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martedì 3 giugno 2008

Vivere o morire?

Testamento biologico?!
Di che cosa si tratta?!?
Non ne ho mai sentito parlare cara...

Certo, sei sempre al lavoro, scommetto che è anni che non senti un telegiornale... a casa non stai mai con me a vedere la TV!

Ma cara, lo sai, il mio lavoro...

Certo, certo, non hai tempo, lo so!
Ma pensi forse che la vita duri per sempre?
E se ti accadesse un incidente?
E se restassi paralizzato per tutta la vita? Eh?!?
Dimmi, che faresti? Scommetto che cercheresti il modo di lavorare lo stesso!

Ma cara...

Cara, cara, cara... non sai dire altro?!?
Sono stanca, stufa... cerca di vivere... basta!
Devi scegliere, o me o il lavoro!

Ma cara, che c'entra ora... dai, su, che dici... ti prometto...

Prometti? Tu prometti?
E come, di grazia, come l'ultima volta forse?
La settimana scorsa... ma che parlo a fare, dalla faccia si capisce che neppure ricordi che tuo figlio aveva i colloqui a scuola... ma tu eri al lavoro!
Oppure prometti come la volta prima... dovevamo passare il fine settimana da tua madre... poverina lei che ci ha creduto! Ma a te che interessa... tanto poi ho dovuto chiamarla io per dirle che non andavamo più! Era il suo compleanno e sai quanto sia sola dopo la morte di tuo padre... si è messa a piangere... E tu, tu, dov'eri?!?
Ancora al lavoro... e per cosa poi? Siamo forse ricchi?!?
Non mi sembra...

Ti prego cara, non fare così, non piangere...

Hai ragione, per una volta... non devo piangere, devo essere forte... e se devo essere forte, allora ne deve valere la pena. Sai che ti dico? io me ne vado da mia madre! Il bambino viene con me, tu intanto rifletti... se puoi...
Fammi sapere, ma non aspettare troppo...

Ma dove vai... torna indietro... piove...

Ecco, signor giudice, quella fu l'ultima volta che parlai con mia moglie. Uscendo di casa prese la macchina e, con nostro figlio, si diresse verso la casa della madre che abita qualche chilometro più a valle. A metà strada finì sul guardrail, da allora è in coma... Il bambino se l'è cavata ma lei ha subito un grave trauma cranico ed è ancora in vita solo grazie alle macchine e alle cure mediche. Se si rispettassero le sue ultime volontà, come scritto sul suo testamento biologico, lei morrebbe. Ed è questo che io chiedo, è questo che io e mio figlio chiediamo, signor giudice... che vengano rispettate le ultime volontà di mia moglie... Se pure dovesse riprendersi, i medici sostengono che la sua vita sarebbe quella di un vegetale... che richiederebbe assistenza continua da parte mia e di mio figlio... e, capisce signor giudice, come la cosa sia impossibile... sa, signor giudice, io non posso... devo lavorare!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 31 maggio 2008

Domani (2007)

Fissa un tempo che non esiste
L’immagine e le parole sono
La notte breve e il sogno
La strada segnata del ritorno.

Ascolta la casa e il silenzio
Non passa nelle porte aperte
Ristagna aspettando un sempre
L’ultima fila degli scaffali.

Guarda il tempo attraverso
Un ponte che non ho valicato
Profumi sulle siepi dipinte
Il fastidioso ronzio degli insetti
Sospingi l’attesa di ore
E finalmente l’amore
È il senso che dà la vittoria
Il domani esiste.

Giuseppe MARCHI

sabato 24 maggio 2008

Quando ero bambino...

Mi muovo tra i vicoli del mio paese, Gesico, ricordando...

Case piccole, di pietra, fango e paglia, ladini,
mi riportano nel passato...

Quante corse per quelle strade,
percorse, allora, da enormi mucche,
spaventose per me bambino...

La finestrella nella parete di fronte,
e il velo nero di una vecchietta che non conosco,
mi ricordano nonna Cenza,
col suo nero vestito e la sua vita triste...
e la sua morte...

Nuove costruzioni,
dove un tempo ce n'erano di vecchie
e piazze e cortili e chiese...
sette chiese per mille anime...

E l'asilo, maledetto e mai finito,
casa buona solo per uccelli...
sempre uguale, oggi come ieri!

E per le strade quasi nessuno,
come un paese che muore, lentamente...

Poi, l'estate, si rianima delle voci degli emigrati
che tornano a trovare i parenti,
bambini chiassosi corrono per le strade
sotto i lampioni, la sera...
di fronte ai grandi seduti sull'uscio,
sulle stesse sedie di legno e paglia
dei loro genitori e dei loro nonni...

E Gesico rivive...
per un istante lungo un'estate...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

L'invasione

L'uomo guardava incredulo...
di fronte a se migliaia di esseri apparivano dal nulla, tutti diversi ma ugualmente mostruosi.
Vicino a lui un gruppo di ragni enormi si contendeva il teschio del suo vicino... dopo averlo staccato dal collo con un solo colpo d'artiglio, affilato come una falce...
Erano sempre più vicini e l'uomo continuava a fissarli, con gli occhi sbarrati e un filo di bava che colava dalla bocca... Li sentiva distintamente, come fossero enormi insetti, ripugnanti insetti dalle forme spaventose, con le loro zampette troppo cresciute...
Poi reagì, imbracciò il fucile e cominciò a sparare di fronte a se. Uno, due, tre colpi e poi ancora... tanto aveva una scatola di cartucce a pallettoni!
Li vedeva cadere a terra,... schizzi di sangue ovunque...
Poi, ecco, l'ultima cartuccia...
L'uomo caricò il fucile, ancora una volta... l'ultima!
Si portò la canna alla bocca...
Pezzi di cervello e ossa vennero proiettati violentemente sul soffitto...
Due bottiglie di whisky vuote sul pavimento.
Una famiglia sterminata a colpi di falce e di fucile.
Questo il risultato dell'ultima bravata di G, alcolizzato e tossicodipendente del quartiere...
Una strage!
Così riportava il titolo del giornale del paese, sulla prima pagina... il giorno dopo!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

Nuraghes...

Mi aggiro silenzioso,
tra mura gigantesche di roccia scura,
testimoni di un grandioso, sconosciuto passato...

Varcata la soglia di pietra,
il silenzio mi assale e l'anima vola
come chiamata dalle ombre del passato,
il passato di un popolo misterioso...

Le torri cave, i nuraghes,
strumenti di viaggio nel tempo,
di colpo mi sento uno di loro,
anche senza conoscerli...

Sento sulle spalle millenni di civiltà,
ora scomparsi anche dai ricordi dai ricordi dei vecchi,
tanti sono...

Eppure li sento vicini,
percepisco la presenza delle loro anime,
prigioniere di quelle rocce possenti,
alla ricerca di chi un giorno
restituirà loro la storia
negata dal tempo e dagli uomini...

Nuraghes...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

Il ritorno...

Scrivevo da anni sul gazzettino del paese, solitamente mi occupavo di cronaca ma certe volte mi capitava di intervistare qualche compaesano famoso... il sindaco, il prete... oppure il Comandante della locale stazione dei Carabinieri...
Qualcuno potrebbe pensare che il lavoro di un giornalista di paese sia noioso e, diciamo così, insulso... e, fino a quel momento anch'io la pensavo così!
Poi però qualcosa cambiò.
Un giorno si trasferì da noi un distinto signore, che chiamerò il signor P., di mezza età, ben vestito, gentile con tutti e molto riservato.
Comprò una vecchia casa nella piazza Roma, al numero 5, e la rimise a nuovo senza badare a spese...
Quando i lavori furono terminati i vecchi del paese, abituali frequentatori dell'unica panchina della piazza, cominciarono a mormorare... e ciò non era normale!
Da buon giornalista mi resi subito conto che qualcosa era accaduto, così un giorno, di buona mattina, mi sedetti su quell'unica panchina e stetti ad aspettare.
Non ci volle molto, infatti alle otto in punto i soliti tre anziani (uno dei quali era allora ultracentenario...) raggiunsero la loro solita panchina. Li salutai e loro mi salutarono quindi senza indugi chiesi di raccontare anche a me le novità del giorno... in cambio di un buon bicchiere di vino, naturalmente!
Ogni buon giornalista ha le sue armi nascoste ed i tre vecchietti erano la mia... già in altre occasioni mi avevano fornito notizie interessanti che poi avevo pubblicato sul giornale... ma questa volta sarebbe stato diverso, me lo sentivo...
Si guardarono in faccia, dritti negli occhi che ancora rilucevano tra le rughe profonde... poi abbassarono lo sguardo, immersi nei loro pensieri...
Io aspettavo in silenzio, avevo fatto la mia richiesta e ora non mi restava che aspettare, sapevo che sarebbe stato inutile insistere, anche loro avevano i loro tempi... se avessero voluto raccontarmi qualcosa l'avrebbero deciso loro e se non avessero voluto... beh, c'era poco da fare!
Passammo mezz'ora così, in silenzio, nessuno si muoveva ne parlava... passò ancora mezz'ora, li guardai... erano immobili e non sembrava avessero alcuna intenzione di parlare... peccato, pensai...
Mi alzai, salutai e mi voltai come per andarmene...
"Sezzidia!"
La voce era quella profonda di tziu Terenziu, il più anziano...
Ripresi il mio posto e attesi in silenzio... passarono altri dieci minuti, poi tziu Terenziu cominciò a parlare.
"Tu sei giovane e forse non puoi capire, forse non crederai a quello che ti dirò, ma sappi che è tutto vero...
In quegli anni io ero piccolo, avrò avuto dieci 0 dodici anni al massimo. Tutte le mattine venivo in questa piazza e mi arrampicavo lassù, tra i rami di quell'albero di limoni, lui era già vecchio allora. Mi appollaiavo tra quei rami come un gatto e aspettavo che arrivassero i miei amici per giocare a "pettiasa e cariccia"...
Quella mattina però non arrivava nessuno e io stavo per andar via quando vidi arrivare i grandi, da tutto il paese, armati di bastoni e forconi per il fieno...
Si fermarono in silenzio di fronte alla casa che tu vedi ora rimessa a nuovo. Il più vecchio del paese, tziu Antòi, uscì dal gruppo e poggiato a terra il bastone raggiunse la porta della casa, sollevò il pesante batacchio e colpì più volte. I colpi risuonarono per tutta la piazza, cupi nel silenzio più totale... poi tziu Antòi tornò al suo posto e aspettò...
Pochi minuti dopo la porta si aprì e ne uscì un uomo di mezza età, ben vestito, dalla voce gentile... li guardò in silenzio e loro guardarono lui... non c'era bisogno di parole ed infatti nessuno parlò! L'uomo di mezza età tornò in casa, senza chiudere la porta.
Passarono dieci minuti, credo, quando si ripresentò aveva con se solo una vecchia bisaccia di pelle sulle spalle ed un bastone nodoso nella mano sinistra...
Uscito, chiuse la porta alle sue spalle con una grossa chiave e si diresse verso la folla... mentre passava la gente faceva largo e abbassava lo sguardo come se si vergognasse...
Nessuno disse niente per tutto il tempo e, come erano arrivati, in silenzio tornarono alle loro case...
Poi arrivarono i ragazzi e giocammo a pettia e cariccia... come se niente fosse accaduto!
Ne è passato di tempo da allora, saranno novant'anni, e io sono diventato vecchio senza più pensare a ciò che avevo visto, senza capire cosa fosse accaduto, senza mai più rivedere quell'uomo. Nessuno si avvicinò mai alla casa, che invecchiò con me, e i protagonisti di quella vicenda stanno tutti molto meglio di noi. Poi due mesi fa è arrivato in paese il signor P. E' sceso da un tassì e si è diretto verso la vecchia casa, ha aperto la porta con la stessa grande chiave con qui era stata chiusa novant'anni prima ed è entrato... Io ero seduto in questa panchina e ho visto tutto, come novant'anni prima...
La stessa chiave, la stessa casa, la stessa persona...
Tziu Terenziu aveva finito il suo racconto... mi fissò per un attimo e poi abbassò lo sguardo. Mi alzai, salutai e andai via.
Il racconto mi aveva colpito e inquietato... secondo tziu Terenziu il signor P. era la stessa persona che novant'anni prima aveva lasciato il paese... assurdo! Pensai.
Passai dal bar e lasciai pagato il vino, convinto di aver buttato i miei soldi...
Il tempo passò, tziu Terenziu raggiunse i suoi avi alcuni anni dopo, alla veneranda età di cento sei anni e il signor P. continuava la sua vita ritirata... Poi anch'io sono invecchiato, oggi compio ottant'anni e non scrivo più sul Gazzettino del paese. Da qualche anno ho preso il posto di tziu Terenziu sulla panchina di piazza Roma e tutte le mattine saluto il signor P., quando alle 07.30 in punto esce per andare a fare colazione al bar, l'unico bar del paese...
Il tempo passa per tutti ma il signor P. è sempre il distinto signore di mezza età, ben vestito e gentile con tutti, sempre uguale al primo giorno che l'ho visto attraversare la piazza del paese per entrare nella sua vecchia ritrovata casa...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO
(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)

Nostalgia di Sardegna...

Lentamente ti allontani dal molo...

la nave trema sotto la spinta dei motori...

l'acqua ribolle dietro le eliche possenti!



Segni distintivi di una partenza, ancora una...

dalla mia terra triste e silenziosa,

arsa dal sole,

coperta di spine,

saccheggiata nel tempo,

vilipesa dall'uomo,

dimenticata dalla storia!



Sardegna,

terra antica,

coperta di rovine di un tempo dimenticato,

testimoni di ere lontane,

di uomini rudi,

di genti mortali di stirpe celeste...



Pensieri, solo pensieri,

mentre la nave si allontana,

la terra si confonde col cielo

per poi sparire dietro le onde del mare.



Solo pensieri, ti restano,

di quel cielo stupendo, pulito, azzurro, immenso...

e l'immagine di una quercia millenaria,

ultima testimone di quell'antica civiltà da cui provengo...



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

(Olbia-Civitavecchia, 24 maggio 2008)