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domenica 27 aprile 2014

Favole della tradizione popolare in Sardegna e i fratelli Grimm

Nel 2008 ho sentito per la prima volta la storia de "is tres fradis longus" (i tre fratelli lunghi, o alti) e ricordo bene che mi stupì il fatto che si trattava di una storia complicata, dove solo alcune parti erano istruttive (secondo il mio punto di vista di uomo del duemila! Diverso doveva essere per le persone per cui era stata inventata...).
Qualche giorno fa mi sono imbattuto in una favola dei fratelli Grimm, una di quelle poco conosciute, nella quale ho subito notato le analogie con quella de "is tres fradis longus". La favola dei Grimm, per chi volesse leggerla" è intitolata "Federico e Caterinella" ed è una delle favole della tradizione popolare tedesca raccolta dai due fratelli linguisti.

La favola raccolta da me è la seguente

C'era un tempo una famiglia di contadini,
come tutti gli anni subito dopo il raccolto, la prima cosa che facevano i contadini per evitare di morire di fame, era conservare una parte del raccolto da usare nel periodo in cui la terra non produceva. Si trattava dei tre mesi di maggio, giugno e luglio, chiamati “is tres fradis longus”.
In quel tempo la moglie del contadino era ammalata per cui, mentre il marito andava a lavorare i campi, lei restava a casa.
Il contadino, separate le provviste, disse alla moglie (che non era una cima!) di non toccare il grano che aveva messo da parte perchè era destinato a “is tres fradis longus”.
Una mattina mentre il contadino si trovava in campagna a lavorare la terra, tre persone arrivarono alla fattoria e chiesero se c'era del grano da comprare.
Quando si presentarono, la moglie del contadino vedendo che erano tre uomini alti, molto al di sopra del normale, chiese loro se essi fossero i tres fradis longus di cui le aveva parlato il marito.
Loro annuirono e così la moglie del contadino gli diede il grano, senza chiedere alcuna ricompensa, convinta si trattasse delle persone di cui parlava il marito.
I tre uomini presero il grano e dopo aver ringraziato, andarono via. Al rientro del marito, la moglie lo accolse dicendogli di avere una bella sorpresa per lui.
Il marito chiese cosa era accaduto, e sentito il racconto della moglie, disperato e arrabbiato spiegò, anche se in ritardo, che is tres fradis longus erano i tre mesi di maggio, giugno e luglio, che precedevano il raccolto e in quei tre mesi, se non si faceva come le formiche che mettono da parte quanto occorre, si moriva di fame.
Il marito, pensando di poter rimediare ai guai provocati dalla moglie, chiese da quanto tempo is tres fradis fossero andati via e lei rispose che era passata appena mezz'ora.
Il marito disse alla moglie di chiudere la porta di casa e di seguirlo di corsa che forse sarebbero riusciti a raggiungere i tre.
La moglie però capì male e, presa la porta sulle spalle, lo seguì di corsa.
Nel mentre il contadino, corso avanti, non vedendo ne sentendo più la moglie si girò ad aspettarla e la rimproverò dicendole di correre di più ma lei che aveva sempre la porta sulle spalle, disse di non riuscire a stargli dietro a causa del peso.
Il marito resosi conto che la moglie aveva la porta sulle spalle, disperato, le disse che non aveva capito niente, doveva chiudere la porta e non portarsela appresso!
Si voltò e proseguì la corsa da solo.
Ad un certo punto cominciò a farsi sera così, non avendo ancora raggiunto is fradis longus ed essendo troppo lontani da casa, il marito arrampicatosi su un albero mise la porta tra i rami e prepararò un giaciglio per la notte, al riparo dagli animali del bosco.
Durante la notte, si sentirono delle voci, i tre ladri si erano fermati, infatti, sotto l'albero per dividere il bottino delle loro malefatte.
I due contadini spaventati stettero in silenzio.
Mentre i briganti facevano i conti, la moglie da troppo tempo senza andare in bagno e forse anche per la paura disse al marito di aver bisogno di fare la pipì.
Il marito infastidito le rispose che se proprio non riusciva a trattenerla, che la facesse goccia a goccia cosicchè i ladri non si allarmassero!
E così fù... I ladri di sotto, sentendo gocciolare, pensarono si trattasse di rugiada.
Poi la moglie disse al marito che aveva bisogno di fare anche la cacca.
Il marito, sempre più disperato le disse che, se proprio non riusciva a trattenerla, la facesse almeno a pezzetti piccoli.
Uno dei ladri, sentendosi colpito, si lamentò ma l'altro gli disse che, trovandosi sotto un albero, si trattava certamente di “arrosu de notti e merda 'e pizzoni” cioè di rugiada e cacca di uccello.
Il contadino, in quel momento, pensando alle difficoltà cui sarebbe andato incontro a causa della stupidità della moglie decise di provare a riprendersi il grano e i soldi che avevano i ladri. Quindi, fatta spostare la moglie su un ramo, prese la porta e la lanciò sui banditi.
Il bandito che aveva i soldi rimase intrappolato e gli altri due scapparono spaventati per la sorpresa.
Allora il contadino, buttatosi sul bandito, gli tagliò la lingua per evitare che potesse dare l'allarme e quindi gli portò via i soldi.
Gli altri due banditi che si erano allontanati di corsa, resisi conto della assenza del complice cominciarono a chiamarlo ma lui, con la lingua tagliata, riusciva a fare solo dei versi che, di notte, spaventarono ancora di più i due banditi che scapparono senza più pensare al bottino. Il contadino e la moglie, così, senza più il grano dei fradis longus ma con i soldi presi ai banditi tornarono a casa felici di aver risolto il loro problema.

La favola dei Grimm è molto simile.
Vi è una coppia di contadini, Federico e Caterinella, appena sposati, che vivono in campagna. Federico va tutti i giorni a lavorare i campi e un giorno chiede alla moglie di fargli trovare per il suo ritorno delle salsicce cotte e della birra fresca. La moglie pasticciona mette a cuocere le salsicce e poi si allontana dal fuoco per andare a spillare la birra in cantina. A metà del lavoro le viene in mente che qualche cane potrebbe rubarle la salsiccia così abbandona la birra e torna in cucina giusto in tempo per vedere un cane scappare con la salsiccia in bocca. Lo insegue ma senza successo. Quando torna a casa si rende conto che la birra ha traboccato. La botte è vuota e la cantina sporca.
Caterinella decide di ripulire la cantina e per farlo usa la farina messa da parte dal marito.
Quando il marito torna a casa per pranzo Caterinella gli racconta tutto ciò che ha combinato. Il marito la rimprovera ma il danno è fatto. Il contadino aveva messo da parte delle monete d'oro e per paura che la moglie facesse altri danni le disse che avrebbe messo da parte delle cicerchie gialle per il futuro. Così mise le cicerchie nella stalla sotto la mangiatoia e disse alla moglie di tenersi alla larga altrimenti se ne sarebbe pentita. Un giorno giunsero a casa di Caterinella dei mercanti di pentole che chiesero se volesse acquistare qualcosa. Caterinella non aveva soldi per cui disse che al massimo poteva pagare con delle cicerchie gialle che si trovavano nella stalla ma avrebbero dovuto far da soli perchè lei non poteva avvicinarsi alle cicerchie per ordine del marito. I mercanti andarono nella stalla, rubarono le monete d'oro e scapparono lasciando le loro pentole alla povera Caterinella. Caterinella aveva già tante pentole a casa per cui decise di usare quelle nuove che aveva acquistato per ornare il giardino.
Quando il marito tornò a casa vide le pentole intorno al giardino e chiese alla moglie che cosa fosse quella novità. Caterinella raccontò dell'acquisto fatto grazie alle cicerchie gialle.
Il marito disperato spiegò alla moglie cosa avesse combinato. Ma ormai il danno era fatto.
Decise di inseguire i mercanti e dopo una prima disavventura in cui la moglie spalma di burro delle rotaie e perde le forme di formaggio per strada, Federico dice alla moglie di andare a casa a prendere qualcosa da mangiare e di assicurarsi che la porta di casa sia ben chiusa e poi di seguirlo con delle provviste. lui l'avrebbe preceduta cercando di raggiungere i ladri. La moglie pensò bene di chiudere la parte superiore della porta e di portarsi appresso la parte inferiore, in questo modo il marito sarebbe stato tranquillo che nessuno avrebbe potuto rubare la porta, pensò lei.
Caterinella raggiunse il marito con delle pere secche e dell'aceto per le pere e con la porta sulle spalle.
Quando il marito la vide le chiese per quale motivo avesse la porta sulle spalle. Lei gli rispose che in questo modo lui stesso avrebbe potuto controllare la porta.
Giunti nel bosco salirono su un albero per passare la notte. Proprio in quel mentre sotto di loro arrivarono i ladri che si fermarono sotto il loro albero. Caterinella continuava a reggere la porta, l'aceto e le pere secche e non ce la faceva più per cui lasciò cadere le pere col rischio che i ladri li scoprissero. Ma i ladri pensarono che si trattasse dello sterco di qualche uccello che stava sull'albero. Poi Caterinella non riuscendo a reggere l'aceto lo versò di sotto e i ladri pensarono si trattasse di rugiada. Alla fine, esausa, Caterinella fece cadere la porta. I ladri si spaventarono e scapparono lasciando i soldi per terra.
Federico e Caterinella scesero dall'albero e trovati i soldi se ne tornarono a casa.
La storia della stupidità di Caterinella naturalmente prosegue ancora un pò ma penso che ci si posssa fermare quà.

Credo che le due favole lette assieme possano completarsi e spiegarsi a vicenda. Probabilmente si tratta di due diverse versioni della stessa favola di base in cui alcuni elementi sono stati mantenuti, altri variati per non offendere la sensibilità del pubblico.
Nella favola dei Grimm, la caduta delle pere e dell'aceto ha sostituito i bisogni della povera Caterinella. Grazie alla favola dei Grimm è possibile inoltre spiegare il perchè la contadina si sia portata appresso la porta, cosa che dalla favola della Sardegna non era possibile capire.

Le favole sono istruttive e la morale credo hce sia questa: "Occorre sempre stare in guardia perchè i pericoli maggiori sono spesso all'interno della nostra stessa famiglia e la stupidità è forse la cosa da temere di più."
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 26 aprile 2014

Roma: Palazzo Massimo

Il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, oltre ad ospitare mostre itineranti (attualmente la mostra sui mostri della mitologia) contiente delle opere d'arte di elevatissimo livello e una bellissima collezione di monete di tutti i tempi attraverso cui è possibile ripercorrere la storia del nostro paese.


Il pugile


Le statue, di periodo classico, sono delle vere e proprie opere d'arte.  Bronzo, marmo o pietra fa poca differenza per chi osserva, si tratta in ogni caso di opere di altissimo valore artistico.





Spostandosi da una sala all'altra è possibile osservare lungo i corridoi i busti e le teste di personaggi famosi del periodo imperiale e repubblicano, interessantisssimi i particolari delle acconciature.

 







L'ermafrodito



Il discobolo




 
Il sarcofago di portonaccio
 

Ecco solo alcune foto delle opere che mi sono piaciute maggiormente.
Il palazzo si trova subito fuori dalla stazione Termini e vale proprio la pena visitarlo.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 25 aprile 2014

I custodi della storia (VIII capitolo) - Dimitri

Dimitri, smettila di leggere quel libro e vieni a letto!

Le parole di lei non ammettevano replica. Lei lo amava, ma quando usava quel tono non era il caso di contraddirla!

Aveva imparato a conoscerla col tempo. Sapeva fino a dove poteva spingersi e quando invece doveva assecondarla senza discutere. Era tanto ormai che non la sentiva più usare quel tono fermo, eppure quella sera era diverso... dopo anni di ricerche finalmente aveva trovato qualcosa che lo spingeva a replicare.

-Un attimo, cara. Forse ho trovato qualcosa...

Zinaida scese dal letto, indossò una pesante vestaglia da notte e si avvicinò silenziosa alle spalle del marito.

Lui, chino sullo scrittoio intento ad osservare delle vecchie carte geografiche che aveva avuto in prestito da un amico non la sentì arrivare.

Lei gli poggiò le mani sulle spalle con delicatezza e si sporse sopra di lui per capire cosa ci fosse di tanto importante in quelle vecchie carte da spingere il marito a rifiutare un suo invito.

La sua figura snella e slanciata divenne un tutt'uno con quella china del marito. I capelli lunghi e biondi si posarono sulle spalle di Dimitri che quasi non si mosse. Osservava con attenzione spasmodica con l'ausilio di una potente lente una vecchia mappa consunta dal tempo.

-Ti piace il mio nuovo profumo? L'ho acquistato questa sera in centro. Viene da Parigi...

Disse lei con voce sensuale stringendogli le braccia attorno al collo e baciandolo dolcemente sulla nuca.

-Aida mia...

Sospirò Dimitri posando la lente e lasciandosi massaggiare le spalle dalle sue calde mani.

-Ho appena fatto una scoperta eccezionale! Se le cose stanno come penso il tuo profumo preferito la prossima volta lo comprerai direttamente a Parigi.

Disse lui, spegnendo la candela poggiata sullo scrittoio e cedendo alle carezze invitanti della giovane moglie. Lei lo tirò per le braccia verso il letto senza incontrare più alcuna resistenza, fino ad immergersi tra le soffici coperte.

-Domani mi racconterai tutto!

Disse lei stringendolo a sé senza dargli il tempo di rispondere...

Erano sposati da poco più di un anno e si conoscevano da due ma la passione che li aveva travolti non era per niente assopita.

Si erano conosciuti a Tbilisi in un caffè letterario nel quale Dimitri amava sorseggiare il suo tèe comporre versi. Lei era appena diciottenne ed amava la poesia come nient'altro al mondo.

Si erano scambiati uno sguardo ammiccante ed era subito nato l'amore.

Lei aveva appena compiuto diciannove anni e dopo pochi mesi si trovarono sposati.

-Allora, ieri sera mi parlavi di una tua scoperta eccezionale, a cosa ti riferivi?

La domanda era stata repentina ma Dimitri impiegò solo un attimo per riordinare le idee e cominciare a parlare velocemente, come faceva sempre quando era eccitato.

-Ieri sera studiavo una delle vecchie mappe che hai visto sulla scrivania.

Prese fiato un attimo come se cercasse le parole giuste.

-In quella mappa antica vi è un riferimento alla parola greca phoinix, fenicio, con la spiegazione del suo significato. Phoinix viene tradotto generalmente col termine'rosso', ma a bordo mappa si dice che anticamente voleva dire 'pellerossa'.La scritta è quasi cancellata e io stesso non vi avrei dedicato troppa attenzione se non fosse per quel disegno raffigurante un mostro marino al largo della costa africana. Veramente affascinante...

Disse a voce alta osservando la silhouettedella moglie, avvolta in una vestaglia trasparente, per poi riprendere la sua spiegazione.

-Devi sapere, mia cara, che i greci omerici chiamavano con l'appellativo di pellerossa gli emigranti dell'isola di Creta, dove abitavano i Pelasgi, gli Eteocretesi che erano poii Keftiu egiziani, 'uomini delle Stirpi Marine', affini ai libici nell'Africa Settentrionale, ai Liguri in Italia, agli Iberi in Spagna, alle razze che vivevano lungo tutta la via mediterraneo-atlantica verso l'Oriente. Razze queste che a giudicare dalle pitture murali lasciate nelle sedi in cui abitavano potrebbero essere tardi discendenti neolitici dei Cro Magnon. Rappresentano infattifigure umane 'pellirosse' o rossobronzee, senza barbacome i Toltechi e gli Aztechi del Messico precolombiamo. Altre cose cambiano ma il colore della pelle è un indizio stabile per la distinzione delle razze nei millenni: se lo sono i discendenti probabilmente anche gli antenati erano 'pellirosse', del tutto o in parte. Sembra che un riverbero dell'eterno Occidente, del 'Tramonto di tutti i soli', arda sul giovane volto dell'Europa.

Se ciò che penso è vero, questo rappresenta un legame tra le antiche popolazioni europee e gli indiani d'America!

Ecco cosa ho scoperto, forse tutte le popolazioni attuali del mondo hanno un'unica origine: Atlantide. Una civiltà scomparsa dalla faccia della terra e trasformata in mito ma non senza lasciare parte della sua antica popolazione su entrambe le sponde dell'Oceano Atlantico, in America, in Europa e in Africa.

Pensa alla stirpe dei Baschi, chiusa tra i Pirenei, parla una lingua antica e particolare che non somiglia a nessun'altra lingua d'Europa, d'Africa e d'Asia ma che se guardi bene assomiglia assai alle lingue delle razze paleoamericane. Se questa lingua, come molti ritengono, è un frammento salvo per miracolo dell'antichità dei Cro Magnon, è probabile il legame dell'Europa paleolitica con le lingue dell'antica America.

Capisci che questa è una scoperta incredibile?

Zanaida lo guardo dritto negli occhi, afferrò con forza il colletto della camicia da notte attirandolo verso le sue labbra sensuali e trascinandolo a letto ancora una volta.

Carte e mappe soccombettero alla forza vitale dei due giovani sposi...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 24 aprile 2014

Amerigo, il racconto di un errore storico, di Stefan Zweig

"Chi si aspetta giustizia dalla storia esige più di quanto essa voglia dare: spesso atribuisce imprese e immortalità all'uomo semplice e mediocre e lascia nell'oscurità i migliori, i più coraggiosi e i più saggi."
 
In questo modo Stefan Zweig chiude il suo saggio sulla storia dell'attribuzione del nome "America" al nuovo continente.
 
Stefan Zweig (1881-1942) muore suicida assieme alla moglie lo stesso giorno della pubblicazione di questo suo ultimo studio, nonchè lo stesso giorno della morte di Americo Vespucci (22 febbraio).
 
Come avrete già capito, il libro non è la biografia di Amerigo Vespucci ma la storia degli errori che hanno portato ad attribuire al nuovo continente il nome di Amerigo e non quello di Colombo, il primo ad arrivare sul continente (dopo secoli di buio).
Una catena di errori e scherzi della sorte che parte da un innoquo suggerimento di un uomo dimenticato, Waldseemuller, che scrisse: "... poichè Amerigo l'ha scoperta da oggi si potrebbe chiamare terra di Amerigo ossia America".
In effetti Amerigo fu forse il primo a rendersi conto che la terra (ri)scoperta da Colombo non era l'India delle spezie ma un nuovo continente, immenso e forse più simile al paradiso terrestre dei testi sacri che alle Indie delle spezie e delle sete.
Amerigo scrisse nelle sue lettere: "se nel Mondo è alcun Paradiso Terrestre, senza dubbio dee esser non molto lontano da questi luoghi [..] un paese dove le anime non sono sconvolte dalla lotta per il denaro, per il possesso, per il potere. Un paese dove non ci sono principi, ne esattori, dove non occorre logorarsi per guadagnarsi il pane quotidiano, dove la terra nutre ancora con benevolenza l'uomo e l'uomo non è eternamente nemico del suo simile."
 
E' la speranza nel Paradiso Terrestre, "speranza antichissima, religiosa, messianica, che questo sconosciuto Vesputius ridesta con la sua relazione" a Laurentius Petrus Franciscus de Medici quella che farà si che il mondo civilizzato voglia conquistare l'america. E' l'errore e forse la malafede di alcuni editori del tempo che fa si che il nome America venga attribuito alla nuova terra.
 
Un libro intenso, da leggere e rileggere, da studiare ed approfondire, anche in memoria di Stefan Zweig, un grande studioso forse un po dimenticato.
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 22 aprile 2014

Pasquetta a Roma: i Mostri

Mostri, creature fantastiche della paura e del mito, questo il titolo della mostra di Palazzo Massimo, nei pressi della stazione Termini.

E' con il Minotauro che inizia il percorso fantastico. Il mitico mostro mezzo uomo e mezzo toro, ucciso da Teseo.

Lo seguono le arpie e le sirene, donne uccello, tremende e cattive. Omero le descrisse tentatrici, altri le dissero sanguinarie.







Eppure in certi casi vengono rappresentate come oggi noi conosciamo gli angeli.



Poi è il momento della sfinge, il mitico custode, ce ne parlano gli antichi come un mostro che poneva indovinelli mortali. Una sfinge egizia, bellissima, fa pensare alle loro capacità di lavorare la roccia.





Maschere mostruose, zampe pelose, zoccoli e corna, introducono i sileni e i satiri.

 

La testa di Medusa, simbolo di potenza, spesso riprodotta sugli scudi e sulle corazze dei guerrieri. Mitica regina dell'estremo ovest, uccisa da Perseo.
 




I serpenti cedono il passo alla bellezza di Bellerofonte e del suo cavallo alato, Pegaso e al mostro da loro ucciso, la Chimera.

 


 



Così si chiude la mostra e si apre un altro mondo, quello di palazzo Massimo, ricco di tesori...
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 19 aprile 2014

Bahamuth

La notte stellata del deserto era fredda. Di giorno il sole ti cuoce il cervello, di notte il freddo ti spacca la pelle.
Tutti i giorni di tutti i tempi.
 
- Mettiti un po di grasso di cammello su quelle ferite, Amir. Disse Hamed al nipote che intirizziva sotto la coperta, accovacciato vicino al fuoco.
 
- Nonno, quante volte devo dirti che non serve a niente! Sono medico, lo sai, mi occorre solo riposo e un po di cicatrizzante, ma qui nel deserto non se ne trova!
 
- Fidati di me, fidati di Bahamuth! Metti il grasso e guarirai. Insistette il nonno senza guardare in faccia il nipote.
 
- Ma figurati. Mi verrà qualche infezione!
 
- Perchè ti comporti così? Eppure ti abbiamo sempre spiegato le cose, le tradizioni della nostra famiglia sono antiche. Perchè non credi? E mentre parlava un'ombra scura velava i suoi occhi. Era vecchio ed aveva sempre rispettato le tradizioni e si era sempre trovato bene. Perchè questo nipote, il suo preferito, si comportava come un miscredente?
 
- La nostra famiglia, la nostra famiglia, sempre la stessa storia - aggiunse il giovane stizzito - tradizioni! Ma ti rendi conto di quello che dici? Oggigiorno non vale più niente la tradizione. In chi dovrei credere, in Bahamuth? Ma per piacere! Si voltò dall'altra parte per non vedere le lacrime sugli occhi del vecchio. Sapeva di averlo offeso, ma lui era diverso, non credeva in tutte queste fantasticherie. Aveva studiato, lui.
 
- Uno di questi giorni Bahamuth verrà a trovarti e dovrai ricrederti. - Il tono era perentorio e non ammetteva replica. Il vecchio si girò di spalle e si mise a dormire.
 
La notte stellata avanzava e solo lo strisciare di un serpente sulla sabbia o la debole luce dell'est lasciava pensare alla sua fine. Poi un rumore lo destò.
 
- Chi é? C'è qualcuno? Disse il giovane alzandosi di scatto e afferrando il fucile da caccia preoccupato. - Vieni fuori, chiunque tu sia. - Disse alzando la voce per svegliare il nonno che però non sembrava accorgersi di niente.
 
- Metti via quell'arma, non serve. 
 
 La voce proveniva dalle sue spalle. Era forte e cavernosa, quasi irreale. Come se a pronunciarla non fossero state labbra umane ma le profondità del cielo.
 
- Ho detto di mettere giù quell'arma, non serve.
 
L'arma gli cadde dalle mani, senza che potesse far niente per trattenerla. Qualcosa più forte della sua volontà aveva loro comandato di aprirsi ed esse avevano ubbidito.
 
- Chi sei? E cosa vuoi da noi? Le parole tradivano la sua paura, o forse era il freddo. Le labbra tremavano. Gli occhi cercarono di mettere a fuoco un'immagine sfocata di fronte a lui ma senza riuscirci.
 
- Chi sono io? Chi sei tu per dubitare! - Le parole furono pronunciate con calma ma senza in alcun modo simulare la loro potenza. Erano parole potenti pronunciate da chi era abituato a far uso di tutta la sua forza. - Chi sei tu, piccolo uomo, per dire a tuo nonno in chi o in cosa deve o non deve credere?
 
- Ma...
 
- Zitto! - le labbra gli si chiusero come sigillate dalla colla - Non è ancora il tuo momento. 
 
- Hamed, svegliati! - Disse ora con gentilezza - E' arrivato il tuo momento, andiamo.
 
Hamed si svegliò e lo guardò fisso, stupito ma felice.
 
- Bahamuth, sei tu?
 
- Si, andiamo. - Disse tendendogli la mano.
 
- Posso salutare il mio ragazzo? Vedo che è qui anche lui...
 
- Si, puoi. - Rispose Bahamuth.
 
- Addio figliolo. Decidi tu in cosa credere, decidi tu cosa fare da ora in poi, non ci sarò più io a farti da guida. Ma ricorda sempre che Dio creò la Terra per noi uomini. La poggiò sopra un Angelo e l'angelo su una montagna di rubino. Ma la montagna non aveva sostegno così creò un toro con quattromila occhi, nasi, bocche, lingue e zampe. Il toro non aveva sostegno così creò un pesce, chiamato Bahamuth. E il pesce lo mise nell'acqua e l'acqua nell'oscurità e così il mondo può continuare ad esistere per sempre.
 
- Nonno...
 
Il sole era alto in cielo quando  Amir si destò.
Si alzò, si spalmò il grasso di cammello sulle ferite e cominciò a scavare una fossa nella sabbia del deserto, dove avrebbe deposto suo nonno...
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 18 aprile 2014

Sleipnir

- Sleipnir. Vieni qui, di corsa!

La voce del Dio era potente e cavernosa. Quasi niente aveva di umano. Anzi, niente. Quando chiamava Sleipnir era possibile sentirlo dalla terra, come il rombo di tuono che preannuncia il temporale.
Sleipnir accorreva di corsa, e con i suoi otto zoccoli possenti sollevava scintille infuocate che finivano sulla terra sotto forma di fulmini. Tutti gli esseri si rintanavano nei loro ripari, temendo la collera del Dio.
Odino saltava in sella, scrollandosi di dosso la polvere che ricopriva i suoi abiti prima di partire al galoppo e la polvere cadeva sulla terra con sembianze di grandine.

- Andiamo Sleipnir, al galoppo!

Il cavallo, se cavallo si può chiamare un essere al servizio di un Dio, con otto zampe sotto i possenti garretti, partiva al galoppo obbediente agli ordini del padrone. Sudava bianca schiuma, che appariva sul mare Oceano, sotto forma di spuma leggiadra nei giorni di temporale.

Odino si muoveva nel vasto cielo, che a malapena lo conteneva. Veloce più del vento, potente più del tuono, caldo più del sole, governava l'universo affiancato dal suo cavallo Sleipnir.
Il suo pelo folto e grigio, lungo più della chioma delle amazzoni, ondeggiava leggero al vento di primavera.

Sleipnir correva veloce, per aria e per terra e i suoi occhi fiammeggianti aprivano le porte degli inferi.
Odino era il solo a cavalcarlo.

Tutto ciò andò avanti per millenni poi un giorno l'uomo dimenticò tutto. Costruiì macchine volanti, imitò il rombo del cielo. Cacciò Sleipnir e il suo padrone negli inferi dell'oblio.

Ma un giorno Sleipnir tornerà a cavalcare, col suo cavaliere tonante, per terra e per aria e il suo padrone prenderà la sua rivincita sull'uomo ribelle.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO