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domenica 13 aprile 2014
Politica da bar
- Ciao Gino. Oggi pensavo alle prossime elezioni...
- Ciao Mario, cosa ti preoccupa?
- Pensavo che ancora non abbiamo discusso su chi votare...
- Hai ragione, dovremo cominciare a fare qualcosa. Alfano, Berlusconi, Renzi, Grillo, Alfano, Berlusconi, Renzi, Grillo, Alfano...
- Che fai, Gino?
- La conta...
- Ah, diavolo d'un Gino!
mercoledì 9 aprile 2014
Il mondo nuovo e ritorno al mondo nuovo, di Aldous Huxley
Senza dubbio devo alla copertina con l'immagine distorta da una sfera di cristallo l'interesse iniziale verso il libro di Huxley, ma subito dopo la curiosità, la lettura del testo ha preso il sopravvento...
Aldous Huxley nasce nel 1894 a Godalming, nel Surrey in Inghilterra e muore a Los Angeles nel 1963.
Il mondo nuovo e ritorno al mondo nuovo sono due dei suoi romanzi, due capolavori definiti fantascientifici. Il primo pubblicato nel 1932, il secondo nel '58, descrivono un mondo molto particolare. Chi ha letto Fareneit 451 e 1984 (di Bradbury e Orwell) può capire cosa intendo.
Huxley descrive un mondo in cui la società fa di tutto per favorire il suo sviluppo armonioso e a questo scopo vengono poste in essere tutte le possibilità offerte dalla scienza, dalla riproduzione assistita in provetta al condizionamento alla Pavlov, attraverso l'uso di una droga, il soma, per controllare la volonta degli esseri viventi (definirli uomini sarebbe troppo). Una società divisa rigidamente in caste in cui tutto è predeterminato e il libero arbitrio sembra non avere spazio. Le stesse parole "padre", "madre", "parto", sono considerate fuori legge o comunque amorali in un mondo in cui tutto è concesso a patto che non vi siano differenze tra gli individui della stessa casta. Tutti uguali significa sicurezza!
Ma come la saggezza popolare insegna, non tutte le ciambelle vengono col buco, perciò, di tanto in tanto il fato fa si che alcuni di questi esseri nati in provetta e condizionati per agire secondo determinati modelli, deviino dalla regola e...
Il resto è da leggere.
Un libro interessante e avvincente, talvolta non troppo lontano da una possibile agghiacciante realtà alternativa!
Buona lettura...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
domenica 6 aprile 2014
I custodi della storia - (Capitolo V) L'agenda
Era
un mercoledì sera, intorno alle diciotto, quando un corriere
espresso suonò al campanello del condominio in cui lavoravo.
Andai
ad aprire, il ritiro della posta faceva parte dei miei compiti. Avevo
la delega per il ritiro della corrispondenza di quasi tutti i
condomini.
-
C'è un pacco per Alessandro Ruvolo.
Mi
disse il corriere porgendomi la penna per la firma senza neanche
guardarmi in faccia.
-
Forse intende dire Rugolo. Sono io
Risposi
un po' stupito.
Non
avevo ordinato niente e non era periodo di feste per ricevere il
pacco regalo che i miei mi mandavano sempre per natale.
Firmai
e mi assicurai che il corriere uscendo chiudesse il cancello.
Si
trattava di un pacchetto confezionato artigianalmente con la vecchia
carta per pacchi e legato con spago di pessima qualità.
Nessun
mittente, solo un francobollo da due dollari con la scritta Guyana.
Un bel francobollo con ritratto un dipinto di Velazquez e un timbro
che non lasciava dubbi. Il pacco era stato spedito dalla città di
Cayenne, nella Guyana francese.
Non
conoscevo nessuno in quella parte del mondo. Chi poteva avermi
spedito un pacco?
Dalla
consistenza e dimensione doveva trattarsi di un libro. Lo scartai
velocemente e il mio stupore fu grande quando mi resi conto che tra
le mani stringevo l'agenda del mio ex professore di storia antica,
Claudio.
Come
era possibile? Lui era morto un mese prima nell'incidente aereo del
volo Orlando – Milano. Da dove saltava fuori l'agenda? L'unico che
avrebbe potuto spedirmela era proprio lui ma per quale motivo avrebbe
dovuto farlo?
Ero
curioso e le domande mi si affollavano nella testa.
-
Alessandro, è arrivata posta per me?
Trasalii.
La voce dell'avvocato mi colse totalmente di sorpresa e dovetti darlo
a vedere.
-
Scusa, non volevo spaventarti. Chiedevo se fosse arrivata della posta
per me, oggi. Sto aspettando un plico urgente da Roma. Se dovesse
arrivare puoi avvisarmi subito? Sono nel mio studio.
-
No, mi spiace. Niente posta per lei avvocato. Se dovesse arrivare
qualcosa entro le otto glielo porto io prima di andar via.
L'avvocato
Giorgetti mi salutò con un sorriso e imboccò la strada delle scale.
Nonostante il suo studio si trovasse al quarto piano e vi fosse
l'ascensore preferiva salire a piedi, diceva che faceva parte della
sua attività per allungare la vita.
Per
evitare ulteriori problemi posai l'agenda del professore nel mio
zaino e ripresi il mio lavoro al gabbiotto. A casa avrei avuto tutto
il tempo per cercare di capire come mai il professore mi avesse
mandato la sua agenda per posta e magari sarei riuscito a capire cosa
fosse andato a fare nella Guyana francese!
Stavo
per chiudere il gabbiotto della portineria quando suonò nuovamente
il campanello. Si trattava di un fattorino che mi consegnò il plico
per l'avvocato. Lo presi in consegna. Firmai e presi l'ascensore per
il quarto piano. Bussai alla porta dell'avvocato. Mi aprì lui
personalmente e mi invitò ad entrare. Rifiutai cercando di non
essere scortese, l'avvocato era sempre stato molto premuroso nei miei
confronti ma quella volta avevo fretta di tornare a casa.
Mi
chiese se era tutto a posto, offrendomi il suo aiuto, se necessario.
Mi chiese se ci fosse qualcosa che mi preoccupava, disse che sembravo
un po' strano, quasi assente.
-
Le chiedo scusa avvocato. In effetti oggi è successo qualcosa di
strano ma non sono preoccupato, solo stupito.
-
Vuoi raccontare anche a me cosa ti è successo? Mi chiese con
benevolenza. Sin dalla prima volta che mi aveva conosciuto, quando mi
ero presentato per avere il lavoro, era sempre stato con me quasi
come se fosse stato un mio anziano parente. Gli dissi che il giorno
dopo sarei passato da lui sul tardi, se non aveva impegni, e gli
avrei raccontato tutto. Adesso era un po' tardi e dovevo passare
all'università per ritirare un libro da alcuni amici. Era una scusa
banale, me ne rendevo conto, ma non avevo proprio voglia di parlare.
Forse il giorno dopo gli avrei raccontato qualcosa, o forse no. Avevo
uno strano presentimento e preferivo evitare dell'agenda del mio
professore.
Salutai
e andai via.
Rientrai
a casa in metropolitana. Da quando avevo lasciato la casa dello
studente, due anni prima, abitavo in periferia in una zona di Milano
ben servita dalla metro. Avevo trovato una mansarda piccola ma
accogliente in una palazzina di tre piani che si affacciava in un
piccolo parco. Anche per questo dovevo ringraziare l'avvocato. Mi
aveva consigliato lui di lasciare la casa dello studente, diceva che
era una cosa per ragazzini e io ero cresciuto ormai. Mi aveva fornito
un elenco con i nomi di alcuni amici che affittavano appartamenti. Mi
disse di andare a suo nome, mi avrebbero trattato bene.
In
effetti così era stato. La mansardina mi piacque subito.
L'arredamento era essenziale ma funzionale. C'era tutto quello che
poteva servirmi. L'ambiente era caldo e accogliente e io avevo
aggiunto all'arredamento quei segni distintivi della mia persona che
mi portavo appresso sin da piccolo, i miei libri, alcune foto della
famiglia e una vecchia maschera in legno tipica della cultura sarda,
un mamuthone.
Nella
stanza grande, con il letto in ferro da una piazza e mezza che
occupava la parete interna si trovava anche una bella libreria e un
piccolo scrittoio che usavo spesso per studiare e tra i due vi era un
camino, che a Milano non era certo la norma, in cui spesso accendevo
il fuoco. Un cucinino, il bagno e un ripostiglio a muro completavano
il mio piccolo mondo di trenta metri quadri. Per ora andava più che
bene. Il camino era stato decisivo. Non appena lo vidi presi la
decisione, senza neanche visitare altri appartamenti.
Quella
sera accesi il fuoco e mi preparai due salsicce alla brace per cena.
Le fiamme rosse della legna avevano su di me uno strano potere
rilassante. Aprii la finestra che dava sul parco, aveva smesso di
piovere da poco e l'odore dell'erba bagnata era molto forte.
Mi
sdraiai a letto e finalmente presi l'agenda dal mio zaino.
La
girai alcune volte tra le mani quasi volessi assicurarmi che fosse
reale poi slegai il cordoncino che la teneva chiusa. Era un'agenda
artigianale, con la copertina in pelle rossa lavorata a rilievo.
Vi era impresso il disegno di un uccello che assomigliava ad un
pavone o ad un qualche altro uccello esotico dalle piume lunghe e
vaporose, forse una leggendaria fenice. Aprii l'agenda e mi tuffai
nella lettura.
Nella
prima pagina vi era nome, cognome e numero di telefono del
proprietario, ora non avevo più dubbi, l'agenda era appartenuta al
mio ex professore.
Senza
un particolare motivo la aprii verso le ultime pagine e cercai
l'ultima pagina scritta. In alto a destra vi era la data del 15
marzo, quattro giorni prima dell'incidente aereo in cui era morto. Al
centro della pagina solo poche parole scritte velocemente.
“Alessandro,
se dovesse accadermi qualcosa leggi queste ultime pagine e capirai.
Decidi tu che fare. Ho fiducia in te. In bocca al lupo!”
Non
sapevo più cosa pensare. Quella notte non andai a dormire.
La
luce della camera restò accesa fino a tardi e mentre le fiamme del
camino spandevano le loro ombre soffuse sulle pareti io leggevo
quelle pagine piene zeppe di appunti, disegni e note.
Vai al Cap. VI: Dentro la piramide.
Vai al Cap. VI: Dentro la piramide.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
giovedì 3 aprile 2014
Gargantua e Pantagruele di Francois Rabelais
Francois Rabelais nasce in Francia, a Chinon, intorno al 1494, morì nel 1553.
Rabelais, intorno al 1520 diviene monaco. Conosce il greco e il latino e nel 1525, quando la Sorbona proibisce lo studio del greco per evitare che si possano leggere i testi sacri in greco e sollevare problemi, chiede di passare nell'ordine dei benedettini, dove avrebbe potuto continuare i suoi studi e le sue letture. In seguito studia medicina e esercita la professione di medico in diversi ospedali a Lione.
Nel 1542 pubblica "Gargantua e Pantagruele", il primo di cinque libri, l'ultimo dei quali esce postumo nel 1562.
I libri hanno successo ma sono condannati all'Indice dalla Sorbona che li giudica eretici.
I suoi libri non si possono certo considerare classici, nei testi infatti gli argomenti più trattati sono il seeso, le funzioni corporali, il cibo e il vino, conditi dalla inventiva dell'autore, in tutti i campi, ma anche dalla sua vastissima cultura.
Ma veniamo al testo e cominciamo da una avvertenza dell'autore.
Mai avvertenza fu tanto gradita dai suoi lettori e io la riporto integralmente:
"Lettori amici, voi che m'accostate,
Liberatevi d'ogni passione,
E leggendo, non vi scandalizzate,
Qui non si trova male ne infezione.
E' pur vero che poca perfezione
Apprenderete, se non sia per ridere:
Altra cosa non può il mio cuore esprimere
Vedendo il lutto che davoi promana:
Meglio è di risa che di pianti scrivere,
Chè rider soprattutto è cosa umana.
Ed in effetti la sua opera immensa e particolare, in tante occasioni, se non ridere, fa sorridere per i doppi sensi, ma non è per tutti e non sempre è facile comprendere tutto il testo se non si è dotati di un grosso bagaglio culturale di tipo classico e linguistico. Nel prologo l'autore chiarisce il punto con un paragone tra i Sileni e la sua opera. I Sileni erano dei piccoli contenitori usati nelle farmacie per custodire medicinali e spezie. Contenitori sui quali erano spesso raffigurate immabini buffe e fantastiche. I Sileni erano preziosi, dunque, per il loro contenuto nascosto, non per l'apparenza. Così secondo l'autore, a ben guardare, la sua opera è più preziosa di quanto può apparire ad una prima lettura. Rabelais nei suoi cinque libri fa sorridere ma allo stesso tempo insegna, a chi è in grado di capire, usando la difficile arte dei simboli.
Così, attraverso i suoi strani personaggi: Gargantua, Pantagruele suo figlio, Panurge e frà Giovanni, Rabelais esplora il mondo fantastico o reale che sia, muovendosi non solo nello spazio della fantasia ma anche nel tempo e delle lingue.
Ogni capitolo è intriso di conoscenze antiche e moderne (per i tempi), di inventiva e linguistica, di saggezza popolare e filosofia, di misteri delle religioni del mondo reale e di ridicoli personaggi o personaggi ridicolizzati dall'autore.
Un libro enorme e complesso che però, a mio parere, non può mancare nella biblioteca personale.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
martedì 1 aprile 2014
Goggius e muttettus a Gesico - (Canti popolari)
Tempo fa avevo cominciato a raccogliere canti della tradizione popolare del mio paese, Gesico.
Alcuni li potete leggere nel primo articolo sull'argomento: Gesico - Is Muttettus (Canti popolari della Sardegna).
Eccovene di seguito qualche altro, raccolto da mia madre Nanda proprio in questi giorni, grazie alla memoria sempre pronta di zia Nina.
Si tratta di alcuni muttetti che avevano come argomento le giovani del paese di Gesico descritte in modo talvolta ironico per metterne in risalto alcune caratteristiche.
Ma bando alle ciance, eccovi i primi muttetti, seguiti dalla loro traduzione, in attesa che zia Nina ne riporti altri alla memoria:
bella e curiosa, furba e spiritosa,
del ballo sardo è una regina,
ancora non è promessa sposa, ma poco ci vorrà.
Livia Bernardini,
Iolanda Schirru
Sebastiana Contu
Trad:
Sebastiana Contu
attende la primavera
e sembra un fiore di passiflora pronto a sbocciare
Alcuni li potete leggere nel primo articolo sull'argomento: Gesico - Is Muttettus (Canti popolari della Sardegna).
Eccovene di seguito qualche altro, raccolto da mia madre Nanda proprio in questi giorni, grazie alla memoria sempre pronta di zia Nina.
Si tratta di alcuni muttetti che avevano come argomento le giovani del paese di Gesico descritte in modo talvolta ironico per metterne in risalto alcune caratteristiche.
Ma bando alle ciance, eccovi i primi muttetti, seguiti dalla loro traduzione, in attesa che zia Nina ne riporti altri alla memoria:
Aventina Schirru,
bella e curiosa,furba e spiritosa,
de su ballu sardu esti una regina,ancora non esti sposa
e pagu ad'atturai.
Trad:
Aventina Schirru,bella e curiosa, furba e spiritosa,
del ballo sardo è una regina,
ancora non è promessa sposa, ma poco ci vorrà.
Livia Bernardini,
dipendidi de un ramu fini
e a cunvinci a chini d'ada acquistai.
Trad:
Livia Bernardini,
appartiene ad una famiglia nobile
ancora si deve presentare colui che la chiederà in sposa.
Iolanda Schirru
bogada un modellu,
unu frori bellu non d'ada mancai.
Trad:
Iolanda Schirru
indossa un modello,
un fiore bello non le mancherà.
un fiore bello non le mancherà.
Sebastiana Contu
aspettada sa primavera e
paridi una passionera pronta a sbocciai.
Trad:
Sebastiana Contu
attende la primavera
e sembra un fiore di passiflora pronto a sbocciare
Teresina beccia
Teresina beccia, innui sesi,
t'appu sciccau
ma su 'entu ti nd'adi pigau
e in s'arru t'appu agattau.
Trad:
Vecchia Teresina
Vecchia Teresina, dove sei,
ti ho cercata
ma il vento ti ha portato via,
e nei rovi ti ho ritrovata.
Così vi lascio, in attesa che zia Nina ricordi qualche altro brano della vita passata del mio paese, Gesico.
Grazie mamma, grazie zia Nina, per questi ricordi.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO e Fernanda DEMURO
lunedì 31 marzo 2014
I custodi della storia (Cap. IV) - Terra!
Era stata una giornata pesante.
Dopo lo sbarco era immediatamente iniziato un lavoro febbrile tra la nave e il campo a terra. Tutti si muovevano su e giù dalla nave scaricando barili, attrezzatura e materiale da costruzione, cordame, vele, reti da pesca, strumenti di misura e da disegno.
I carpentieri si misero subito all'opera per ispezionare la nave e riparare i danni della lunga navigazione. Altri iniziarono a riparare le vele e controllare il cordame del vascello.
Ma il grosso del lavoro era a terra.
Era necessario preparare un campo prima di dare inizio alla esplorazione della nuova terra, bisognava raccogliere tutte le informazioni possibili sulle caratteristiche del territorio, sulle risorse disponibili e sulla presenza di indigeni.
Il campo era situato ad alcune centinaia di metri dalla linea di costa in cui eravamo sbarcati. Il luogo era ben protetto dai venti e si trovava a circa dieci metri sul livello del mare, al sicuro dall'alta marea e allo stesso tempo sufficientemente lontano dalla foresta che si estendeva a perdita d'occhio lungo tutta la costa.
La prima notte qualcuno aveva notato dei fuochi sulla cima della collina, a qualche miglio di distanza dal campo e la voce si era diffusa velocemente tra gli uomini, forse non era niente ma era meglio assicurarsene. Occorreva verificare che sull'isola non si trovassero indigeni ostili prima di potersi dedicare alla raccolta delle provviste che avrebbero consentito di proseguire l'esplorazione della nuova terra.
Inoltre occorreva risolvere immediatamente il problema dell'acqua, le riserve custodite a bordo erano quasi finite. Era necessario trovare una sorgente al più presto.
Il Capitano Vivaldi organizzò accuratamente l'esplorazione dell'isola dividendo il personale in tre gruppi.
Il primo e più numeroso sarebbe restato al campo base con l'incarico di costruire una palizzata difensiva contro la visita di animali o di ospiti non desiderati e di provvedere alla ricerca dell'acqua e alla raccolta di provviste.
Il materiale da costruzione non mancava di certo e i carpentieri erano degli esperti nel tagliare e lavorare il legno. Nel giro di mezza giornata con l'aiuto di una squadra di mozzi avevano tagliato gli alberi necessari a costruire il recinto e le capanne per gli uomini. La sera il recinto era quasi terminato e un riparo provvisorio fu innalzato per la notte. A poca distanza dal campo fu trovato un ruscello dall'acqua era fresca e pulita.
Gli altri due gruppi esplorarono la costa fino ad una distanza di tre ore dal campo e rientrarono al campo prima prima che tramontasse il sole senza aver trovato tracce di vita umana. In compenso avevano catturato diversi esemplari di una razza tipica di maiali del luogo. Dopo mesi di navigazione un po' di carne avrebbe fatto bene al loro fisico debilitato.
Le esplorazioni sarebbero proseguite nei giorni seguenti ma non diedero alcun risultato di rilievo. Nessuna traccia di villaggi indigeni o della presenza dell'uomo.
Il terzo giorno una squadra raggiunse la collina sulla quale la sera dell'arrivo erano state viste delle luci ma questa volta le cose erano diverse.
Di fronte alla squadra di esploratori si ergeva una antica costruzione in pietra. Segno indiscutibile della presenza umana.
Era una specie di piramide in pietra abbandonata da secoli.
Frate Nicola in quei primi giorni si era dedicato a prendere appunti e a disegnare mappe. Aveva tenuto traccia nel suo diario degli avvenimenti principali durante la navigazione e della posizione delle stelle per cercare di calcolare la rotta tenuta e la distanza percorsa. Le sue osservazioni sarebbero state utili al suo rientro ed erano quanto di più prezioso possedesse. Quando la squadra tornò con la notizia del ritrovamento di una strana costruzione a forma di piramide fra' Nicola decise che il giorno dopo sarebbe andato anche lui sul posto per raccogliere informazioni. Forse i suoi studi questa volta potevano risultare utili. Durante gli ultimi anni aveva passato molto tempo a lavorare per arricchire la biblioteca dell'Ordine e sempre sotto la guida di Giovanni aveva letto molti libri di storia. Classici latini e greci.
La mattina dopo il drappello partì dal campo di buon ora. Frà Nicola seguiva il nostromo che aveva il compito di guidare la spedizione. Durante il viaggio che durò appena quattro ore e non presentò alcuna difficoltà si fermò diverse volte ad osservare la flora e la fauna e a prendere appunti. Vi erano piante simili a quelle europee ma quasi sempre erano di dimensioni differenti, molto più grandi e rigogliose. Fratello Giovanni sarebbe stato molto utile in quel momento. Lui aveva avuto una grande conoscenza dei frutti della terra. Raccolse alcune piante che potevano essere utili per le loro capacità curative e altre che invece destavano il suo interesse per le forme particolari e i colori sgargianti. Arrivati alla piramide il nostromo Vadino Doria diede disposizioni per preparare un campo temporaneo. Avrebbero passato alcune notti nei pressi della piramide per esplorare la zona con calma ma occorreva come al solito premunirsi dagli animali e da eventuali visite inaspettate. Il lavoro iniziò subito e tutti si diedero da fare. Fu approntato un rifugio temporaneo utilizzando i resti in pietra di quella che sembrava una capanna abbandonata da tempo e che avrebbe dato riparo ai dieci uomini del gruppo. Acceso il fuoco, i marinai si sedettero a mangiare del pesce salato e dei tuberi allungati che crescevano in parte sotto terra e che dopo cotti avevano un buon sapore anche se un po dolciastro. C'era acqua in abbondanza e se non fosse stato per la distanza dal mare che avrebbe impedito di sorvegliare la nave, sarebbe stato un ottimo posto per il campo permanente. Nel frattempo frate Nicola e Vadino e due mozzi armati di grossi coltelli cominciarono ad esplorare i dintorni della piramide. Era una struttura antica, abbandonata forse da secoli. In mezzo alle grosse pietre erano cresciute delle piante alte anche venti metri e che, a giudicare dalla dimensione del tronco dovevano avere almeno cento anni. La piramide era costruita a scaloni. Il primo era alto almeno due metri e le rocce utilizzate erano enormi. I quattro uomini si arrampicarono sul primo livello e fecero tutto il giro della piramide a forma perfettamente quadrata. Ogni lato doveva essere lungo circa cento metri. La piramide presentava una grossa apertura solo su un lato che dava verso est. Purtroppo l'ingresso era crollato da tempo ed era impossibile rimuovere le rocce che ne ostruivano il passaggio. Nel mezzo di ogni lato si trovavano delle scalinate che da terra portavano fino alla cima. Dal basso non le avevano notate a causa della vegetazione ma ora era facile individuarle. Decisero di salire in cima alla piramide per vedere se era possibile accedere alla struttura. La piramide era alta circa cinquanta metri ed era composta da diversi livelli, sembravano cinque grosse piattaforme impilate l'una sull'altra e in cima, al centro dell'ultima piattaforma, vi era una grossa roccia piatta scolpita, una specie di altare, pensò subito frate Nicola. Purtroppo da lassù non era possibile entrare all'interno della costruzione. Avrebbero dovuto esplorare tutte le pareti con calma per cercare un qualche accesso secondario.
Il tramonto si avvicinava quando uno dei mozzi lanciò un urlo per richiamare l'attenzione del nostromo. Aveva trovato qualcosa. Una specie di stretto cunicolo si apriva a metà della parete ovest e sembrava penetrare all'interno della piramide per alcuni metri prima che il buio impedisse di vedere oltre.
- Solo un ragazzo o un uomo molto magro potrebbe pensare di entrare ad aesplorare quel cunicolo e di riuscire a uscirne vivo. Disse il nostromo rivolgendosi a frate Nicola sconsolato.
- Pensavo che forse uno dei giovani carpentieri forse potrebbe farcela. Mi sembra si chiami Andrea, ma è restato al campo base. Potremmo mandarlo a chiamare e se tutto va bene domani in tarda mattinata potremmo averlo qui da noi. Cosa ne pensate Vadino? Rispose frate Nicola, senza troppa convinzione.
- Vale la pena di provare. Chiamati due dei suoi uomini gli diede disposizioni affinchè rientrassero al campo e riferissero al Capitano le scoperte e le loro esigenze. Sarebbero dovuti tornare la mattina dopo con il carpentiere che si chiamava Andrea.
I due uomini partirono subito. Andando di buon passo con un po' di fortuna sarebbero arrivati al tramonto.
Non sarebbe stato semplice entrare nella piramide e la luce cominciava a calare. Avrebbero ripreso l'esplorazione il giorno dopo con calma, sperando di trovare qualche altro passaggio più praticabile. Intanto gli altri uomini avevano terminato di appontare il riparo e avevano preso alcuni esemplari di grossi animali che assomigliavano a grossi conigli selvatici e che avrebbero fatto da cena per quella sera.
Mangiarono con gusto e poi andarono tutti a dormire. Dell'erba gettata in terra avrebbe fatto da giaciglio e una vecchia coperta di lana li avrebbe protetti dal freddo della notte. Il fuoco ardeva al centro della capanna e alcuni rami freschi sarebbero serviti a chiudere l'ingresso di quell'improvvisato rifugio. La stanchezza era tanta e tutti si addormentarono pesantemente.
Frate Nicola e il nostromo si sedettero vicino al fuoco e passarono una mezz'ora a chiacchierare del loro viaggio. Vadino Doria era poco più grande di frate Nicola. Doveva avere trentacinque o trentasei anni. Apparteneva ad una importante e famosa famiglia genovese che vantava molti avi nella marina e nel commercio. Da piccolo aveva sempre avuto come esempio da seguire uno zio materno che era un Capitano della marina genovese. Sin da piccolo aveva viaggiato con lo zio attraversando il mediterraneo in lungo e in largo. Nonostante la sua giovane età conosceva i venti e le stelle meglio della propria città e se qualcuno poteva guidarli attraverso l'oceano quello era proprio lui. E così era stato! Ora dava dimostrazione di essere anche un buon comandante, tranquillo ma deciso e autorevole, gli uomini lo rispettavano anche più del Capitano. Il Capitano era temuto, Vadino invece era amato e rispettato. Si erano appena sdraiati ai piedi del fuoco quando sentirono un fruscio subito fuori dall'accampamento li fece alzare di colpo. Vadino afferrò la sua sciabola e frate Nicola raccolse un grosso bastone da terra. Era meglio controllare che non si trattasse di qualche animale pericoloso. Svegliarono gli uomini dell'accampamento e armati di torce uscirono a controllare. Mentre rimuovevano i rami che chiudevano l'ingresso un ruggito li mise in allarme. Doveva essere un leone o un animale simile. Il buio non permetteva di vedere che a pochi passi e non era il caso di allontanarsi dal campo. Accesero altri fuochi nei dintorni e tornarono dentro l'accampamento, rinforzando il tetto e l'ingresso con alcuni tronchi raccolti la davanti.
- Sarà meglio se qualcuno resta di guardia questa notte– disse Vadino rivolgendosi ai suoi uomini – turni da due ore. Il primo turno è il tuo Giovanni. Disse Vadino ad uno dei suoi che sembrava più riposato.
- Io gli faccio compagnia – disse frate Nicola –tanto non ho più sonno.
Stabiliti i turni di guardia gli altri tornarono a dormire. La notte era ancora lunga e il giorno dopo avrebbero dovuto proseguire la loro esplorazione e dovevano riposare, per quanto possibile.
La notte proseguì senza altri problemi. Il grosso animale si era fatto sentire qualche altra volta ma sempre più in lontananza. Evidentemente il fuoco ed i rumori lo avevano spaventato. Il resto della notte passò tranquilla e gli uomini poterono finalmente riposare.
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Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
domenica 23 marzo 2014
I custodi della storia (Cap. III) - Un'occasione mancata
In
quei primi anni di studio mi ero appassionato sempre più alla storia
antica. Avevo seguito il corso che più mi si attagliava,
l'archeologia e la storia degli antichi popoli mediorientali era il
nucleo centrale del mio corso di studi ma mi ero interessato anche
delle culture primitive centroamericane senza perdere occasione di
approfondire la storia della mia isola nei ritagli di tempo
sfruttando le enormi risorse della biblioteca.
La
biblioteca era quasi la mia seconda casa, almeno per numero di ore
passate al suo interno. Era enorme, custodiva decine di migliaia di
libri la cui consultazione era abbastanza semplice per gli studenti.
Divenni quasi subito buon amico dei bibliotecari e spesso mi lasciavo
guidare da loro nella scelta dei libri su cui approfondire i miei
studi.
Uno
di loro si chiamava Andrea, aveva una decina d'anni più di me e
lavorava li da quando si era laureato. Alto, biondo, colorito
pallido, sembrava provenire dal nord Europa, invece era siciliano, di
un paese in provincia di Enna che si chiama Nicosia. Era nato per
fare il bibliotecario, diceva sempre, e lo faceva con passione. Fu
proprio Andrea ad introdurmi nel mondo della biblioteca. Mi spiegò i
vari metodi di classificazione dei libri, come trovare velocemente
ciò che mi serviva consultando gli indici per titolo ed autore, mi
illustrò la disposizione dei libri sugli scaffali. Tutte cose di
comune utilità per un bibliotecario, ma non solo. Andrea era
innamorato dei libri, erano tutta la sua vita, sin da bambino per cui
mi raccontava la storia dei libri a stampa o i metodi di rilegazione
come ai bimbi si raccontano le fiabe. Le sue conoscenze erano
veramente enormi e quando si aveva bisogno di sapere qualcosa su una
particolare edizione di un certo libro bastava chiedere a lui e
raramente la richiesta non veniva soddisfatta! Fu lui che mi suggerì
di studiare i testi antichi possibilmente nella lingua in cui erano
stati scritti in origine. Diceva infatti che ogni traduzione
mascherava il testo originale non solo con una lingua diversa ma
anche con la cultura di chi lo traduceva e del periodo in cui ciò
veniva fatto.
Così,
per migliorare le mie conoscenze linguistiche frequentai dei corsi
paralleli di lingua greca antica e di ebraico senza trascurare le
lingue moderne, inglese e francese, che mi sarebbero state utili per
seguire i colleghi studiosi degli altri paesi.
Mi
laureai con una tesi sulla storia antica dei Caldei e mi iscrissi
immediatamente al Dottorato di ricerca. Il mio professore, Claudio,
divenne il mio mentore e quasi il fratello maggiore che non avevo mai
avuto.
Claudio
era basso di statura, leggermente sovrappeso e con i capelli grigi.
Indossava sempre un paio di occhiali a fondo di bottiglia che lo
facevano assomigliare ad un vecchio topo di biblioteca. Sotto il
braccio destro portava sempre un vecchio tomo dalla copertina rossa,
solo più tardi scoprii trattarsi della sua agenda personale di cui
era estremamente geloso e su cui prendeva appunti sulle novità e
scoperte della storia che più lo incuriosivano. La sua vita sociale
era inesistente, a meno che non si voglia considerare tale la sua
frequentazione della biblioteca dell'istituto. Non era sposato e
raramente si allontanava per andare a trovare l'anziano padre che
viveva solo a Pavia. Passammo assieme un fine settimana a Pavia,
durante il quale approfittai per visitare la Certosa.
Claudio
era un grande studioso, intelligente, paziente, con l'animo del
ricercatore e una enorme passione per l'insegnamento, cosa non comune
neanche tra gli insegnanti migliori. Anche da professore infatti non
si tirava mai indietro e conduceva le sue ricerche in prima persona
facendosi sempre promotore di nuove iniziative culturali. Era
difficile non innamorarsi della storia antica con un professore come
lui e infatti il suo corso era sempre il più seguito.
Solitamente
il sabato pomeriggio ci si incontrava nella biblioteca e scelto un
volume antico tra le migliaia di titoli disponibili, i partecipanti
si alternavano nella sua lettura ad alta voce e poi si discuteva
ciò che si era letto. Poteva sembrare una attività da scuola
superiore ma così non era, in questo modo noi studenti
approfondivamo la
conoscenza delle lingue antiche e degli autori classici e
allo stesso tempo imparavamo a conoscerci meglio.
La
vita da dottorando proseguiva tranquilla tra studi, lezioni e lavoro
da portinaio. Non mi potevo certo lamentare anche se quando avevo
lasciato la mia terra aspiravo a qualcosa di più.
Poi,
un giorno, Claudio mi chiamò per telefono annunciandomi di aver
fatto una scoperta che avrebbe cambiato non solo la sua vita ma –
disse – il mondo intero. Disse che avrebbe avuto bisogno di
qualcuno che gli desse una mano perché ci sarebbe stato molto lavoro
da fare e voleva che quello fossi io, mi chiese di diventare suo
assistente. Io non riuscivo a crederci, ma accettai immediatamente.
-
Certo Claudio, sai che puoi contare su di me. Ma cosa dovrò fare? Di
cosa mi dovrò occupare?
-
Alessandro, ne parliamo al mio rientro a Milano. Ora ho fretta e non
posso stare al telefono. Puoi venire a prendermi all'aeroporto?
-
Certamente, a domani sera Professore. Mi capitava spesso di chiamarlo
ancora professore nonostante ci conoscessimo da diversi anni e
fossimo ora buoni amici.
Mi
avrebbe raccontato tutto al suo rientro a Milano, sarei dovuto andare
a prenderlo il giorno dopo, a Malpensa alle 22.00, scalo
internazionale.
Claudio
negli ultimi due anni si era assentato diverse volte per lavoro,
stava svolgendo alcune ricerche nel sud America ma non mi aveva mai
parlato di questi suoi studi. Quando facevo qualche domanda
rispondeva sempre evasivamente e dopo un po' avevo pensato che fosse
meglio non fare domande sull'argomento. Ma ora cambiava tutto. Se
aveva bisogno di un assistente avrebbe dovuto spiegarmi di cosa si
stava occupando e del perché di tanta segretezza.
Passai
la serata in compagnia di alcuni amici nel pub irlandese che si
trovava vicino a casa cercando di non pensare troppo al futuro.
Diventare assistente di Claudio mi inorgogliva ma allo stesso tempo
significava che avrei dovuto lasciare il mio lavoro da portiere. La
cosa mi dispiaceva in fondo. Il lavoro non era pesante, mi piaceva e
mi piacevano soprattutto i condomini. Col tempo avevo imparato a
conoscerli bene. Oltre l'avvocato vi erano altre undici famiglie che
mi avevano quasi adottato. Mi sentivo un po' in colpa, ma non potevo
rinunciare all'opportunità di diventare assistente di Claudio.
Magari avrei potuto cercare un ragazzo del primo anno che avesse
bisogno di lavorare e presentarlo all'avvocato. Poi sarebbe stato lui
a decidere.
Quella
notte andai a letto tardi, non riuscivo a prendere sonno e così
passai alcune ore leggendo un libro.
Il
giorno dopo come al solito andai all'università. Il tempo sembrava
non passare mai.
Quella
sera come al solito pioveva.
Si
trattava di una pioggerellina sottile e fastidiosa e il vento
pungente proveniente dalle Alpi si sentiva nelle ossa, la nebbia
fitta inoltre rendeva le strade della periferia milanese molto
pericolose.
Decisi
di uscire di casa con largo anticipo e arrivai all'aeroporto mezz'ora
prima del previsto atterraggio. Fortunatamente trovai parcheggio
proprio di fronte agli arrivi internazionali così evitai di bagnarmi
troppo. Trovai un posto libero nella grande sala antistante gli
arrivi e nell'attesa lessi qualche pagina della biografia di Isaac
Newton. Un bel libro, ma la mente non faceva altro che pensare alle
parole del professore e poi il freddo della sera non mi lasciava un
attimo.
Lasciai
perdere la lettura e cominciai a guardarmi attorno alla ricerca di un
bar. Mi alzai e decisi di attendere l'arrivo del volo gustando una
tazza di cioccolata calda e cercando di trovare le risposte alle
tante domande che mi passavano per la mente.
Ero
curioso di sapere a cosa andavo incontro. Per telefono il professore
era stato evasivo, ma dalla sua voce intuivo che doveva trattarsi di
qualcosa di straordinario. Non l'avevo mai sentito così entusiasta
come la sera prima, al telefono.
Avevamo
parlato tante volte di misteri della storia che affascinavano
entrambi che vi era solo l'imbarazzo della scelta. Ancora pochi
minuti e avrei saputo di che si trattava.
Un
allarme fastidioso mi richiamò alla realtà.
Non
vi era stato alcun annuncio ancora ma diversi passeggeri si erano
diretti verso le vetrate che davano su una delle piste e parevano
visibilmente agitati. Mi resi conto che sotto il brusio generale si
sentivano in lontananza le sirene dei vigili del fuoco. Doveva essere
accaduto qualcosa.
Qualche
istante dopo una folla di gente si affacciava alle vetrate che davano
sulla pista. Un bagliore rosso fuoco la illuminava a giorno e le
esplosioni si succedevano spaventose.
Un
747 in fase di atterraggio con i suoi centosettanta passeggeri era
andato a impattare sulla pista esplodendo all'istante. Nessun
sopravvissuto!
Il
mio Professore, l'amico Claudio, avrebbe portato il suo segreto con
se, nella tomba, per sempre.
Vai al Cap. IV: Terra!
Vai al Cap. IV: Terra!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
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