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domenica 22 marzo 2015

Breve storia della Sardegna - Vol. I - Antichità

Cari amici, vi presento Breve storia della Sardegna, il mio ultimo libro.

Questo libro vuol essere di spunto a tutti coloro che vogliono sapere qualcosa delle loro origini ma che si sono sempre fermati alla immagine della Sardegna sulla copertina di un bel libro in vetrina.
Questo libro è un percorso di ricerca aperto a tutti i volenterosi.
Non sempre troverete risposte, spesso troverete domande, quasi mai troverete certezze. Ognuno potrà leggere e giudicare da solo sulla credibilità di una versione o di un'altra. Io farò come faceva Erodoto 2500 anni fa; vi racconto ciò che ho visto, ciò che ho letto e ciò che ho sentito, dicendovi la mia opinione (e presentandola come tale) oppure lasciandovi sognare sulla scia di miti e leggende.

Auguro a tutti buona lettura e vi invito ad andare in Sardegna. Però non fermatevi lungo le coste, entrate nel suo cuore per capire e conoscere l'isola e le sue antiche culture, i suoi differenti dialetti, i costumi, i cibi, le tradizioni e soprattutto le persone.

Se volete avere un'idea di cosa vi troverete dentro date uno sguardo agli articoli già pubblicati sul mio blog, seguite questo link.

Poteto trovarlo sul sito ilmiolibro.it (Breve storia della Sardegna) dove potrete leggere una breve introduzione e le prime pagine.
Spero vi piaccia e possa diventare uno dei libri della vostra libreria.

Buona lettura e a presto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


mercoledì 3 settembre 2014

Anteprima: Storia della Sardegna antica, la preistoria che vediamo tutti i giorni

La mia terra è una terra misteriosa e senza storia o, per meglio dire, tutta preistoria.

E' sufficiente percorrere la Strada Statale 131 Cagliari-Porto Torres per rendersi conto di cosa intendo dire.

Di tanto in tanto tra i cespugli verdi e odorosi di macchia mediterranea è possibile scorgere la sagoma di un nuraghe, le antiche torri in pietra che ricoprono il territorio. Si dice ve ne siano settemila sull'Isola, ma forse nessuno li ha mai contati!

Più piccole e spesso nascoste, ma non meno interessanti le "domus de janas" che tradotto letteralmente significa “case delle streghe”. Si tratta di piccole abitazioni con funzione forse funeraria scavate nella roccia. Le tombe dei giganti, i dolmen, i mehnir e i pozzi sacri completano la serie di costruzioni megalitiche! Storia a parte andrebbe raccontata per il Sardus Pater e i giganti di Mont'e Prama, splendide statue litiche raffiguranti diversi personaggi dell'antichità, guerrieri e forse antichi dei, ritrovate nei pressi di Oristano e ancora oggetto di studio.

Una preistoria esagerata, che fa risalire la civiltà nuragica al 2000 a.C. circa, ma forse a periodi ancora precedenti.

Alcune scritte su pietra, solitamente attribuite a popolazioni estranee all'isola, sono state ritrovate negli anni. La più importante e anche la più dibattuta è conosciuta col nome di "stele di Nora" dal luogo di ritrovamento, Nora per l'appunto, città marittima a sud dell'isola. Mi chiedo per quale motivo un ritrovamento effettuato in Sardegna debba essere attribuito ad un popolo straniero, ma così è sempre stato. Come se la Sardegna non possa essere luogo di produzione di cultura. In ogni caso è chiaro che anche tutti coloro che si sono cimentati nel tentativo della traduzione devono avere le idee confuse dato che non riescono a mettersi d'accordo sul significato della scritta. Al momento esistono solo tante differenti versioni, talmente diverse l'una dall'altra che ci si potrebbe chiedere se gli esperti si siano cimentati nella traduzione sulla base di conoscenze scientifiche o sul gioco del "tiriamo ad indovinare"!

Io propendo per la seconda. La stele si può ammirare al Museo nazionale di Cagliari e chi vuole può provare a dare la sua interpretazione.

E che dire dei bronzetti? Antiche testimonianze di tempi passati, opere da ammirare per la splendida fattura.

Si tratta di oggetti in bronzo rinvenuti generalmente all'interno dei nuraghe. Vi sono statue di guerrieri, di sacerdoti, ma anche modelli di navi, nuraghi e animali oltre, naturalmente, ad armi di vario genere.

Forse più antiche le statuette della Gran Madre, la dea della fertilità per eccellenza, trovate tanto in Sardegna come nel resto del mediterraneo e considerata dea dell'Asia Minore.

Strabone ci racconta che Cybele, uno dei nomi della Gran Madre, era la dea dei Frigi e dei Troiani... e questo è un particolare da tenere a mente! Chissà qual'è la relazione tra le due dee?

Certo che se si pensa che la dea dell'Asia Minore era considerata la prima a dotare di torri le città come ci ricorda Ovidio nei Fasti quando si domanda: "Ma perché la sua testa è gravata da una corona di torri? Forse fu lei a dare le torri alle prime città?"

Torri o nuraghi?

Dea frigia, troiana e sarda allo stesso tempo?

Forse non si saprà mai, resta il fatto che le statuette della dea trovate in Sardegna sono una realtà!


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


giovedì 3 luglio 2014

Su goppai miu de Casteddu (Il mio compare di Cagliari)

Ancora si raccontano, a Gesico, storielle antiche che parlano dell'ingenuità delle persone umili.
Eccone una, raccontata da mia nonna Annunziata Carboni, che la cara zia Nina pochi giorni fa ha riportato alla mia memoria.

Un signore deve mandare un dono ad un compare che abita a Cagliari.
Siamo negli anni '50.
Chiama la domestica e le dice: "Porta custu presenti a goppai Luigi".
     (Porta questo regalo a compare Luigi)
La ragazza, un po preoccupata risponde: "Sissignore, ma in dui dia deppi pottai?"
     (Sissignore, ma dove lo devo portare?)
"A Casteddu 'ndui bivvidi su goppai miu!"
     (A Cagliari, dove vive compare Luigi)
"A Casteddu?" Risponde la domestica.
     (A Cagliari?)
"Ma su merixeddu miu caru, deu non mi sciu giostrai beni in Casteddu, ma bandu cun d'una amiga mia cara, issa esti prusu acculturada de mei".
     (Ma, padroncino mio caro, io non mi so giostrare bene a Cagliari, ma vado con una mia amica che è più acculturata)
Così le due ragazze partono per la città.
Una volta arrivate, la ragazza più sveglia chiede all'altra quale fosse l'indirizzo.
La domestica risponde: "Su merixeddu m'a nau de bussai e domandai de goppai Luigi"
      (Il padroncino mi ha detto di bussare e chiedere di compare Luigi)
Così le due ragazze bussano alla prima porta che trovano.
- "Cosa volete?" Risponde una voce da dietro la porta chiusa.
"Esti vi signoria goppai Luigi?" Dicono timidamente le due ragazze paesane.
      (E' Lei compare Luigi?)
- Andate via, puttane zozze! Risponde una voce dall'interno scambiandole per donne di malaffare.
Le ragazze, capendo male, ringraziano e si allontanano.
"Duncasa, deppeusu bussai in cussa via e in cussa porta! DIce la più acculturata alla domestica.
     (Dunque, dobbiamo bussare in quella via e in quella porta.)
Si spostano di pochi metri e bussano ancora: - Toc, toc...
"Bivvidi innoi su signori nostru?" Chiedono ancora le due ragazze.
     (Abita qui, il signore nostro?)
Affacciandosi, una voce gentile risponde: "Chi cercate, signorine belle?"
"Ciccausu su signori nostru. Pottausu uno presenti de su goppai de vi signoria"
     (Cerchiamo il nostro signore. Portiamo un dono del suo compare.)
- Entrate pure - risponde l'uomo pregustando i doni - Cosa mi manda il mio bravo compare? Chiede interessato.
"Pottausu unu porceddu, pani de simbua e is pardulasa po fai una bella Pasca."
     (Portiamo un maialetto, pane di semola e le formaggelle per fare una buona Pasqua)
- Ma prego, accomodatevi pure. Risponde l'uomo furbescamente, approfittando della ingenuità delle due ragazze.
- Siete arrivate nella casa giusta e ringraziate tanto il compare per essersi disturbato con tutto questo ben di dio.
Le ragazze così tornano a casa soddisfatte.
Al loro rientro il padrone chiede come è stato il viaggio e se è stato facile trovare il compare.
"Facili facili, eusu bussau in sa prima porta e s'anti arrespustu - in cussa via e in cussa porta! -
      (Facilissimo, abbiamo bussato alla prima porta che ci è capitata e ci hanno risposto "in quella via e in quella porta")
Il padrone è così soddisfatto del lavoro svolto, ignorando però che il suo compare non aveva ricevuto niente!

Demuro Fernanda

domenica 1 giugno 2014

Anteprima: Storia della Sardegna antica

Cari amici, penso sia arrivato il momento di cominciare a parlare del mio prossimo libro, Storia della Sardegna antica, che dopo anni di ricerche sto terminando di scrivere.
Oggi, vi voglio regalare un capitolo, anche perchè vorrei avere vostri suggerimenti.
Ma non voglio farvi perdere tempo, ecco il capitolo che parla della storia dei nomi della nostra amata isola, la Sardegna, sperando sia di vostro interesse e che possiate trovare parte delle radici della nostra terra.
Sardegna... storia di un nome

Prima di passare la parola agli storici vorrei parlare brevemente del nome "Sardegna".

Tutti i sardi sanno che l'isola in passato ha avuto altri nomi, uno dei più famosi è Ichnusa1, ma non è l'unico e non è neanche il più antico.

Francisco de Vico, nel suo testo "Historia generale de la Isla y Reyno de Sardeña"2ci dice che il primo nome che ebbe l'isola gli fu dato dai suoi primi abitatori, gli ebrei, che la chiamarono "Cados Sene" il cui significato sarebbe "Calzare Sacro", probabilmente per la sua forma simile all'impronta di un piede o calzare. I greci diedero poi il nome di Ichnusa che vuol dire la stessa cosa, calzare santo.

Sempre De Vico ci dice che secondo Beroso, sacerdote babilonese del terzo secolo a.C. (perché poi un babilonese si sia occupato della Sardegna è tutto da capire!), il termine Sandaliotes era stato attribuito all'isola dagli abitanti che avevano preceduto i greci, a detta sua questi furono i principi vetuloni o toscani, gli etruschi. Poi arrivò in Sardegna Ercole che chiamò l'isola Iolea, per alcuni dal nome di Iole sua moglie,secondo un'altra versione dal nome di Iolao, suo nipote. Dopo Iolao, un figlio di Ercole di nome Sardo divenne Re e da lui l'isola prese il nome che porta ancora oggi: Sardegna.

Qualche secolo dopo De Vico, nell'anno 1792, l'abate gesuita Matteo Madao nelle sue “Dissertazioni Storiche e apologetiche critiche delle Sarde Antichità” scrive: “Assai più forte congettura che le sposte non sono, per provar e chiarire il nostro argomento, e per mostrare l'antidiluviana popolazione di quest'isola, pare che sia un'altra, che qui addurremo, la quale si tira dal primo e prisco nome Cadossene, onde, secondo Beroso, Solino, Plinio, Annio di Viterbo, Pineda, Albertino, ed altri storici autori, la Sardegna fu chiamata sin dal principio dell'antichissima sua fondazione: nome ebraico, composto di due vocaboli, i quali uniti significano pianella, o sandalo santo e divino (epperò Cados valesanto, e Sene pianella, o sandalo in lingua ebrea, o aramea), che per trovarlo i Greci, antichissimi abitatori d'essa Sardegna, assai proprio e significante, e adattato alla di lei figura di uman vestigio, il voltaron poi nel greco Sandaliothis, affatto corrispondente a Cadossene, non meno nel significato che nel congiungimento dei due vocaboli, i quali al pari de' due suddetti ebrei esprimono in greco la forma della stess'isola dacchè Sandalion significa sandalo, o pianella, e Theion, forma neutra di theios, santo e divino”.

Il nostro Madao riporta anche i commenti di Francesco Sansovino al testo di Beroso: “Cadossene, che i Greci dicono Sandalioti, i Latini Sancta Crepida, e noi Sardigna”...

Poco avanti, nello stesso libro, il padre gesuita, parlando della discendenza di Adamo e del significato dei primi nomi dati alle regioni del mondo dai colonizzatori ebrei, aggiunge: “Cadossene, onde l'isola di Sardegna da' primi di lei abitatori fu chiamata, ed al quale poi nei secoli postdiluviani altri nuovi nomi via via succedettero per appellarla, come Sandaliotis, Icnusa, Munivia3,Sardon, Sardinia, inventati da' Greci, da Fenicj, e Romani”.

Ed ecco così ancora due nomi, Sardon e Munivia, che riemergono dal passato e dai testi di autori antichi ormai dimenticati. Procopio invece dice che “Sardò è il proprio nome di questa che chiamasi ora Sardegna".

Come avrete notato non sempre gli autori concordano sull'origine dei nomi, questa è una cosa molto comune quando si parla dei tempi antichi, ed essendo la Sardegna terra antichissima, purtroppo è soggetta a questo problema.

Come comportarsi allora, vi chiederete.

Se volete, fate come faccio io, raccogliete tutte le testimonianze e fatevi una vostra idea della cosa più probabile, senza pretendere di arrivare alla verità, probabilmente persa per sempre nelle nebbie del passato più remoto.

Riassumendo, la terra che oggi è conosciuta col nome di Sardegna di oggi ebbe diversi nomi nel tempo e a seconda delle lingue dei popoli usate per descriverla: Cados Sene, Iolea, Munivia (e forse, Gadyla), Ichnusa, Sandaliotis, Sardon, Sancta Crepida e infine Sardegna, probabilmente ve ne sono altri che non conosco e ciò mi spinge a proseguire le ricerche.

Note:

1Ιχνουσσα in greco antico, traslitterato come Hyknusa o Icnussa.

2 Testo pubblicato a Barcellona nel 1639.

3 Sulla "Revue des deux mondes. Sept. 1836, tomo 7, pag. 543-564", in un testo di natura controversa, ho trovato anche il nome di Gadyla, ma di questo non sono certo. Vedi: Sulla scoperta d'un manoscritto contenente la traduzione di Sanchuniathon, di Filone di Biblos. sul mio sito, all'indirizzo http://tuttologi-accademia.blogspot.it/2013/07/sulla-storia-dei-fenici-secondo.html.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 19 gennaio 2014

Ancora sulla storia di Gesico

Ho riletto qualche giorno fa un vecchio articolo scritto da mio fratello Antonello  su Gesico: Gesico nei libri, così ho pensato di aggiungere qualche informazione curiosa che mi è capitato di trovare in questi anni.
 
Cominciamo con il parlare di Gesico nel periodo della conquista spagnola della Sardegna.
Le notizie sono tratte dalla Historia general de la Isla, y Reyno de Sardeña Di Francisco de Vico (1639).
Siamo nel 1324 quando avviene l'infeudazione della Villa di Gesico. 
L'autore ci racconta che l'Infante don Alonso in quell'anno concesse la Villa di Gesico in feudo con un censo di cinquanta fiorini d'oro a Pedro Marco consigliere di Barcellona.
Qualche anno dopo, nel 1331, Gesico fu venduta a Ramon Desvall al prezzo di 35.000 monete Alfonsine con decreto reale del Re don Alonso. In quell'anno Gesico passa sotto la giurisdizione di Valencia.
Nel 1335 Dona Catalina Desvall rivende al Re don Pedro Gesico, unitamente ai paesi di Sabolla, Pirri, Salvatrano, Corongio, Mandras (Mandas) e Nurri.
Qualche anno dopo, nel 1368 il Re fa dono di Gesico a Antonio Puig (o Poualt). Antonio Puig fece dono di Gesico a sua figlia Iuana nel 1376 che si sposò con Marco Momboy.
A Marco Momboy succedette il figlio Juan. La moglie di Marco Momboy invece lasciò la sua parte ai figli IoàAntonio, Matheo e Marco.
Qualche anno dopo ritroviamo Gesico tra le proprietà di Juan, figlio di Juan Momboy. Nel 1450 il paese di Gesico, assieme a Samazay, Gonniperas, Barrali e Samassi passa di proprietà di Francisco de Eril, Governatore Generale del Regno di Sardegna, al prezzo di 1500 fiorini d'oro d'Aragona.
La famiglia Eril tenne il possesso di Gesico fino al 1541 quando la vendette assieme ad altri paesi a don Salvador Aymerich che due anni dopo dichiarò di averle acquistate su commissioni del Dottor Pedro Sanna di Bruno Letrado di Cagliari, che ne assunse la proprietà.
Alla sua morte, nel 1545, la Villa di Gesico passò, assieme ad altre proprietà, al figlio Tiberio Sanna.
Tiberio Sanna lasciò i suoi possedimenti al figlio Iuan Bautista nel 1580. Gli succedette don Ioseph Sanna e a questo il figlio Iuan Bautista che al momento della pubblicazione del libro, 1639, possedeva la proprietà di Gesico.
Occorre saltare un secolo per trovare nuovamente traccia del paese di Gesico nei testi. Nella "Genealogia de la nobilissima familia de Cervellòn di Manuel Maria Ribera, pubblicato nel 1733 grazie al sostegno di Donna Antonia Sanna, moglie di don Francisco de Cervellòn.
L'autore racconta infatti che un avo di Donna Antonia, don Tiberio Sanna Barone di Gesico, sposò Donna Benita de Cervellòn, si tratta probabilmente dello stesso Tiberio visto poco fa.
Nel libro Ribera racconta le origini nobili della famiglia Sanna facendole risalire al 1353, grazie ai meriti di due fratelli, Lorenzo e Giovanni Sanna, che servirono con onore sotto la Corona reale durante le guerre di Sardegna.
Fu Don Pedro III che nel 1354 li investì di un grande territorio, per ringraziarli delle loro opere e della loro fedeltà anche di fronte al pericolo corso in tempo di guerra.
 
Da allora i Sanna divennero una delle famiglie più ricche e importanti del paese di Gesico.
 
Ora devo nuovamente fare un salto di quasi un secolo per trovare altre notizie di gesico, nel libro "Storia di Sardegna dall'anno 1799 al 1816" di Pietro Martini. 
 
Si parla di un periodo in cui la Sardegna dipendeva dal Piemonte. Dal 1815 esisteva una "segreteria di stato per le cose della Sardegna" il cui capo era Silvestro Borgese, che era stato in servizio a Cagliari dal 1772 al 1792 come "professore di sagri canoni" e "aggiunto alla reale udienza" e "avvocato fiscale regio".
Doveva essere un periodo abbastanza burrascoso per la Sardegna (e non solo!) e Gesico non era un paese tranquillo.
Dice Pietro Martini che sono da ricordare i tumulti di Gesico, dove fu arrestato il nobile Giovanni Diana, nonostante la protezione di cui godeva da parte del Marchese di S. Tomaso.
Alla cattura del Diana partecipò un tal Giovanni Corrias. Il Marchese (o Barone?) cercò di vendicarsi arrestando il Corrias ma il Re lo rimproverò. Il nobiluomo si ritirò a Gesico e probabilmente ebbe la sua parte nel sollevamento della popolazione contro il prete, amico del Corrias.
Il governo spedì a Gesico le sue truppe e la popolazione fu così ridotta all'obbedienza.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 18 gennaio 2014

Gesico nei libri

Il paese per quanto piccolo, mi è piaciuto molto per il suo territorio, ricco di sorprese "datate"...
Gesico fa parte dei miei vissuti, spezzettati e divisi tra i paesi in cui ho dimorato.
Ciascuno di questi luoghi ha riempito un pezzettino del mio cuore, emozioni ed esperienze diverse che mi hanno portato ad oggi, pregi e "difetti" compresi.
Ho fatto una piccola ricerca di libri che citano questo piccolo paesello nascosto in una vallata della Trexenta in Sardegna. Lungi dall'averli trovati tutti, ma può darsi che qualcuno possa trarne beneficio, se non altro per pura curiosità o conoscenza.
Brevi cenni storici:
Gesico ebbe una storia in epoca medievale, e fu capoluogo della sua baronia nel XVII secolo. Il feudo di Gesico si formò con l'investitura del marchesato di S. Tommaso nel 1769 e durò fino al 1839. Era costituito da grosse proprietà, ufficialmente di circa 1680 ettari, ma a cui si aggiungevano le proprietà della chiesa (dal 1700) e altre. Le proprietà private si costituirono dopo lo scioglimento del feudo e la concessione in gestione ai comuni. I comuni vendettero le terre demaniali ai privati in seguito ai regolamenti del 1839. La Sardegna era allora divisa in diversi giudicati, a sua volta suddivisi in molte curatorie.

Fonti parziali: Dizionario ufficiale dei comuni e dei centri abitatidati del 4/11/1951 - popolazione residente 1189altitudine 328 m - altitudine del suo territorio da 195 m a 501 m
REPUBBLICA ITALIANA - Istituto Centrale di Statistica POPOLAZIONE E MOVIMENTO ANAGRAFICO DEI COMUNI VOL. XV - 1970 Roma



Nell'Anagrafico dei singoli comuni la popolazione residente al 31 dic. 1969 è di 1.322.
di Manlio Brigaglia enciclopedia LA SARDEGNA 1982 - EDIZIONI DELLA TORRE
Dal VOL. I - Nel referendum istituzionale del 1946 vediamo che dei 137 comuni della provincia di Cagliari solo 28 diedero una maggioranza repubblicana, tra cui anche Gesico.
Dal VOL. II - ... Nel 1971 aveva 1235 abitanti.

Angius/Casalis
Dizionario Geografico Storico Statistico Commerciale degli Stati di S.M. IL RE DI SARDEGNAProv. di Cagliari Vol. I (libro del 1840 ca.)Amministrazione provinciale Cagliari - EDITRICE SARDEGNA

Villaggio della Sardegna nella provincia e prefettura di Isili, Gesico è nel mandamento di Mandas, compresa nella Curatoria di Seurgus, dipartimento del Regno cagliaritano.
Gesico è composto da Gesico-mannu e Gesicheddu, separati da un fiumicello. Gesico-mannu è bagnato dall'altra parte dal rio di Mandas. Attraversano il paese due strade principali, una da Mandas a Selegas, l'altra da Siurgus a Villanovafranca. Ci sono a Gesico circa 220 famiglie, con una popolazione di circa 950 abitanti. I gesichesi sono sotto la giurisdizione dell'arcivescovo di Cagliari. La chiesa parrocchiale è nel rione di Gesico-mannu. E' intitolata a Santa Giusta, di bella struttura, con 8 altari ed abbellita con marmi e argenti. Le chiese minori sono 5: S. Maria, la vergine d'Itria che credono essere stata l'antica parrocchiale, che si trova alla fine del paese; S. Amatore, distante pochi minuti dall'abitato; S. Lucia e S. Sebastiano, molto vicine, e S. Mauro, a mezz'ora dalpaese, sul monte Corona. Nel 1817 nacque il campo santo, alle spalle della chiesa di S. Amatore. Le feste principali sono: il 14 maggio per S. Mauro nella cima del monte Corona; per S. Amatore nella terza domenica di ottobre, nella quale si tiene una delle migliori fiere.Infine nel territorio di Gèsico non ci sono meno di 15 nuraghi, in gran parte distrutti.

di Alberto della Marmora
ITINERARIO dell'isola di SARDEGNA - tradotto e compendiato dal Can. Spano 1868 Cagliari - VOL. I - edizione anastatica sui tipi di A. AlagnaEdizione TROIS

"... mentre che verso ponente si vedono spuntare le cime marnose di Punta accuzza, ed il Monte Corona, a basso del quale si nasconde il fangoso villaggio di Gesico (1), indi si arriva sempre in pianura a quello di Mandas."
Aggiunge quindi un commento nella nota:"(1) In questo villaggio si trovano con frequenza monete antiche. Vicino avvi una chiesa campestre Sant' Amatore, in cui si fa una bella fiera. Lungi si vede il Monte Corona nella di cui cima vi è la chiesa di S. Mauro (N.S.)."

di Marcello Serra
ENCICLOPEDIA della SARDEGNA - con un saggio introdutt. intitolato Alla scoperta dell'IsolaGIARDINI EDITORI E STAMPATORI IN PISA

di Gesico cita così:"Piccolo centro della Trexenta (ab. 1.300 circa), situato sulle pendici del M. S. Mauro (m. 501). Nel territorio si trovano i nuraghi Sitziddiri, Su Linu, Columbas, Accas, Su Mulloni, Battudis, Mattas Nieddas. Nella Parrocchiale di S. Giusta si notano alcune strutture del Quattrocento e in quella di santa Maria qualche elemento del sec. XIV. Nella terza domenica di ottobre si svolge qui la Fiera di S. Amatore, destinata ai fidanzati che stanno per mettere su casa."

di Marcello Serra
MAL DI SARDEGNA - EDITRICE SARDA FOSSATARO CAGLIARI
"[...] Ritornati sulla strada principale, dopo il nuraghe Piscu, dove fu ritrovato un cumulo di grano carbonizzato da secoli, un bivio discende a GESICO, piccolo paese incassato in una valle, dove ad ottobre si celebra la grande fiera di S. Amatore. In questa occasione i fidanzati dei paesi vicini vengono a riornirsi del corredo e di quanto occorre per la loro casa. Infatti nelle botteghe sistemate intorno alla chiesa rustica, che si chiamano cumbessias , si può acquistare di tutto. E' dunque questa la festa degli innamorati della Sardegna, e il nome del Santo d'altra parte si adatta perfettamente alla simpatica sagra."

di Salvatore Colomo - Francesco Ticca
SARDEGNA - Immagini di un'isola1984 - VOL. I - EDITRICE ARCHIVIO FOTOGRAFICO SARDO - NUORO

Il paragrafo che riassumo non parla di Gèsico, ma della dominazione Aragonese e Spagnola. Dal 1300 al 1700 la Sardegna fu sotto la dominazione Aragonese, e poi spagnola. Dal 1500 in poi lo stile Gotico-Aragonese ha uno sviluppo notevole, determinato dalla costruzione di moltissime nuove chiese parrocchiali. Nel cagliaritano si trovano importanti esempi di tale stile. Tali chiese hanno in genere la facciata quadrata, coronata da merli e rinforzata ai lati da contrafforti. All'interno, l'uso della volta stellare, costituita da costoni che si incrociano nelle chiavi di volta. [Molto simile alla parrocchia di Gesico, avente le caratteristiche descritte è la chiesa di S. Pietro ad Assemini].

di Luigi Spanu
SAGRE E FESTE POPOLARI NEI COMUNI DELLA PROV. DI CAGLIARI 1987 - Prov. di CA Assessorato allaCultura

"Gesico si trova nel centro dell'estremo settentrione dellaTrexenta, in zona collinare a circa 50 km da Cagliari []. A metà ottobre si tiene la Sagra di S. Amatore. In tale occasione si fa la processione dalla parrocchia alla chiesetta campestre di S. Amatore. Tale chiesa restaurata qualche anno fa, sorge su un'altura alla fine dell'abitato. Risalente al 1500, fu costruita su una cappella a pianta quadrata greco ortodossa. Le reliquie del santo si trovano nell'altare maggiore della parrocchia. La festa di origine antichissima, attira migliaia di persone, essendo uno dei più tradizionali e sentiti culti popolari della trexenta. Un'altra festa altrettanto suggestiva, è quella di S. Mauro, in cui il simulacro del santo viene portato in processione fino alla chiesetta omonima situata su un colle, il monte Corona, circondato da una vasta vallata, la festa dura tre giorni, sul colle e poi in paese, con canti e balli."

di Rinaldo Botticini
GEO Sardegna - Ambiente Uomo Insediamenti 1991 - SOLE Edizioni

Traduce il nome dal sardo gessa=gelso, e quindi gessicu= sito di gelsi." Un susseguirsi di colline che raggiungono i 500-600 mt di altezza e sono intersecate da amene vallate, fanno da sfondo al centro urbano. Esso sorge nel punto di confluenza del torrente Sipiu con gli affluenti e si è sviluppato secondo direttrici parallele al corso d'acqua. La tipologia abitativa è tipica delle zone ad economia pastorale con edifici accorpati lungo le vie. Nuraghi e reperti punico-romani sono presenti in numero notevole sul territorio circostante. Il paese ebbe una storia in epoca medioevale e, nel XVII secolo, fu capoluogo della omonima baronia. [..] Nella parrocchiale di Santa Giusta si alternano vari stili: romano, pisano e gotico-aragonese."C'è anche una foto della chiesa campestre di S.Amatore.

DIZIONARIO DI TOPONOMASTICA
Storia e significato dei nomi geografici italianiUTET

"Località del Campidano a 51 km da Cagliari, è situata in una conca pianeggiante a 300 m. s. m. (TCI Sard. 257). Attestato in RDSard. aa. 1346-1350 Item a presbitero Bernardo Oliverii vicario de Gesico n. 1545 e passim, il toponimo è di origine incerta, verosimilmente prelatina (cfr. Paulis 1987, 432). Fantasiosa è l'interpretazione etimologica di Spano 1872, 54 da una voce fenicia ges "valle, fosso", "luogo basso". La pronuncia locale del nome è gèsico, in dialetto gèsigu (DETI 240). C.M."


conoscere L'ITALIA
Enciclopedia dell'Italia antica e modernaSARDEGNA - ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI NOVARA

Brevissima citazione come esempio di struttura semplice dei nuraghi: "Più numerosi che in qualunque altra zona dell'Isola sono i nuraghi nella Trexenta (0,9 per chilometro quadrato). Nella esemplificazione dei nuraghi presenti dal Campidano alla Trexenta, cita i vari tipi dai più semplici, composti da un'unica torre circolare, ai più complessi, fatti di molte torri."[...] Talora è aggiunto alla torre circolare... una torre minore e un cortile (Su Covunu, a Gèsico)."


da "Il Giornale della Trexenta"
ANNO I n°2 - Agosto 1992Articolo di Carlo Carta

In un ampio discorso di morale sullo sviluppo economico e socio-culturale della trexenta, viene citato il restauro di Chiese insieme a qualche scavo archeologico, i quali una volta iniziati, sono rimasti fermi in attesa di fondi e di finanziamenti. Tali interventi riguardano anche la parrocchia di S. Giusta.

ANNO I n°6 - Dicembre 1992Articolo di Carlo Carta

Viene citato il Casalis, nel quale viene esaltata la Parrocchia di S. Giusta, per la sua bella struttura, per le sue opere d'arte ma sopratutto per la magnificenza dei suoi marmi. "Oggi le nobili ma vecchie strutture murarie non hanno retto alla pesante copertura, provocando all'interno delle pericolosissime lesioni che immediatamente hanno richiamato un intervento di restauro". "L'inizio dei lavori nell'anno 1989, sono stati finanziati dagli organi regionali preposti con circa £ 200 milioni. Il finanziamento si è però subito dissolto a causa di diverse scoperte. [..] E' stato trovato sotto l'altare maggiore un bellissimo abside, attualmente ancora in studio dalla soprintendenza alle belle arti. [..] Attualmente le funzioni religiose si celebrano in un locale di fortuna ricavato dal Parroco in un vecchio cinema."

Antonello RUGOLO

venerdì 6 dicembre 2013

I papi e la Sardegna

Ho appena finito di leggere un bellissimo libro di Claudio Rendina di cui potete leggere una breve recensione su I papi, storia e segreti.
In questo breve articolo parlerò di alcune informaioni che vi ho trovato sulla storia antica della Sardegna.
Sapevate che vi sono stati due papi sardi?
Ma andiamo per ordine.
Siamo sotto il pontificato di S. Eleuterio (175-189 d.C.), in quel periodo secondo Eusebio di Cesarea la chiesa visse un periodo di tranquillità (era allora imperatore Commodo), ma vi furono comunque dei processi, tra questi fu processato un tale di nome Callisto (che qualche anno dopo diverrà papa).
Callisto era uno schiavo liberato di un banchiere chiamato Carpoforo. Callisto voleva recuperare dei crediti e si recò in una sinagoga per riscuotere. Venne denunciato per disturbo della quiete pubblica e condannato alla fustigazione e ai lavori forzati. La seconda parte della condanna veniva eseguita nelle miniere della Sardegna. Siamo nell'anno 186 d.C.
Qualche anno dopo sarà una matrona romana, Marcia, amante e poi moglie dell'Imperatore Commodo, che riuscì ad ottenere la liberazione di tutti i membri della comunità cristiana cui apparteneva che si trovavano in quel periodo incarcerati in Sardegna. Tra questi, non si sa bene come, rientrò anche il futuro papa Callisto.

papa Ilario

Quando Callisto venne eletto papa (217 d.C.) il suo oppositore si chiamava Ippolito che ritiratosi da Roma creò una sua comunità. Tra i diversi gruppi vi furono diatribe e disordini. Callisto venne gettato dalla finestra a seguito di una rivolta popolare, ma qualche anno dopo anche Ippolito fece una brutta fine, condannato all'esilio nel 235 d.C. dall'Imparatore Massimino Trace, assieme al nuovo papa Ponziano, morì in Sardegna nel 237 d.C..

Occorre attendere altri due secoli prima di vedere sul soglio pontificio il primo sardo, Ilario (461-468 d.C.). E' definito un papa debole, di scarsa personalità, comunque di fatto affrontò l'Imperatore Antenio, colpevole di appoggiare una setta eretica guidata da un tale Filoteo. Il papa proibì all'imperatore di entrare in San Pietro fino a che non assicurò la soppressione del gruppo di eretici. Certo non era come San Leone Magno, il suo predecessore, ma non era neanche una mammoletta.
Affrontò i problemi causati dalla chiesa della Gallia e si occupò di abbellire molte delle chiese di Roma, di costruire biblioteche e oratori. Morì il 29 febbraio del 468 d.C. e fu sepolto in San Lorenzo fuori le mura.
Pochi anni dopo viene eletto un secondo papa sardo, Simmaco (498-514 d.C.).
papa Simmaco
Alla morte del papa Anastasio II a Roma si formano due fazioni, una più ortodossa guidata dal senatore Fausto che elesse papa Simmaco; un'altra fazione guidata dal console Festo che elesse l'arciprete Lorenzo. Le elezioni avvennero lo stesso giorno, il 22 novembre del 498 d.C.
Come al solito, da buoni religiosi, la parola passò alle armi e Roma divenne luogo di scontro (come per quasi tutte le elezioni papali!). Per cercare di risolvere la situazione ci si rivolse a Teodorico (re degli Ostrogoti e d'Italia) che da Ravenna sentenziò che la nomina dovesse andare a chi era stato eletto per primo o a chi aveva avuto la maggioranza dei voti. In questo caso Simmaco fu favorito, anche se vi furono dei sospetti di corruzione.
Per cercare di risolvere il problema delle elezioni papali, il primo marzo del 499 Simmaco convoca un concilio in cui si stabilisce che è vietato impostare trattative elettorali all'insaputa del papa in carica e prima della sua morte. Il papa inoltre ha diritto di scelta del successore. In caso di morte improvvisa del papa e di mancanza di indicazioni, sarà papa colui che avrà raccolto i suffragi del clero o la maggioranza dei voti. Un bel tentativo di cercare di limitare gli scontri, ma semplicemente uno dei tanti, infatti per quasi ogni elezione gli scontri si ripeterono, più o meno lunghi e sanguinari.
Papa Simmaco non doveva essere proprio un santo infatti pochi anni dopo, nel 501 fu denunciato al re per vari reati legati all'uso dei beni della chiesa e alle donne. Simmaco, forse sentendosi colpevole, scappò e Teodorico nominò un reggente per la chiesa: Pietro di Altino. Ma il caos proseguiva così i Vescovi si riunirono e decretarono che "nessuno aveva l'autorità di giudicare il vescovo di Roma per cui le accuse dovevano essere rimesse al giudizio di Dio". Ma l'opposizione non cessò, Lorenzo faceva il papa e Simmaco restava rinchiuso in San Pietro, attendendo tempi migliori.
Il re, seccato dai continui disordini, decise di prendere in mano la situazione e decise a favore di Simmaco che venne posto nuovamente sul soglio pontificio. Simmaco si occupò anche di abbellire diverse chiese di Roma. Morì il 19 luglio del 514.
La Sardegna viene nominata nuovamente intorno al 685 quando, sotto il papato di Giovanni V, il vescovo di Cagliari perde il diritto di nomina dei vescovi dell'isola, che rientrò nella giurisdizione di Roma.
Bisogna attendere al 817 d.C. per sentire nuovamente parlare della Sardegna. Viene eletto papa Pasquale I (817-824 d.C.). L'elezione dei papi in quel periodo veniva sottoposta all'approvazione dell'imperatore, in quel tempo Ludovico, che sancisce l'elezione con un diploma (Pactum cum Paschali pontifice) che dimostrerà in futuro la sua enorme importanza essendo uno dei documenti della storia pontificia che attraverso abili falsificazioni che forniranno supporto alle rivendicazioni territoriali della chiesa. Il papa infatti avrebbe ricevuto in dono da Ludovico il Pio non solo Roma con il suo Ducato e tutte le terre già oggetto di donazione da parte di Pipino e Carlo Magno ma anche la Calabria, Napoli, la Corsica, la Sardegna e la Sicilia, senza tener conto l'esistenza dell'Impero bizantino sotto il cui dominio si trovava Napoli, Calabria, Sicilia e Sardegna. Quindi, secondo questi documenti la Sardegna passa sotto la Chiesa nell'817 d.C.!
Quelli erano tempi bui per i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo, infatti i Saraceni usando anche delle basi in Sardegna attaccavano il Porto di Roma. Siamo sotto Leone IV (847-855 d.C.), e i papi dovettero inventarsi anche condottieri!
Qualche secolo dopo sarà Benedetto VIII (1012-1024 d.C.) a prendersi carico del problema dei Saraceni. Questi dopo aver minacciato Salerno attaccarono Pisa mettendola a ferro e fuoco. Benedetto VIII nel 1016 organizzò una flotta capeggiata dal padre, mentre lui guidava le truppe di terra riportando una grande vittoria. I saraceni si ritirarono in Sardegna ma la flotta (in lega con le città di Pisa e Genova) riuscì a snidare gli infedeli e a liberare definitivamente l'isola, che da allora diventò colonia pisana (anche se non tutta!).
Per sentire nuovamente parlare di Sardegna occorre attendere l'arrivo di Federico II che, cercando di unificare l'Italia contro gli interessi della chiesa, sotto papa Gregorio IX (1227-1241 d.C.), intorno al 1238 concesse al figlio Enzo in occasione del suo matrimonio con la vedova del Giudice di Torres e di Gallura, il titolo di re di Sardegna, nonostante le rivendicazioni della chiesa.
Questo fatto diede molto fastidio al papa che nel 1239 scomunicò nuovamente Federico II...
Purtroppo mi devo fermare, in quanto non ho ancora trovato il seguito del libro, ma prometto di proseguire non appena possibile!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 ottobre 2013

La Sardegna nel Dittamondo di Faccio degli Uberti

Faccio (o Fazio) degli Uberti fu un poeta didascalico fiorentino del 1300 (1305-1367) vissuto quasi da profugo tra una corte e l'altra del nord Italia.
Autore, fra l'altro, di un'opera didascalica chiamata "Dittamondo", in cui racconta il suo personale viaggio nel mondo conosciuto compiuto in compagnia di un geografo antico, Solino (III sec. d. C.).
Lascio a chi ha voglia e tempo il piacere di leggere tutto il libro alla ricerca, magari, di notizie curiose sul proprio paese di origine e mi concentro su ciò che Faccio dice della mia Isola, la Sardegna, riportandovi di seguito ciò che egli scrisse:

"Molto sarebbe l'Isola benigna
più che non è, se per alcun mal vento
che soffia ivi, non la fesse maligna.

Ivi son vene, che fan molto argento,
li si vede gran quantità di sale,
ivi son bagni sani com'unguento.

Non la vidd'io, ma ben l'udio da tale,
a cui do fe, che v'era una fontana,
ch'à ritrovar i furti molto vale.

Un'erba v'è spiacevole e villana,
la qual gustata senza fallo uccide,
et così come è rea è molto strana,
che in forma propria d'huomo quando ride
gli cambia il volto, e scuopre alcuanto i denti,
si fa morto già mai non si vide.

Securi son da lupi, e da serpenti,
la sua lunghezza par da cento miglia,
e tanto più quanto son venti, e venti.

Io viddi, che mi parve meraviglia
una gente ch'alcuno non l'intende,
né essi sanno quel ch'altri bisbiglia.

Vero è, che s'altri di lor cose prende,
per darne cambio, in questo modo fanno,
ch'una ne toglie, et un'altra ne rende.

Quel che sia Cresime, e Battesimo non sanno,
le Barbace gliè detto è in lor paese,
in secura montagna e forte stanno.

Quest'Isola dal Sardo il nome prese,
la qual per se fu nominata assai
ma più per buon padre onde discese.

Un picciol animal quivi trovai,
gli abitanti lo chiaman Solefuggi,
perché al sol fugge quando può più mai.

E poniam che fra lor serpi non bruggi,
pur nondimeno à la natura piace
che da se stessa alcun verme lo fuggi.

Sassari, Buosa, Callari, e Stampace,
Arestan, Villa Nuova, et la Lighiera,
che le sue parti più dentro al mar giace.

Quest'Isola, secondo che si avera,
Genova, et Pisa, al Saracin la tolse,
laqual sentiron con l'haver, che v'era,
el mobil tutto à Genovesi tolse,
et la Terra a Pisani, et furon quivi
infin che Raganesi ne gli spolse.

Et più in giù,
parlar'uddimo, e ragionar all'hora,
che v'è un bagno, il quale ripara,
et salda ogni osso rotto in poco d'hora."

Ecco, il testo è finito, se volete leggerlo dall'originale lo trovate nel Dittamondo al libro III, canto dodicesimo.

Un saluto e a presto,

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 9 settembre 2013

Visita a Capo Testa (Santa Teresa di Gallura - Sardegna)


Nel nord della Sardegna, sulle bocche di Bonifacio, si sporge nel mare una lingua di roccia granitica, chiamata Capo Testa.
 
Sulla cima di un promontario il faro aiuta i viaggiatori del mare a oltrepassare indenni questa pericolosa striscia di mare.
 Dall'alto si gode uno stupendo panorama, rocce granitiche e verdi arbusti fungono da cornice allo splendido azzurro mare spumeggiante.
 Sapientemente lavorate dalle onde, rocce di ogni forma accompagnano il viaggiatore, sempre attento a non mettere il piede in fallo.

 Sagome fantastiche animano il promontorio, sussurrano ai venti le loro preghiere per i marinai, i loro canti, talvolta, simili alle sirene di Omero e ugualmente pericolosi.
 Di fronte agli occhi si trova un paesaggio stupendo e selvaggio
 Fatto di colori accesi e brillanti
 Il faro è una sagoma irreale in mezzo alle rocce, unico punto di salvezza.
 in mezzo alla immensità blu di Bonifacio, così pericolosa quanto bella
 Le rocce sapientemente lavorate dalle onde assumono forme orrorifiche, di mostri antichi scomparsi

 cumuli enormi di granito, terribilmente duro
 le onde si infrangono sugli scogli, la spuma bianca raggiunge il volto di chi osserva da lontano con la sua freschezza
 Sagome silenti osservano
 altre vigilano minacciose...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 8 settembre 2013

La foresta pietrificata di Martis (Sardegna)

Tra i percorsi possibili in Sardegna ve ne sono alcuni paleobotanici. Uno di questi porta nelle campagne di Martis (piccolo comune dell'Anglona, in provincia di Sassari) dove è possibile vedere ciò che resta di una antica foresta pietrificata.
Si può arrivare in macchina fino a poche centinaia di metri dal terreno, seguendo le indicazioni lungo la strada nei pressi del paese.

Lo spettacolo è particolare, un po perchè questi tronchi non sembrano far parte della vegetazione dell'Isola,

un po perchè qualcuno ha avuto la bella idea di ammucchiarli l'uno sull'altro!
I tronchi dovevano essere composti di diversi strati concentrici, forse di diversa consistenza visto l'effetto post pietrificazione.
La maggior parte infatti sono cavi, come se solo la parte esterna più resistente sia riuscita a sopravvivere al tempo e alle intemperie.

Solo alcuni tronchi mostrano ancora la parte interna, che sembra comunque differente.

Come è possibile vedere da queste foto.


Alcuni tronchi sembrano quasi dei grossi funghi o dei cespugli pietrificati.
Cosa può essere accaduto?
E quando?
Non saprei, potrei pensare che anche questa foresta si sia formata contemporaneamente alle altre, quella di Perfugas, poco lontana, o quella di Zuri-Soddì, in provincia di Oristano, ma preferisco ammettere che non ho alcuna idea del periodo in cui si sia formata e purtroppo le informazioni nel sito sono inesistenti.

Posso solo immaginare che una qualche catastrofe ambientale, un allagamento o un diluvio, avvenuto in tempi antichi, abbia causato la trasformazione.

Nel sito si possono notare dei lavori incompleti,


alcune stradine sterrate e delle strutture in legno il cui significato mi sfugge





Questo è forse uno dei tronchi più particolari e grandi, come ho già detto sembra più un cespuglio o un grande cactus.

Invito i responsabili dell'area ad aggiungere qualche cartello con un minimo di spiegazioni e cercare di proteggere i tronchi per evitare che il tempo se li porti via. Non sempre è necessario spendere milioni di euro per preservare il passato...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 7 settembre 2013

Visita a Tharros

Tharros è una delle antiche città della Sardegna, purtroppo, come per tutti i siti archeologici dell'isola, la sua storia è incerta.


E' una città costruita su differenti livelli da differenti popolazioni o civiltà.
Sulla collina si vedono ancora i resti di un villaggio nuragico, sulla costa invece i resti della città romana e forse della precedente città fenicia.


Si pensa che i fenici vi si siano insediati sulla base del ritrovamento di un tophet ricco di urne, probabilmente spostate presso il vicino museo di Cabras.

Sembra comunque certo che la città sia molto antica e che il porto dovesse essere importante e molto conosciuto anche perchè doveva fornire un ottimo rifugio alle navi di passaggio in caso di mare in tempesta, cosa abbastanza frequente in quel tratto di mare.


La città fu utilizzata fino a circa l'anno mille, allora era la capitale del giudicato di Arborea. Ora è purtroppo in pessime condizioni e non credo che potrà migliorare.


Sul promontorio che la sovrasta si trova anche una splendida torre, da questo punto è possibile godere dello splendido panorama offerto dal mare color smeraldo, usata per l'avvistamento dei nemici saraceni.

Il biglietto per la visita del sito comprende anche l'ingresso al museo di Cabras, che purtroppo non sono riuscito a visitare.
Cabras comunque merita una visita, almeno per gustare la ottima bottariga di muggine che vi viene prodotta!
Buon viaggio a tutti e arrivederci alla prossima gita.

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

domenica 5 maggio 2013

Procopio, la guerra gotica: sulla Sardegna

Ancora una piccola curiosità sul testo di Procopio sulle guerre gotiche.
Riguarda la Sardegna e alcune tradizioni quali il nome antico e il riso sardonico.
Voglio riportarvi il testo di Procopio, sicuro che troverò qualche curioso che andrà a leggersi l'intero libro. Siamo intorno al 552 d.C. e la guerrra contro i Goti di Totila è ormai al termine.
Procopio dice che intorno all'anno 17 dall'inizio della guerra...
 
        "Totila, proponendosi di occupare le isole attinenti all'Africa" - in quel periodo infatti Sardegna e Corsica dovevano essere inserite nella provincia romana dell'Africa - "radunata una flotta e postovi sopra un esercito conveniente, la spedì verso la Corsica e la Sardegna.
Coloro dapprima approdarono in Corsica e, niuno facendo resistenza, s'impadronirono dell'isola. Poscia occuparono anche la Sardegna. Ambedue le isole Totila fecesi tributarie. Saputo ciò, Giovanni che comandava le truppe romane d'Africa, spedì una flotta con molti soldati in Sardegna.  
Questi, giunti presso la città di Cagliari e accampatisi, proponevansi di porvi assedio, poichè non si credevano in grado di darvi assalto essendo colà un considerevol presidio di Goti. Appena sepper la cosa, i barbari, sortiti dalla città, improvvisamente piombarono addosso ai nemici e, messili facilmente in fuga, molti ne uccisero. I rimanenti fuggiti via ripararono pel momento sulle navi e poco dopo, salpati di là, recaronsi a Cartagine con tutta la flotta. Ivi rimasero a svernare, proponendosi di tornare al principio di primavera con maggiore apparato contro la Corsica e la Sardegna..."
 
In questa prima parte Procopio ci racconta uno spaccato della guerra combattuta dai romani (d'Oriente, in quanto l'Occidente era ormai scomparso sotto le macerie delle guerre!) contro i Goti che avevano occupato anche le isole. La Sardegna non doveva essere troppo abitata, anch'essa era stata teatro di guerre. Pochi anni prima, intorno al 535 d.C., era stata invasa dai Vandali...
Ma ora proseguiamo a leggere Procopio, che ci da alcune informazioni sulla Sardegna antica...
 
      "Sardò è il proprio nome di questa che chiamasi ora Sardegna."
 
Ecco che dalle nebbie sorge il ricordo di un antico nome dell'Isola...
 
       "Ivi nasce un'erba che agli uomini che la gustano produce subito letal convulsione di cui muoion poco dopo. E la convulsione produce in essi l'apparenza di certo riso che, dal nome del paese, vien chiamato sardonico."
 
E questo è quanto!
Finisce con la spiegazione del detto "riso sardonico" la digressione di Procopio sulla Sardegna...

E per ora anche per me è tutto!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 28 dicembre 2012

Revue des deux mondes - Ricordi dell'isola di Sardegna (Parte prima)

Per caso, come tante altre volte, mi è capitato per le mani un volume della Revue des deux mondes, del primo febbraio 1863 e sfogliando le pagine rovinate dal tempo, mi sono imbattuto in un articolo che ha attirato la mia curiosità, "Souvenirs de la Sardaigne" del Conte di Minerva.
Naturalmente ho acquistato la rivista e mi sono tuffato immediatamente nella lettura.
Non ho tardato tanto ad accorgermi che questo pezzo rappresentava un prezioso ricordo delle tradizioni della Sardegna così, ho deciso di tradurlo e renderlo fruibile a chi è interessato alla storia dell'isola, ai suoi costumi e alle tradizioni.
Non so se quanto vi è raccontato sia tutto vero o quanta parte sia invece romanzo, ma credo che in ogni caso ognuno di voi lettori potrà trovarvi qualcosa d'interessante.

Ricordi dell'isola di Sardegna
del Conte di Minerva
(Parte prima)
 

Un ricco armatore genovese divenuto proprietario in Sardegna m'invitò, pochi anni orsono, a passare qualche settimana nelle sue terre del Campidano di Oristano, uno dei distretti dell'isola tra i più selvaggi. Io colsi al volo l'occasione che mi fu offerta di osservare la vita patriarcale in uno dei rari paesi d'Europa in cui ancora vi trova rifugio.
Questi paesi, a dir la verità, sono la disperazione dei viaggiatori, e se un caso fortuito non ha loro consentito di entrare nel focolare, di penetrare nella loro intimità, essi (viaggiatori) se ne allontanano lasciandosi alle spalle diverse incongruenze, diversi contrasti inspiegabili.
Non fu così per me, il rapido soggiorno che passai in seno alla famiglia del signor Feralli (questo era il nome dell'armatore genovese) m'insegnò più sui costumi sardi di quanto non avrei potuto imparare per mezzo di lunghe giornate di viaggio per l'isola.
Fu all'inizio di aprile del 1857 che mi imbarcai sul battello che fa la spola tra Genova e Porto Torres, il porto settentrionale dell'isola. Il signor Feralli, il mio ospite, abitava normalmente a Villanova Monteleone, piccola cittadina che dista da Porto Torres otto o dieci ore di marcia. Informato del mio arrivo si sarebbe dovuto recare a Porto Torres.
La notte era prossima quando arrivammo in vista della costa sarda, debolmente ondulata, che scompariva sempre più nelle ombre crescenti (della notte). Un brusio confuso giungeva ancora da terra: era il mormorio della vita che si risvegliava dopo le ore calde d'un giorno di primavera; ma il brusio cessò non appena entrati in porto. La notte era calata e dovemmo rimandare lo sbarco all'indomani.
Il sole si era appena levato quando sbarcammo in mezzo ai numerosi gruppi di perditempo già fermi sulla banchina .
La mia attenzione venne Immediatamente attirata dalla fisionomia e dal costume d'un cavaliere che, in piedi vicino al suo cavallo, sembrava cercare qualcuno tra i passeggeri. Si trattava di un giovane uomo di circa venticinque anni, dal colorito abbronzato, gli occhi neri, la barba lunga e setosa. Aveva il capo coperto da una sorta di cuffia frigia di colore scuro. I suoi capelli erano suddivisi in due enormi trecce che si riunivano sulla fronte. La tunica in pelle di cervo senza maniche che dalle spalle scendeva fino alle ginocchia era stretta ai fianchi con una cintura in cuoio alla quale era appeso un pugnale ricurvo: appresi più avanti che questo vestito si chiamava "collete", oggi se ne vedono solo raramente nel nord dell'isola. Del giustacuore, o corytu, ricoperto dalla collete, non si vedevano che le maniche violette con le cuciture scarlatte e ornate, dal polsino al gomito, da una guarnizione di bottoni in metallo cesellato. La collete lasciava apparire anche i bordi d'una giubba di drappo nero, o rhagas, qualcosa di mezzo tra la fustsnella albanese e le brache francesi del XVII° secolo, poi un pantalone gonfio in tela fine bloccato al disotto del ginocchio da ghette di drappo nero (borzeghinos) guarnite da bottoni di metallo e ornati di nastri blu che li serravano alle caviglie. Delle placche d'argento cesellato, incrostate di corallo, scintillavano sul collete come sulla cintura. L'insieme di questo costume offriva, come è facile capire, un mix singolare di ricchezza e di semplicità...
 
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 22 novembre 2012

I Sardi diffusori dell'agricoltura in Europa

Dal sito dell’American Society of Human Genetics, prendiamo un intervento all’annual meeting del 2012 (6-9 novembre) tenuto dal primo autore della ricerca (cui concorsero 19 scienziati) Martin Sikora, genetista alla Stanford University. Il dr. Sikora rilasciò anche una intervista a LiveScience il 9 Novembre. Qui il succinto compendio dell’insieme. Titolo della ricerca: Sulla stirpe sarda dell’Uomo di Ghiaccio del Tirolo.   

Il completo genoma della mummia dell’Uomo di Ghiaccio del Tirolo (Oetzi, ndr), vecchia di 5300 anni, ha permesso nuove prospettive su sua origine e parentela, con le popolazioni moderne dell’Europa. Si usarono, dati provenienti dalla sequenza dell’intero genoma di 452 individui sardi e dati disponibili pubblicamente, per confermare che l’Uomo di Ghiaccio è il più strettamente imparentato con i Sardi di oggi. Inoltre, la comparazione di questi dati, con altri del DNA di: un cacciatore-raccoglitore trovato in Svezia, un contadino trovato in Svezia, un cacciatore-raccoglitore di 7000 anni fa, travato in Iberia a m.1500, un uomo dell’Età del Ferro trovato in Bulgaria, ha confermato che, fra le popolazioni moderne, i Sardi sono quelli più strettamente imparentati con Oetzi. Ed inoltre, Oetzi rassomiglia più strettamente ai contadini, trovati in Bulgaria e Svezia, mentre i cacciatori-raccoglitori trovati in Svezia e Spagna, sembrano assomigliare di più agli odierni abitanti dell’Europa Settentrionale. Inoltre il Sikora ha dichiarato:

«Le scoperte supportano l’idea che, gente migrante dal Medio Oriente, lungo tutto il cammino fino all’Europa Settentrionale, portò seco l’agricoltura e si mischiò con i cacciatori-raccoglitori nativi, dando luogo ad un’esplosione demografica. Mentre le tracce di queste antiche migrazioni sono largamente andate perdute nella maggior parte dell’Europa, i Sardi isolani rimasero più isolati e pertanto trattennero un maggior numero di tracce genetiche di quei primi contadini Neolitici».

Nostro commento.

Questa dichiarazione è destinata a stravolgere tutta la storia dell’Europa. Infatti, il dr. Sikora dice: due gruppi etnici, uno stanziato nell’Europa e l’altro in continuo transito in essa, diedero luogo alla procreazione di una discendenza fatta di cacciatori-raccoglitori e di contadini. Inoltre, i cacciatori-raccoglitori sono geneticamente imparentati con gli odierni Europei settentrionali, mentre i contadini, sono imparentati geneticamente con i Sardi di oggi. Secondo la teoria, i genitori di questa discendenza farebbero capo, gli uni ai cacciatori-raccoglitori già presenti in Europa, gli altri, come natura vuole, alle popolazioni che erano in transito, essendo una di esse, obbligatoriamente, di etnia sarda, cioè Sardi. D’altro canto, non vediamo altro modo di inserire gli abitanti dell’isola di Sardegna (che i ricercatori pensano per di più isolata), in un qualsiasi tratto del percorso «dal Medio Oriente lungo tutto il cammino fino all’Europa settentrionale». Ben al di là della fossile dichiarazione, che vede i Sardi isolati in modalità sempiterna, un minimo raziocinio dovrebbe indicare che, se i Sardi fossero stati davvero isolati, sarebbe stato impossibile contattarli. Si deve arguire che in Sardegna, non potette esservi nessun contatto genico con i portatori dell’agricoltura che transitavano nell’Europa centrale provenienti dall’Oriente. Riteniamo, paradossale sostenere che, pur essendo stata l’Europa attraversata dai portatori dell’agricoltura, proprio in quella Europa siano “largamente assenti tracce geniche”. Ci si rende conto essere stato (nel caso) tale lunghissimo passaggio, della durata di un centinaio di generazioni? Al contrario, ciò sembra dimostrare essere “largamente assente” la prova di tale migrazione. Ed è proprio in quell’altra direzione che si deve guardare per avere la elettrizzante risposta che questa ricerca ci ha consegnato. Ci preme però conferire al presente documento, qualche testimonianza sulla scoperta della plurimillenaria presenza dei Sardiani (come chiamiamo gli antichissimi Abitatori dell’Isola), nel continente europeo.

- 12200-10300 anni fa - i Sardiani portavano loro ed altrui ossidiana al Riparo Mochi e Arma dello Stafanin, in Liguria

- 6700-5200 anni fa - la presenza nella Grotta della Tartaruga (Trieste) di ossidiane portate da navi sardiane e di ossidiane portate da individui provenienti dai Monti Carpazi, ci permette di inferire che l’incontro tra Sardiani e Carpatici - forse propedeutico all’arrivo dei Sardiani nella Valle del Danubio -  precedesse questo momento 

- 6700-6000 anni fa - a Cuccuru S’Arriu, Cabras (Oristano) e Mara (Sassari), si riscontrano già forme umane danubiane; in questa ultima grotta “soltanto i resti femminili” vengono attribuiti alla tipologia danubiana. Ciò prova che i Sardiani arrivarono sul Danubio prima di 6700 anni fa.   

- 6000-5200 anni fa - a Lu Maccioni, Alghero (Sassari) si riscontra la presenza di forme danubiane 

- 4500-4200 anni fa - a Serra Cabriles, Sennori (Sassari), si riscontra una morfologia danubiana quasi pura

- 4700-3900 anni fa - i prodotti della cultura Campaniforme sarda sono strettamente imparentati, sotto il profilo stilistico, ai prodotti della cultura Campaniforme danubiana e Vinča

-  questo scambio, quasi contrattualizzato nei millenni, di elementi culturali, materiali ed umani fra le due aree dell’Europa, poté essere il naturale supporto alla industria metallurgica sardiana. Ad essa necessitava quell’abbondanza di stagno presente in Boemia. L’analisi di un campione di scoria di un  lingotto di Isili (Nuoro) ha fornito indicazioni di una miscela di rame sardo con minerale boemo. L’analisi di braccialetti da Vetulonia fa ricadere questi bronzi nel diagramma riguardante la Boemia: la qual cosa induce a credere che i bracciali fossero provenienti da un’officina fusoria della Sardegna, come dimostrano i numerosi bronzi sardi trovati in Etruria e soprattutto la plurimillenaria dipendenza culturale, ben ampiamente documentata, nei riguardi della Sardegna, di tal area.

- 5200-4200 anni fa - in Sardegna, il più antico reperto bronzeo, rappresentato da una lama di bronzo (di pugnale?), fu rinvenuto in una tomba di Mesu ‘e Montes, Ossi (Sassari).

Conclusioni. Circa la professionalità, messa in atto dall’uomo nel saper andare per mare, ricordiamo come i Sardiani si fossero costruiti tale capacità almeno fin da 14.350 anni fa nel circumnavigare il Mediterraneo, gli Indonesiani almeno da 60.000 anni fa nell’attraversare il Mare di Timor. Tuttavia gli studiosi, tutti, nulla sapendo di ciò, hanno immaginato il diffondersi dell’agricoltura, soltanto attraverso un percorso  per via di terra. Invece, qualche esperienza elucubrativa, ci convince che essa si diffuse anche (e soprattutto?) lungh’essa la superficie del mare. E, quali popolazioni operarono questa diffusione? Tutte quelle che avevano accumulato attraverso millenni di esperienza, una maestria di andare pel mare con la stessa naturalezza di cui si serve il contadino per spostarsi sulla terra. E, dove portavano a riprodurre tale nuova metodologia atta a procurarsi sicuro ed abbondante cibo? Proprio nelle vicinanze dei punti di approdo. Di qui, prendeva luogo, col tempo, la diffusione per via di terra, per il mezzo della migrazione verso terreni più ampi e fertili. Possiamo escludere che l’agricoltura arrivasse nella valle del Danubio, attraverso quella via naturale di penetrazione percorsa anche dai Sardiani che, dal luogo dell’odierna Trieste, portava al luogo dell’odierna Bratislava? Possiamo escludere che a portare l’agricoltura nella valle del Danubio, attraverso quella via, fossero proprio i Sardiani? No. Non ci sentiamo di escluderlo. Quindi, se vi fu (lo si dimostrerà?) una diffusione di agricoltura che, come un largo fiume congiunse l’Oriente con la Scandinavia, vi furono certo moltissimi altri canali di trasferimento dell’agricoltura, dai punti d’approdo del notevole naviglio che solcava tutto il Mare Mediterraneo (forse non il Mare Nero), fin verso i più recessi interni di tutti i territori retrostanti! 

Ove il Sikora, o altro scienziato, dovesse confermare la sua asserzione di trasferimento dell’agricoltura attraverso l’Europa da parte di genti di sarda etnia, noi confermeremo doversi ricorrere anche  alla via marina per giustificare la presenza di Sardi del Neolitico nell’antica Europa. Sardi provenienti direttamente dalla Sardegna? In parte, forse, si. Sardi provenienti dall’Armenia? In parte, forse, si.
Mikkelij Tzoroddu
(per approfondire visita www.sardegnastoria.it)