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venerdì 28 settembre 2007

Matrix, il biodiesel e il prezzo del pane

Si chiama biodiesel perché lo si ottiene dalla lavorazione dei vegetali, ma se verrà scelto come benzina del futuro sarà la catastrofe ambientale del nostro pianeta.
Nel film Matrix, una sorta di entità cibernetica apostrofa l’essere umano interpretato da Keanu Reeves con questo illuminante discorso:
“Tutti i mammiferi di questo pianeta d'istinto sviluppano un naturale equilibrio con l'ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l'unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un'altra zona ricca. C'è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus.
Gli esseri umani sono un'infezione estesa, un virus per questo pianeta”.
Se si esamina la storia, c’é da dire che, in molti casi è proprio così. La prima desertificazione prodotta dall’uomo si è avuta tra il Tigri e l’Eufrate, successivamente nella Palestina e nel Libano poi l’Egitto. Poi c’è stato il disboscamento dell’Italia da parte dei Romani, il disboscamento di gran parte dell’Europa nel medioevo e, più recentemente, degli USA e della foresta Amazzonica, a titolo di curiosità inoltre si possono citare casi emblematici come l’isola di Pasqua o di Lampedusa e cosi via, gli esempi certo non mancano.
Quello che non tutti sanno è che gran parte delle pianure dell’occidente di oggi, sono ormai dei deserti, prendiamo ad esempio la pianura Padana, se per una stagione o due, non si irrigassero i campi e non si utilizzassero fertilizzanti, come avviene adesso, la verde pianura si trasformerebbe in una sterile landa desolata. La causa di questa distruzione è dovuta allo sfruttamento intensivo del terreno, il quale ha irrimediabilmente esaurito lo strato vegetale del sottosuolo, trasformando così i campi in “sabbia” incapaci di trattenere l’acqua e nutrire le piante.
Il biodiesel sembra una cosa positiva, una cosa ecologica, pulita, ottenuto da fonti rinnovabili ma in realtà il rischio che corriamo è enorme. Rischiamo di trasformare un gran numero di campi coltivabili in campi di cultura intensiva per produrre carburante. Se a questa considerazione si somma anche il ritmo di richiesta di carburante da parte dell’India e della Cina e tra qualche anno anche della Corea, ci viene da chiedersi, quanti campi dovremo coltivare a colza o a mais per ottenere il carburante sufficiente? Quanti boschi dovremmo sacrificare? Con che ritmo dovremmo utilizzare quelle culture? Dove coltiveremo le derrate alimentari? Quanto tempo è sufficiente per esaurire lo strato vegetale presente nel sottostrato del terreno? 50, 100, 200 anni? Sono domande che giriamo agli esperti, noi non lo siamo, ma non occorre essere ingegnere chimico per capire che l’impatto su l’ecosistema potrebbe essere enorme (si stima di ricavare 1000 litri/ettaro, con un rendimento non superiore agli 8 Km/litro si ottiene: 8000 Km/ettaro cioè in media 2 ettari/anno di campo coltivabile pro capite per il solo uso domestico).
I primi sintomi di qualcosa che non va già si intravedono, la richiesta di biomasse in America Latina ha fatto raddoppiare in pochi anni il prezzo dei cereali, con conseguente innalzamento dei prezzi anche in Europa (e il pane diventa oro). Questa nuova domanda di cereali potrebbe innescare un processo di riorganizzazione delle coltivazioni su scala mondiale, dagli effetti imprevedibili, in altre parole in maniera subdola e silenziosa, si potrebbe instaurare un processo di desertificazione di gran parte delle zone fertili del pianeta. Il rischio che si corre è quello di scoprire che tra 80-90 anni, dopo una mutata condizione economica o tra qualche secolo dopo un cambiamento climatico, quei campi, destinati alla produzione di biodisel, così intensamente sfruttati e magari sottratti alle culture alimentari o boschive, si sono trasformati irrimediabilmente in deserto.
Probabilmente noi non saremo testimoni di questa eventuale catastrofe, ma questo non ci autorizza a voltarci dall’altra parte e far finta di niente. Io penso che ogni generazione che si affaccia sulla terra ha il dovere morale di consegnare il pianeta alle generazioni future meglio di come l’ha trovato e non peggio. Allora corre l’obbligo di chiedersi come possiamo risolvere il problema del carburante, prima che sia troppo tardi. E magari se mi è consentito; ma un 2.500 cc di cilindrata ci serve veramente? Non potremo farne a meno e in cambio ottenere un futuro sereno per i nostri nipoti?
Alessandro Ghinassi

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