempre molto curiosa.
 
- La tecnologia umana è molto meno sviluppata di quella del popolo delle Idimarip. Infatti la loro era una civiltà molto più avanzata. Da tempo avevano iniziato a viaggiare tra le stelle e per loro l'universo non ha quasi più segreti. Pensa che proprio in questi giorni i nipoti di Rasa stanno esplorando un enorme buco nero...
 
- Un buco nero? Nonno, come è fatto un buco nero? - Chiese Giulia incuriosita - e come fanno ad esplorarlo se è nero? Serve molta luce altrimenti non si vede niente. A meno che anche loro non abbiano i caschi potenzianti. Con quelli potrebbero vedere tutto...
 
- Si, proprio così. Anche loro hanno dei caschi potenzianti, molto più potenti di quello di Gionzo. Comunque Gionzo salutò Rasa e Ruggero e promise di tornare a trovarli presto. Prima di partire si scambiarono i numeri di telefono per restare in contatto. Rasa regalò l'ultimo modello di telelunofono a Gionzo, quello con le antennine verdi e il monitor da 10 pollici come il nostro tablet, e così Gionzo potè partire.
 
- Bello, lo voglio anche io un telelunofono.
 
- Magari uno di questi giorni andiamo a vedere se ce n'è qualcuno al centro commerciale.
 
- Si si. Però anche io voglio il nuovo modello con le antennine verdi! Disse Giulia ricominciando a correre per la cucina.
 
- Aspetta piccola. La storia non è finita.
 
- Invece si. - Urlò Giulia aprendo le braccia come fosse un aeroplano - Gionzo tornò a casa da sua mogli e dai suoi tredici bambini e vissero tutti felici e contenti!
 
- Tredici bambini? Disse il nonno stupito.
 
- Si si, proprio tredici. Sai, per esplorare tutto l'Universo serve una famiglia numerosa e così quando cresceranno ci saranno tantissimi estronauti.
E mentre parlava continuava a correre per la cucina...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 6 marzo 2014

Introduzione alla cibernetica, di Norbert Wiener

Ho sentito parlare di Norbert Wiener (1894 - 1964) diverse volte in passato ma qualche mese fa mi ha incuriosito una citazione presente nella biografia di Alan Turing. Turing infatti faceva riferimento a lui come ad uno dei principali fautori della scienza dell'informazione e dello studio dell'apprendimento delle macchine, tema di suo estremo interesse.
Wiener è stato professore al Massachusset Institute of Technology dal 1919.
Era stato un bambino prodigio e i suoi interessi abbracciavano ogni branca del sapere.
A lui si deve l'invenzione del termine "Cibernetica", che definì così: "Lo studio dei messaggi, e particolarmente dei messaggi effettiviamente di comando, costituisce la scienza della Cibernetica, come è stata da me chiamata in un libro precedente, con un termine greco che significa arte del pilota o timoniere." Il libro a cui fa riferimento è "Cybernetics, or Control and Communication in the Animal and the Machine, pubblicato nel 1948.
Nel 1950 esce invece questo libro con il titolo originale "The Human use of Human Beings", ovvero "L'uso umano degli esseri umani".
Nel libro l'autore parla dell'America del suo tempo, dei problemi dell'istruzione, dello sviluppo delle idee e delle principali scoperte legate alla possibilità di apprendimento delle macchine, quelle stesse macchine calcolatrici che noi tutti bene conosciamo come computer e di quali potrebbero essere le conseguenze del loro impiego massiccio sulla società umana.
Perchè leggere questo libro?
Ce lo dice Wiener illustrando lo scopo per cui il libro è stato scritto: "Il nostro scopo è quello di spiegare le possibilità della macchina in quei campi che fino a oggi sono stati considerati come dominio esclusivo dell'attività umana, ma anche di mettere in guardia contro i pericoli di uno sfruttamento grettamente egoistico di queste possibilità, in un mondo in cui, agli uomini, debbono importare soprattutto le cose umane."
Purtroppo, guardando come è evoluto il mondo, direi che tutte le peggiori previsioni indicate dall'autore si sono verificate.
Buona lettura.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 5 marzo 2014

L'estronauta e la valle delle Idimarip (Quattordicesimo episodio)

La domenica mattina il nonno era abituato a passarla con Giulia ma quel giorno la piccola era andata al centro commerciale con i suoi genitori e lui si sentiva solo. 
L'ora di cena non era lontana e lui si sarebbe presentato puntuale, come ormai ogni sera da quasi quattro anni a questa parte, a casa della nipotina e mentre pensava alla storia da raccontare quella sera, qualcuno bussò alla porta.

- Arrivo. Disse a voce alta alzandosi dal divano, stordito dal caldo del camino acceso.

- Chi sarà mai a quest'ora?

- Nonno, nonnino, sono io! Non ne potevo più del centro commerciale e ho convinto mamma e papà a portarmi da te! - Urlò Giulia non appena si aprì la porta – Vero che posso restare con te? Mamma e papà devono finire di fare la spesa. - Aggiunse Giulia guardando il nonno con lo sguardo da piccola peste che le veniva così spontaneo.

- Ma certo che puoi restare. Non immagini quanto sono felice di vederti. E mentre parlava la prendeva in braccio come faceva sempre.

- Ti chiedo scusa papà ma Giulia non stava più nella pelle. Spero che non ti dispiaccia...
- Ma figurati. Non vedevo l'ora di abbracciare la mia nipotina. Andate pure a fare la spesa con tutta tranquillità. Quando finite venite a mangiare a casa da me se volete.

- Grazie papà, sapevo di poter contare su di te. Disse la mamma di Giulia andando via. - A più tardi allora e non mangiate troppi dolcetti, mi raccomando. Aggiunse salendo in macchina col marito.

- E ora che si fa? Disse il nonno alla nipotina. - A cosa giochiamo oggi? Fammi pensare. Se non ricordo male in questa busta c'è qualcosa che potrebbe piacerti. - Aggiunse sornione frugando in una busta di carta dentro la vecchia credenza della cucina. - Ricordo che alla tua mamma piaceva tanto giocarci - e mentre parlava rovesciò il contenuto della busta sul tappeto di fronte al camino invitando la piccola Giulia ad inginocchiarsi di fronte ad un mucchio di mattoncini lego di tutti i colori dimensioni e forme.

- Ecco, scommetto che non hai mai giocato con le costruzioni. Vieni, avvicinati e guarda come si fa. E in men che non si dica costruì un cagnolino con le zampe rosse e il muso nero.

- Che carino! - Disse Giulia prendendo il cagnolino e abbaiando rumorosamente. - Nonno, si può costruire anche un Camaleone? Mi piacerebbe vedere come si costruisce un Camaleone e anche il nostro amico Estronauta e poi il drago Ladone, una Cervespa e poi...

- Giulia. Per costruire tutte queste cose ci vorrà una serata. Facciamo così, ora costruiamo assieme Ruggero il Camaleone e poi ti racconto una storia di Giovanbattistamarialorenzo, va bene?
- Certissimamente! - Urlò Giulia saltando sul tappeto e distruggendo il povero cagnolino che finì sotto i piedi.

Così, poco dopo nonno e nipotina avevano realizzato il più bel Camaleone di Lego che sia mai stato costruito (anche perché non ne erano mai stati costruiti altri!).
- Ma è bellissimo! - Disse Giulia tenendo il Camaleone sulle mani facendo attenzione che non si staccassero i pezzi.

- Sono contento che ti piaccia. Ora però poggialo sul tavolino e vieni a sederti vicino a me che devo raccontarti la storia di Gionzo nel paese delle Idimarip.

- Le Idimarip? Che tipo di lunimali sono nonnino caro? Disse Giulia cercando di immaginare qualche nuovo animaletto strano come faceva di solito il nonno. - Non riesco proprio a immaginarle queste Idimarip.



- Se ti siedi qui vicino a me e ascolti vedrai che capirai subito - Disse il nonno sorridendo – le Idimarip non sono dei lunimali ma delle strane costruzioni che si dice si trovino solo sulla luna, nella valle degli Er.

- E chi sono questi Er? Almeno questi sono dei lunimali? E perché...

- Giulia! - disse il nonno guardandola con severità.

- Capito! Disse la piccola Giulia portandosi le mani alla bocca per costringersi a star zitta.

- Bene. Devi sapere che la valle degli Er è una valle gigantesca che si trova lungo la sponda destra del fiume Ricotta. Abitata sin dai tempi più antichi da una strana razza di lunimali molto intelligenti e religiosissimi, oggigiorno è quasi disabitata. Gli Er sopravvissuti sono pochi e le uniche tracce della loro civiltà sono le stupende Idimarip di cui la vallata è costellata. Gionzo e Ruggero arrivarono nella valle al sorgere del sole e quello che videro li lasciò di stucco. Anche Ruggero che aveva visto tante cose strane essendo un lunimale egli stesso, di fronte ai resti di questa stupenda civiltà restò a bocca aperta lasciando intravvedere anche un dente un po cariato che si trovava in fondo in fondo.

- Nonno, che schifo!

- Scusa Giulia, ma è stato Gionzo a raccontarmi anche questo. Comunque sia, se vuoi sapere come sono le Idimarip puoi immaginare delle enormi costruzioni che assomigliano a delle piramidi ma a testa in giù o nelle posizioni più strane. Alcune solitarie, altre costruite in gruppo o l'una sull'altra, offrivano ai visitatori uno spettacolo veramente curioso.

- Belle queste Idipamip. Me ne costruisci una con le costruzioni così è più facile immaginarle?

- Va bene, ecco qua. Questa potrebbe essere una delle Idimarip, e questo un Er. E mentre parlava costruiva velocemente alcune piramidi e un mostriciattolo stranissimo che poi appoggiò a testa in giù sul tappeto.

- Bravo nonno. Urlò Giulia per la contentezza prendendo una piramide in mano con curiosità e subito lasciandola a terra per afferrare l'Er.
- Mentre Gionzo e Ruggero osservavano lo splendido spettacolo, un Er che si trovava a passare li vicino li osservava a sua volta pensieroso.

- Chi siete, stranieri, cosa volete nella terra degli Er? Disse ad un certo punto con voce cavernosa e un po incerta come di chi è da tanto tempo che non parla con nessuno.

- Gionzo e Ruggero fecero un salto all'indietro per lo stupore, infatti non avevano sentito l'Er arrivare e inoltre non avevano mai visto un Er di persona. Ruggero ne aveva sentito parlare dai suoi nonni quando era piccolino. Gionzo invece non sapeva proprio niente di questo strano popolo.

- Buon giorno e te - rispose Gionzo con tono pacato, cercando di nascondere il suo stupore – Io sono un estronauta e vengo dalla terra. Mi chiamo Giovanbattistamarialorenzo e questo è il mio amico Ruggero il Camaleone. Stiamo esplorando la zona alla ricerca delle sorgenti del fiume Ricotta e ci siamo imbattuti in questa splendida vallata – disse con un profondo inchino - Puoi dirci chi sei e dove ci troviamo?

- Benvenuti stranieri, noi eravamo un popolo molto ospitale un tempo. Ma ora siamo restati in pochi. Io sono Rasa e sono uno dei pochi sopravvissuti del popolo degli Er. Disse l'anziano Er pronunciando ogni parola con grande tranquillità. Seguitemi nella mia modesta dimora. Aggiunse indicando una tra le Idimarip più grandi della valle.

Percorsero la strada lentamente e in silenzio, come in processione. Una lunga scalinata permetteva l'accesso alla Idimarip. Arrivati in cima alla scala si trovarono in un ambiente enorme, poco illuminato e ricco di disegni su tutte le pareti. Gionzo e Ruggero osservavano tutto con stupore e passarono alcuni minuti con il naso all'insù.

- Complimenti per la vostra casa – disse Gionzo al padrone di casa – è stupenda. Anche i disegni sulle pareti sono molto belli. Significano qualcosa? Disse Gionzo molto incuriosito dalle strane forme disegnate sulle pareti.

In quel momento qualcuno bussò alla porta.

- Arrivo! - Disse il nonno alzandosi per aprire la porta – Giulia, sono arrivati mamma e papà - disse il nonno dalla soglia di casa.


Giulia, temendo di dover andar via, scappò immediatamente a nascondersi sotto il letto della camera del nonno, come faceva sempre in questi casi...

- Esci fuori piccola, oggi ceniamo qui da me. Aggiunse il nonno con voce rassicurante - e dopo cena ti racconto il seguito. Sentito ciò la piccola Giulia uscì dal suo nascondiglio e cominciò a correre e saltare per la casa per la gioia.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 2 marzo 2014

L'estronauta e il drago (Tredicesimo episodio)

- Buon giorno a tutti. - Disse il nonno sedendosi a tavola con tutta la famiglia. - dov'è la mia nipotina preferita? - Aggiunse non vedendo Giulia da nessuna parte. 

- E' in camera sua. Quando ti ha visto arrivare dalla finestra è corsa in camera urlando qualcosa. Puoi andare a prenderla tu, papà? Disse la mamma di Giulia.

- Naturalmente. Vado subito. E mentre parlava si alzò e si diresse verso la camera della nipotina. - Giulia, vieni dal nonno.

- Nonno, non entrare in camera. Disse Giulia dall'altra parte della porta. - Aspetta un attimo...

- Che cosa succede? Perchè non posso entrare? Aggiunse il nonno preoccupato. 

- Ecco, arrivo. Disse Giulia aprendo la porta e tenendo le mani dietro la schiena cercando di nascondere un foglio in cui si vedeva un disegno tutto colorato.

- Cosa stai facendo, piccola mia? Perchè tutto questo mistero?

- Ti ho fatto un regalo! Disse Giulia tutta contenta, mostrandogli il disegno dell'Estronauta che aveva appena terminato di colorare.

- Ma è bellissimo! L'hai fatto tutto da sola?

- Si si, ti piace nonnino? E' il nostro amico estronauta che va a spasso con Ruggero. E li in fondo c'è anche un drago...

- E' bellissimo. Posso tenerlo? Lo appenderò in cucina questa sera.

- Certo, è tuo! Adesso possiamo andare a tavola che devo finire la mia minestrina con il formaggino. Mamma  mi ha comprato i formaggini di Capraspina, vuoi assaggiarlo? E' buonissimo!

- Ne sono sicuro. Mangialo tu che devi crescere. Io ho già cenato oggi. Sono venuto solo per vedere la mia carissima nipotina. Non è che l'hai vista?

- Ma nonno, sono io la tua nipotina! Disse Giulia quasi offesa.

- Oh, scusa. Hai ragione. Disse il nonno ridendo - perdonami, è l'età! Ma ora andiamo vicino al camino che sento freddo. Se ti va ti racconto dell'incontro tra Gionzo e il drago.

- Certo, voglio sapere cos'è successo. Dai nonno, andiamo a sederci.

- Dunque, se non ricordo male il nostro amico Ruggero mentre raggiungeva Gionzo che stava seduto ai piedi di un albero con due pomi d'oro tra le mani, vide in lontananza un enorme e terribile drago. Spaventato dalla vista del mostro si fermò come immobilizzato dal suo sguardo. 
Intanto Gionzo, vedendo l'amico paralizzato si voltò verso il bosco e quasi svenne dalla paura.

- Nonno, era così terribile questo drago? 

- E si. Era enorme. la sua testa spuntava dalle chiome degli alberi e le sue antenne rosse sembravano due torri altissime. Ogni squama che ricopriva il suo corpo era più grande di una casa e la coda era tanto lunga che nessuno era in grado di vederne la punta. E ti ho parlato solo di una delle teste perchè devi sapere che il drago di teste ne aveva cento, e forse anche di più!

- Ma allora era veramente enorme! Disse Giulia terrorizzata.

- E si, era enorme. Era tanto grande che quasi non si era accorto di Gionzo, se non fosse che Gionzo lanciò un urlo per il terrore. A quel punto il drago girò la testa verso Gionzo per vedere da vicino chi aveva urlato. Infatti devi sapere che anche lui come me aveva aveva una certa età e non ci vedeva bene.

- Speriamo che Gionzo riesca a salvarsi. Disse Giulia ancora preoccupata per il suo amico.

- Il drago, dicevo, avvicinò la testa al nostro amico e... - Buona sera disse, sei per caso Gionzo l'estronauta? Ti aspettavo...

- Bu.. buo.. buona sera. Rispose Gionzo con un fil di voce. Come fai a conoscermi? Disse riprendendo coraggio.

- Ho tanto sentito parlare di te. Sai, la mia vista è bassa, ma l'udito è buono ed è da diversi giorni che sento tanti lunimali parlare di te e del tuo compagno di viaggio, si chiama Ruggero se non sbaglio. - Aggiunse il drago con pacatezza. - Io mi chiamo Ladone, ben arrivato sulla Luna.

- Grazie. Disse Gionzo. E' un bel nome Ladone. Posso chiederti come fai ad essere così grande? Quanti anni hai e di che razza sei? Non ho mai letto niente della tua razza.

- Capisco. Rispose Ladone con un sospiro. - Devi sapere che io un tempo vivevo sul tuo stesso pianeta, la Terra. Allora ero poco più di un lucertolone ed ero il guardiano di un bellissimo giardino che si chiamava il giardino delle Esperidi. Poi un giorno un uomo molto forte di cui non ricordo il nome, venne nel giardino e rubò tutti i pomi d'oro. Io ero sconvolto, non riuscivo a sopportare questo affronto e decisi di emigrare. Presi tutte le piante che riuscii a portar via e partii per la luna. Da allora sono passati migliaia di anni. Ora il giardino è quassù. Ma penso proprio che dovrò partire nuovamente visto che voi uomini siete arrivati anche quassù! - Disse Ladone con tristezza.

- Mi dispiace tanto disse Gionzo. Non pensavo... non volevo rubarti i pomi d'oro. Ecco, sono tuoi. Ti chiedo scusa.

- Ma figurati - rispose Ladone il dragone - mangiatene pure quanti ne volete. Sono buonissimi sai? Dimmi piuttosto, quando sono partito la terra era uno splendido giardino, è ancora così?

- Purtroppo no, Ladone, la Terra è peggiorata tanto. I boschi sono sempre meno anche se le ultime generazioni hanno imparato a rispettare la natura. Sai, penso che tu abbia ragione. Nei prossimi anni sempre più uomini verranno quassù e il tuo splendido giardino sarà sempre più in pericolo. 

- Lo immaginavo . disse Ladone sconsolato - comunque ero stanco di stare sulla Luna. Avevo già pensato di spostarmi un po più lontano dal sole. Sai, ai pomi d'oro da fastidio la troppa luce.

- Se hai bisogno di aiuto noi siamo pronti ad aiutarti. Disse Gionzo mentre Ruggero annuiva con la testa.

- No grazie , non vi preoccupate. prenderò poche cose e gli alberelli più giovani e partirò presto. Ora vi saluto cari amici, chissà che un giorno non ci si possa incontrare nuovamente. E con tristezza Ladone il dragone volò via lasciando il giardino nelle mani di Gionzo e di Ruggero.

- Mi raccomando, rispettate le piante... furono le sue ultime parole.

- Nonno, sono triste. Lo interruppe Giulia. - Dove andrà ora il povero Ladone? E chi si prenderà cura delle piante di pomi d'oro?

- Non ti preoccupare mia piccola principessa, vedrai che Gionzo si farà venire qualche idea ma ora è arrivato il momento di andare a dormire... buona notte e sogni d'oro.

- Notte nonno, a domani. Disse Giulia baciando il nonno sulla guancia...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Il manoscritto di Brodie, di Jorge Luis Borges

Di Borges ho già letto Finzioni, e in quell'occasione avevo annunciato la necessità di approfondire la conoscenza per poter azzardare un giudizio difficile. 
Vi dico subito che il giudizio ancora non c'è, nonostante la lettura di questa collezione di racconti brevi.
Il manoscritto di Brodie presenta undici racconti brevi, parte ambientati nella Buenos Aires di inizio novecento, parte invece derivanti dalle innumerevoli conoscenze letterarie di Borges.
Ricordo che  Jorges Luis Borges (1899-1986), argentino di nascita, fu scrittore, poeta, saggista, traduttore, docente universitario e direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires.
Tra i racconti posso dire che il primo, l'intrusa e l'ultimo, il manoscritto di Brodie, sono i più interessanti anche se completamente differenti come genere. Il manoscritto di Brodie in particolare sembra rifarsi a tradizioni antiche di cui possono ritrovarsi tracce nel saggio di Frazer, il ramo d'oro.
Eppure anche gli altri meritano di essere letti con attenzione sia per la costruzione, sia per le idde di fondo, non comuni tra gli autori di racconti.
Ancora non esprimo un giudizio, come ho già detto o forse il giudizio già è stato emesso dato che ho intenzione di leggere ancora qualcosa di questo autore.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO