Traduttore automatico - Read this site in another language

sabato 29 marzo 2008

Illegalità diffusa al mercato rionale...

Vi è mai capitato di andare al mercato rionale?
A me capita, di tanto in tanto.
Mentre cerco di farmi strada tra la gente mi stupisco sempre quando vedo i banchetti dei venditori abusivi di cianfrusaglie, DVD pirata, borsette false, persino le carte di Yu-Gi-Oh! Centinaia di persone che lungo i marciapiedi svolgono il loro commercio... chissà quanti di loro hanno il permesso di soggiorno!
E mentre mi faccio strada tra la folla, ecco che mi ferma un venditore abusivo che mi chiede un euro per tre teste d'aglio... ma anche lui deve pur vivere, penso!
Mi guardo intorno, per ogni bancarella autorizzata(?), ce n'è almeno un'altra sicuramente non autorizzata... Per tutto il tempo passato al mercato non si è visto un poliziotto, un vigile urbano, un Carabiniere o un finanziere... poi, proprio mentre sto per andar via, intravvedo una macchina dei vigili urbani, sono in quattro e parlano tra loro.
Tutto intorno l'illegalità diffusa continua i suoi affari ma non è un problema loro... nessuno si preoccupa della presenza dei vigili e i vigili non si preoccupano dei venditori di falsi, come se ci fosse un qualche tacito accordo... più semplicemente perchè occorrerebbero 400 vigili, forse!
E noi cosa possiamo fare se non guardare la nostra società degenerare?
Niente, perché tutti sanno che il mercato rionale è un luogo di illegalità diffusa e nessuno fa niente... anzi no, qualcosa fanno, evitano di andarci, almeno in divisa!
Complimenti Italia, chiudi gli occhi e vai avanti così che vai bene!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 26 marzo 2008

Sto tagliando il tempo...


Nicosia, cinquanta anni fa...
Ricordo una grande casa di campagna, al piano terra c'era la stalla per i buoi e le mangiatoie... Venti metri più in là, ammucchiate sul pavimento, c'erano le scorte per il bestiame...
La casa era molto grande, il soffitto era alto e realizzato in tronchi di legno e in canne...
Al piano superiore c'era la stanza in cui dormiva tutta la famiglia... e, attraverso una botola, si accedeva al soffitto, irraggiungibile per un bambino piccolo.
Ricordo che una volta entrai nella stanza, un enorme dormitorio con i letti lungo le pareti e la tavola al centro, trovai nonno affacciato alla finestra che oscillava stranamente... Nonno Sigismundo si accorse della mia presenza e mi accompagnò fuori, mi disse che poi mi avrebbe spiegato...
Il tempo passò e io dimenticai questo fatto ma un giorno capitò nuovamente... incuriosito gli chiesi cosa stava facendo e così scoprii che nonno "tagliava il tempo".
Chiesi cosa significava "tagliare il tempo" così mi raccontò che si trattava di salvare le colture dalle forze della natura... dai temporali. Occorreva allontanare le nuvole cariche di grandine dai propri terreni. Era una pratica antica che veniva tramandata dal padre al primo figlio maschio che, se interessato, avrebbe potuto assistere la notte di un particolare giorno dell'anno, allo svolgimento della cerimonia...
L'arte di controllare il temporale e di spostarlo per salvaguardare il proprio territorio, era molto pericolosa, bisognava stare soli anche perché se accadeva qualcosa, chi era nelle vicinanze, poteva morire...
La cerimonia era un insieme di parole e gesti rituali, nonno si circondava di attrezzi agricoli, delle falci molto arcuate e che dovevano essere ancora in uso per la mietitura del grano, venivano posizionate in modo particolare, incrociate e rivolte fuori dalla finestra.
Non ricordo cosa diceva ma recitava delle formule antiche...
Purtroppo il tempo, imperterrito, non aspetta nessuno e io, crescendo, dimenticai... e la tradizione andò persa!



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 25 marzo 2008

Contusu de "Sa Rutta"

Era una fredda giornata del 1958, io avevo solo otto anni. Abitavamo tutti assieme nella casa di campagna di sa Rutta. Eravamo in sei in famiglia, il nonno Riccardo, la nonna Annunziata, mamma Cenza, mio fratello Umberto, io e Pupa; papà era già andato via.
Quella sera pioveva e, come tutte le sere d'inverno, eravamo tutti intorno al camino. Mamma preparava la cena, una minestra calda e pane abbrustolito sulla brace.
C'era freddo e per scaldarci nonno aggiunse della paglia di fave sul fuoco. A me non piaceva l'odore del fumo, ma adoravo riscaldarmi al caldo della fiamma, così talvolta mi sedevo dentro il caminetto, affianco al gatto grigio dal pelo bruciacchiato. Mentre aspettavamo la cena di solito nonno ci raccontava qualche vecchia storia, di quelle che si raccontano da centinaia d'anni nelle famiglie di campagna. I racconti erano spesso spaventosi per noi bambini.
C'era "su Diau" (il Diavolo), sempre presente nelle storie del nonno sotto forma di un caprone che scalciava, dagli zoccoli sprizzavano scintille del fuoco dell'inferno. C'erano gli spiriti della vecchia casa dei Crobu che sbattevano le porte, distruggevano i mobili e facevano strani spaventosi rumori. E per i bambini più piccoli, che facevano i capricci perché volevano uscire in cortile, c'erano "is mazzamurrusu", una sorta di gnomi col berretto verde che ballavano sul muro di casa... era capitato anche a me di vederli una volta!
Ma quella sera il nonno ci parlò dell'anno 2000, l'anno in cui, si diceva, ci sarebbe stata la fine del mondo. Io e Pupa ascoltavamo con attenzione e un po di paura, Umberto stava da una parte, seduto a tavola e leggeva, lui era grande e non stava più a sentire il nonno... Nonna Annunziata uscì in cortile a prendere dell'altra legna quando la sentimmo urlare. Nonna rientrò di corsa urlando "Oiommommia, esti sciaendisia su mundu!" (Oddio, si sta disfando il mondo!). Ricordo che anche noi cominciammo ad urlare spaventati...
Solo nonno Riccardo si affacciò fuori a vedere cosa stesse accadendo, il cortile riluceva di scintille che venivano dall'alto... sollevò gli occhi e, resosi conto dell'accaduto rientrò in casa e con la sua voce alta e calma disse "No esti nudda, adi pigau fogu sa zimminera...", aveva solo preso fuoco la canna fumaria...
Nonna era ancora spaventata e anche noi eravamo un po in ansia.
Ricordo che mamma allora chiamò a tavola e di fronte ad un piatto di minestra calda dimenticammo subito tutte le nostre paure...
Dopo cena ci sedemmo ancora intorno al fuoco e mentre nonna Annunziata lavava le stoviglie, mamma ci intratteneva con qualche altra storia.
Quella sera ci raccontò di aver sognato che in un certo punto della casa di zia Nuccia c'era unu scruxioxiu nascosto (un tesoro) fatto di monete d'oro. Su scruxioxiu si trovava sotto terra e sopra c'era unu laccu (una macina) in pietra. Le fu detto di presentarsi a mezzanotte nel punto indicato con una persona che la aiutasse a raccogliere il tesoro... ma lei ebbe paura e non ci andò così fu assegnato ad un altro che, si dice, lo trovò esattamente dove indicato nel sogno.
E così un'altra sera era passata ed era arrivata l'ora, infine, di andare a letto...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 18 marzo 2008

Il pendolare in scatola inizia a puzzare...

Aprilia-Roma,
un treno all'ora circa, sei carrozze ci portano giornalmente al lavoro...
il treno dei pendolari dimenticato da Dio!
Viaggio giornalmente da più di cinque anni e i passeggeri sono, forse, raddoppiati!
Ma il treno è sempre lo stesso!
E allora, come viaggiano i pendolari?
Benissimo...
Il treno delle sei e venti del mattino che parte da Nettuno alle sei meno dieci ad aprilia è già pieno, solo pochi posti sparpagliati per i vagoni e giù, nella banchina del binario uno, centinaia di persone si accalcano nella speranza di conquistare un posto libero...
Per la maggior parte il viaggio finirà così come inizia, in piedi nell'ingresso!
Ma non è un problema, è sicuramente in buona compagnia... Infatti, pressati come sardine sotto olio si viaggia tutti in allegria... è sufficiente guardare le facce per capirlo!
Ma è certamente un caso.
Allora prendiamo il treno al ritorno, 17 e 07 da Roma Termini, binario dodici, la temperatura, come al solito è alta quando fa caldo e bassa quando fa freddo...
L'unica cosa sicura è il posto in piedi, come le sardine della mattina...
e che dire del profumo... anche non volendo è impossibile non scoprire quello usato dal nostro vicino di viaggio!
Ma va bene così, bisogna essere ottimisti...
tutto sommato, le mucche che viaggiano strette come noi pendolari, nel loro ultimo viaggio vanno al macello... e non al lavoro!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

RITORNO DAL KOSOVO (27 Agosto 1999)

Ho paura del tempo
Il vuoto interposto agli attimi
Il relativo silenzio interrotto
Dal brusio di fondo
Lontana reminescenza d’altri
Voci confuse e di notte
Bagliori di luminescenza
La nave salpata dal porto
Ha reciso qualcosa di invisibile
Ma rimane sugli avambracci
Chiusi all’aria fredda della sera
L’indelebile cicatrice delle ferite
Inferte dalla memoria.
Il ciclo delle nostre lune
ha inghiottito in un’eclissi
tutti i pensieri inespressi
le parole dette e ripetute
a noi stessi, tutto lo spazio
della lontananza.
Un’onda di chiara schiuma
Ha inabissato la vita un attimo
Prima poi domani sarà
Il sereno risveglio del ritorno.
Non avrò paura di rivederti
Del mio viso allo specchio
Del perduto tempo e di quello ritrovato
Dell’amore sopito abbandonato
In fondo allo sguardo
Nell’angolo segreto delle mani.
Domani ti abbraccerò di baci

Giuseppe MARCHI

lunedì 17 marzo 2008

L'arca e il diluvio, secondo la Bibbia e il mito di Gilgamesh.

Quando si parla di “arca” viene spontaneo pensare all’arca di Noè, ma esistono altre tradizioni, forse anche più antiche dei racconti della Genesi biblica, che annoverano l’arca tra le cose strane…
Ma andiamo con ordine.
Con il termine arca si intende comunemente una grande imbarcazione utilizzata per salvare le specie viventi dall’estinzione dovuta al diluvio inviato da Dio. Autore del salvataggio, il mitico Noè.
Dio, resosi conto della malvagità dell’Uomo, decide di sterminare la specie umana e con essa tutti gli esseri viventi. Qui entra in gioco Noè che, considerato uomo giusto, viene invitato a salvarsi unitamente alla propria famiglia e agli esseri viventi, costruendo un’arca.
Vediamo cosa ci dice la Bibbia:
[Genesi, 6,14]
“Fatti un’arca di legno di Cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore.”
Il resto, al momento, non ci interessa.
Ciò che sappiamo sull’arca di Noè, si può riassumere in poche informazioni: é costruita in legno di Cipresso, è compartimentata, è impermeabilizzata per mezzo del bitume, ha un tetto e una porta. In merito alle dimensioni, in linea di massima possiamo considerare un cubito circa cinquanta centimetri, per cui siamo di fronte ad una nave di 150x25x15 metri! Un vero mostro per quei tempi!
In apertura ho parlato di altre tradizioni che ci riportano di un’arca, vediamone una, il racconto del diluvio della saga di Gilgamesh. Il testo ci dice che in quei giorni il mondo pullulava di persone e il loro rumore era tale che il grande Dio, venne destato e unitamente agli altri dei fu deciso di distruggere l’umanità. Ma Ea, altra dea, volle salvare l’umanità così avvisò Utnapistim, il Noè di Suruppak, città sulle rive dell’Eufrate. Ma sentiamo cosa si dice nel poema:
“Uomo di Suruppak, figlio di Ubara-Tutu, abbatti la tua casa e costruisci una nave, [..] Ecco le misure del battello, così come lo costruirai: che la sua larghezza sia pari alla sua lunghezza, che il suo ponte abbia un tetto come la volta che copre l’abisso; [..] Alla prima luce dell’alba la mia famiglia si riunì intorno a me, i bambini portarono pece e gli uomini tutto il necessario. Il quinto giorno misi in posa la chiglia e le coste, poi fissai il fasciame. Di un acro era la sua area di terreno, ogni lato del ponte misurava cento e venti cubiti e costituiva un quadrato. Sottocoperta costruii sei ponti, sette in tutto; li divisi in nove sezioni con paratie fra di loro. Dove era necessario infissi dei cunei, provvidi alle pertiche di spinta e caricai provviste. I portatori recarono olio in canestri, versai pece nella fornace e asfalto e olio; altro olio venne consumato per calafatare, altro ancora lo mise tra le sue provviste il nocchiero.[..] Al settimo giorno la nave era pronta. Venne poi il varo pieno di difficoltà, lo spostamento della zavorra di sopra e di sotto finché due terzi rimasero sommersi. [..] Guardai fuori e il tempo era terribile, così anche io salii a bordo della nave e chiusi i boccaporti. Era tutto finito, la chiusura e la calafatura, diedi dunque il timone al timoniere Puzur-Amurri, assieme alla navigazione e alla cura di tutta la nave.”
L’arca di Utnapistim, come possiamo vedere, è leggermente diversa da quella di Noè, forma quadrata, sette ponti in tutto divisi in nove sezioni tramite paratie. E così via. Interessante e particolare la parte relativa alle “pertiche di spinta”, i remi forse? Ancora più interessante la parte dei “portatori” che recarono l’olio in canestri, versato insieme a pece e asfalto “nella fornace”, per far che? Non per calafatare, quello lo dice subito dopo, e poi a cosa serve altro olio tra le provviste del nocchiero?
Al di là delle domande che io mi pongo e che sicuramente troverebbero una spiegazione logica se avessimo più elementi, resta il fatto che due testi antichissimi di due popoli diversi riportano il medesimo racconto…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 14 marzo 2008

Quale futuro?

Questa mattina, chiacchierando del più e del meno con alcuni amici sulla situazione dell’Italia, mi è stato detto: “bisogna essere ottimisti…”. Forse io sono troppo critico, rasento il pessimismo talvolta, ma di fronte al “bisogna essere ottimisti” ho risposto: “Fatemi un esempio, guardando al futuro, per cui dovrei essere ottimista…”
Ebbene, non ho avuto risposta… e probabilmente una risposta non c’è!
Ma, se non c’è la possibilità di essere ottimisti per il futuro, che futuro può esserci?
Allora, cerchiamo assieme di capire quali sono gli esempi che la società odierna trasmette ai giovani relativamente ai modelli di comportamento considerati vincenti, dunque meritevoli di essere presi ad esempio, e che quindi rappresentano il futuro…
Se mi guardo attorno vedo delle generazioni allevate nella bambagia e che si illudono che il mondo sia come la televisione. Quella fatta da una parte di attricette e personaggi ambigui che non fanno altro che litigare per innalzare l’audience, dall’altra, dalla corruzione, dalla violenza e dalla insicurezza dilagante… Unica costante: i soldi!
Ma, quali sono i messaggi che vengono recepiti?
In breve, possiamo dire che i furbi hanno sempre ragione e passano impuniti qualunque cosa facciano.
Bene, questo è un errore di una gravità assoluta e socialmente imperdonabile!
La civiltà umana non può basarsi su questi modelli comportamentali pena il collasso morale e, di conseguenza, quello economico. In una società basata su questi modelli le persone sono portate a non lavorare, “tanto non lavora nessuno!”, a non studiare, “tanto non lo fa nessuno!”, a non essere seri, “tanto non lo è nessuno…”.
A mio parere, e spero di sbagliarmi, una società siffatta è destinata al collasso!
Ma allora, che fare?
Poche regole semplici, se messe in atto, possono nel giro di qualche generazione cambiare le cose. In primo luogo è necessario ristabilire regole, principi e valori morali premianti e far si che il messaggio arrivi ai giovani. Per far ciò devono essere impiegati i mezzi e gli strumenti dei giovani, la TV, internet, la radio…
Come? Beh, questo è difficile da dire ma proviamo ancora a ragionare assieme. Prendiamo in considerazione la TV italiana, mezzo di diffusione di massa per eccellenza, e vediamo quale ruolo gioca nel campo educativo. Le reti principali sono sei, tre pubbliche e tre private. Che le reti private facciano ciò che è più conveniente è tutto sommato comprensibile; non altrettanto si può dire per le reti pubbliche. Queste ultime sono infatti finanziate dallo Stato (cioè da noi!) e non solo dalla pubblicità e alimentano un micro mondo (che tanto micro non è!) assolutamente improduttivo e dal punto di vista etico, sociale e morale, addirittura dannoso!
Tutti i giorni è possibile vedere programmi assolutamente stupidi e spesso volgari, cui prendono parte migliaia di giovani “cittadini italiani” che sperano di riuscire a ritagliarsi un poco di spazio che gli dia la possibilità di sbarcare il lunario senza fare assolutamente niente!
Ripeto, anche se non condivido tali modelli, tutto ciò è comprensibile per le reti private che devono sottostare ad una logica di mercato; molto meno condivisibile per le reti pubbliche che dovrebbero essere chiamate a rispondere a logiche differenti, dovrebbero rendere dei servizi al cittadino o, più in generale, alla società! Se cercate qualche trasmissione educativa, beh, cercatela a notte fonda, quando tutti dormono (con le dovute eccezioni che confermano la regola)! Durante il giorno, invece, si viene bombardati da immagini e modelli comportamentali antisociali!
E dunque, per chiudere, la domanda che mi pongo e vi pongo è quella posta in apertura: “Perché dovrei essere ottimista per il futuro? Cosa mi dovrebbe spingere ad essere ottimista per il futuro?
Mi spiace, sarò ancora una vota tacciato di essere troppo critico, ma il futuro che ci stiamo costruendo, e tutti ne siamo corresponsabili, non è, a mio parere, per niente roseo…

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO