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lunedì 28 febbraio 2011

Alessandro Volta: entra in scena la luce

"Alto e dritto di persona, ben complessionato, grave di portamento, di belle e virili fattezze. Spaziosa fronte, occhio fermo, sagace e atto a conciliare riverenza. Negli ultimi anni alquanto curvo e col capo inclinato al petto. Tenace di memoria, facondo, aggraziato nelle conversazioni, lepido, valentissimo agli indovinelli, ai giuochi di parole..."

In questo modo Maurizio Monti ricorda il grande Alessandro Volta.

Alessandro nacque a Como il 18 febbraio 1745, muore il 5 marzo 1827.
Passò la vita a studiare e sperimentare, la corrente elettrica era il suo campo preferito.
Inventore della pila; le sue opere raccolte da Vincenzo Antinori, furono stampate nel 1816 a Firenze.
Ma queste poche righe non sono altro che un anticipo e sono scritte a testimoniare una curiosità scritta da Monti:
"A questa vittoria su Galvani, è congiunta la scoperta di una novella sorgente di elettricità, cioè l'elettricità per contatto. Un oscurissimo cenno di essa si legge nei libri di Newton, ma torna impossibile, se non dopo il fatto, intendervi espressa tale elettricità".
Da quanto mi sembra di capire Newton accennò in qualche sua opera all'elettricità...

Occorrerà indagare, non pensate?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO  

domenica 27 febbraio 2011

Fantasmi dal passato...

“I capelli!”
La voce era uscita spontaneamente dalla sua bocca, aveva quasi urlato! Ma tanto che importava, non c’era nessuno in casa…
“Diamine, stavo dimenticando l’appuntamento col barbiere!”
Poteva urlare quanto voleva adesso! Nessuno si sarebbe lamentato. Erano passati tanti anni da quando la moglie l’aveva lasciato portandosi appresso i suoi due figli…
“Sono già le sette, spero di fare in tempo. Le odio, queste cene di beneficenza. Mi fanno perdere un sacco di tempo ma pare facciano bene alla mia immagine.”
Immagine…allora non si preoccupava dell’immagine quando picchiava la moglie. Non se ne preoccupò neanche quando la mandò all’ospedale con una gamba rotta perché aveva preso le difese del piccolo Arthur! Ma adesso era diverso, ora era un uomo importante oltre che ricco e così doveva curare la sua immagine…
“Fortunatamente è giusto qua, dietro l’angolo, sono quasi arrivato.”
Quella volta stava per essere denunciato ma, si sa, i soldi possono tutto! Così se l’era cavata ancora.
“Maledizione! Chiuso per lutto, non è possibile!
E ora?”
E si, se l’era cavata! Quando la moglie rientrò dall’ospedale lui era fuori per lavoro, i bambini erano con la domestica. Lei prese le suo poche cose e i suoi bambini e sparì nel nulla. Lui avrebbe potuto ritrovarla forse, ma non se ne occupò minimamente. La sua ritrovata libertà lo affascinava! Non si preoccupò neanche dei figli, pesi inutili!
“Guarda là che fortuna, quell’insegna è nuova!”
I bambini avevano sette e nove anni, Arthur era il più grande. Presero il treno delle sette per Liverpool. Non tornarono mai più indietro! Lei trovò alloggio in un quartiere malfamato, sotto falso nome. Trovò anche un lavoro come cucitrice in una grossa fabbrica di tessuti. Lavorava sedici ore al giorno in un ambiente malsano, morì due anni dopo di polmonite, lasciando i due piccoli senza speranze.
“Barberia. Certo che per essere nuova è abbastanza strana, sembra antica!”
Arthur fece quello che era in suo potere per accudire Jimmy, si trovò un lavoro e rientrava a casa a notte fonda. Jimmy non faceva che piangere per la morte della madre e un bel giorno ne morì!
“Non ho tempo da perdere, l’importante è che ci sia un barbiere dentro!”
Dopo la morte di Jimmy niente era più importante per Arthur eppure continuò a vivere a Liverpool per anni, lavorando e crescendo…
“Ragazzo! Barba e capelli…e sbrigati che ho molta fretta!”
Poi un giorno, leggendo il giornale vide una sua foto! Il padre era in lista per ricoprire una altissima carica ed era dato per vincente! Chissà se era cambiato! Non provava odio, ma solo terrore! A causa sua era morta la madre e il fratello, era un Mostro!
“Ragazzo! Ho detto che ho fretta… cosa aspetti a servirmi?”
“Mi scusi signore, arrivo subito!” Prese l’ampolla dell’acqua per bagnare i capelli e con gesto maldestro versò alcune gocce sulla giacca del cliente.
“Che diamine combini! Deficiente d’un garzone.”
“Ma è solo acqua signore, l’asciugo subito”
“Pensi forse di cavartela così? Io ti rovino, ti distruggo. Dov’è il tuo padrone?”
Non era cambiato, ora ne aveva la prova! Fu una questione di un attimo, la lama affilata del rasoio penetrò in profondità nella morbida pelle del collo del padre! Un fiotto di sangue sgorgo e andò ad imbrattare la camicia candida. In un ultimo gesto sollevò gli occhi e vide in faccia il suo assassino!

“Ciao Papà!”

L’orrore gli riempì l'anima...

L’inferno lo aspettava!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 22 febbraio 2011

A Milis, Isola o mito?

Cari amici e lettori,
ho ricevuto l'invito di Sergio Frau a visitare la mostra a Palazzo Boyl di Milis.
L'invito è esteso a tutti!

Partecipate numerosi...

"E’ con piacere che con la presente si invita a visitare la mostra a Palazzo Boyl di Milis:

ISOLA MITO?
PREGUNTAS: la Sardegna domanda…
BERIDADE: …la Geologia risponde!

in occasione dell’incontro “Interrogare la terra…” che si svolgerà nello storico palazzo di Milis domenica 27 febbraio 2011 (dalle ore 10 alle 13), e che vedrà la partecipazione di geologi, geofisici, storici del territorio di ritorno da una perlustrazione nell’Isola.

L’esposizione di carattere essenzialmente archeologico-geologico, insieme a carte tematiche sui suoli della Sardegna, documenta decine e decine di nuraghi coperti dal fango (nuraghi situati nel Sinis e nel Medio Campidano) fotografati dal cielo da Francesco Cubeddu con il suo paramotore.

Scopo della mostra e dell’incontro?

Cercare – e ottenere – suggerimenti e risposte specialistiche sulla prima storia della Sardegna e sul mistero della crisi che la interruppe, interrogando la sua terra attraverso l’analisi dei suoli e lo studio dei suoi paesaggi così enigmatici.

Cordiali saluti.
Francesco Cubeddu, Sergio Frau, Giovanni Manca.
***
P.s. L’incontro del 27 è aperto a tutti. La mostra è visitabile il sabato pomeriggio e la domenica.

Spero che la mostra incontro possa aiutare a capire quale sia la vera storia della nostra amata Isola.
Buon Lavoro a tutti!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 20 febbraio 2011

Ben Harvey e il caso White

Nel 1842 una giovane coppia di sposi, Mary Wells e John White, si trasferirono in un piccolo paesino a poche decine di miglia da Londra. John trovò un lavoro al comune del piccolo paese, Mary invece faceva la casalinga e dopo un anno ebbero un figlio, Mark. La famiglia White si guadagnò una buona reputazione in paese e tutti li ritenevano gente onesta e lavoratrice. 
I fatti che stanno per essere narrati si svolgono quindici anni dopo l'arrivo degli White in paese.
La notte del 26 novembre 1857 infatti accadde qualcosa che il giorno dopo avrebbe sconvolto gli abitanti del piccolo paese. La mattina del 27 novembre il signor White uscendo presto da casa per andare al lavoro trovò davanti a casa sua, riverso a faccia in giù, il corpo di un uomo, con un foro in testa, provocato da un proiettile e con una pistola in mano. Fu subito chiamata la polizia che non trovò documenti addosso al cadavere che potessero indicare la sua identità. Il proiettile che l'aveva ucciso era stato sparato con la pistola che aveva in mano e si pensò ad un suicidio. 
Ma perché si sarebbe dovuto togliere la vita proprio in mezzo alla strada? 
La polizia brancolava nel buio e per questo venne chiamato un investigatore da Londra, il signor Ben Harvey, un investigatore non molto famoso ma molto abile e sveglio. Ben, dopo un breve viaggio in treno arrivò in paese e perquisì le case degli White e dei loro vicini. Ben trovò gli White molto turbati dalla vicenda ma soprattutto la signora White sembrava molto preoccupata per quello che era successo. I vicini di casa degli White non potevano aver sentito lo sparo perché una famiglia era andata a trovare dei parenti fuori città ed era rientrata quel pomeriggio, gli altri vicini erano distanti più di un centinaio di metri dalla casa degli White, perché tra le due case si trovavano un piccolo parco ed una casa abbandonata. L'unico mistero era il perché gli White non avessero sentito lo sparo.
Ben aveva già le idee abbastanza chiare. Probabilmente non si era trattato di suicidio. L'uomo era stato ucciso in un altro posto e poi trasportato davanti alla casa degli White, come per avvertirli di qualcosa.
Questa teoria era supportata dal fatto che le suole delle scarpe erano in parte graffiate, come se per un breve tratto il corpo fosse stato trascinato.
L'assassino doveva essere uno solo perché se fossero stati in due l'altro l'avrebbe sollevato per le gambe e le suole non si sarebbero rovinate. Ben si mise subito ad indagare sul passato dei signori White.
John aveva vissuto ad Edimburgo prima di incontrare Mary ed aveva lavorato come direttore di una piccola fabbrica che produceva attrezzi agricoli in ferro mentre la signora Mary aveva lavorato a Londra, in banca, ma si era licenziata quando aveva conosciuto John e si erano sposati.
 Facendo ricerche più accurate Ben scoprì che la banca poco tempo prima del licenziamento di Mary era stata svaligiata ed erano stati accusati due uomini, uno dei quali ebbe una pena più mite perché aiutò la polizia a smascherare il suo complice. Ben riuscì a trovare una foto dell'uomo che anche se appariva molto più giovane era proprio l'uomo trovato ucciso davanti alla casa degli White. 
Ben riuscì a collegare tutto.
Molto probabilmente la signora Mary Wells centrava qualcosa in tutta questa storia. Ben scoprì anche che l'uomo accusato del furto alla banca, Peter Jackson, era stato rilasciato circa un mese prima dell'omicidio. Ben aveva intuito la verità ma siccome era all'oscuro di alcuni dettagli, decise di adottare una tattica che con un po' di fortuna avrebbe potuto funzionare. Finse di essere a conoscenza di ciò che era accaduto quando Mary viveva a Londra. Fortunatamente la tattica funzionò, la signora Mary stette per un po immobile, a scrutare la campagna al di fuori della finestra, come se fosse indecisa se credere o no alle parole di Ben, poi scoppiò in pianto. Ben riuscì a capire dalle sue parole, scosse dal singhiozzo, che lei e Peter erano stati assieme e che avevano progettato tutto ma poi lei si era pentita delle sue azioni ed aveva deciso di andarsene, in seguito anche l'altro complice, che si chiamava Abraham Sand, si era pentito ed aveva aiutato la polizia in vece di scappare come fece Mary e questo gli costò caro visto la fine che fece. La sera dopo la polizia si accostò dentro casa e nel parco adiacente e aspettò che arrivasse Peter Jackson per finire di compiere la propria vendetta contro coloro che l'avevano tradito ed erano scappati invece di proteggerlo.
Peter comparve due sere dopo e fu catturato dalla polizia. Adesso lui è di nuovo in carcere insieme alla signora Mary Wells che, anche se pentita, aveva partecipato al furto.

Fry

Giovambattista Ramusio e il Periplo di ANNONE

Giovambattista Ramusio
Il Periplo di Annone é uno dei racconti che mi hanno sempre incuriosito.
Durante le mie letture mi é capitato di incontrarlo varie volte e mi sono sempre ripromesso di cercare il testo per leggerlo. Nonostante le mie ricerche nelle varie biblioteche e librerie che frequento solitamente non ho mai trovato niente. Così ieri, dopo aver incontrato ancora una volta il riferimento ad Annone in un altro testo, mi son messo di buona lena ed ho cercato il testo su google books. Ecco dunque che salta fuori un testo di Giovambattista Ramusio, veneziano. Nato nel 1485 a Trevigi (credo l'attuale Treviso) già nel 1533 era segretario del Consiglio de' Dieci. Viaggiò molto e svolse incarichi di fiducia per Venezia. Studiò greco, latino, francese, Portoghese e spagnolo. Morì a Padova nel 1557. Sono convinto che Ramusio meriti più di queste poche righe ma ognuno di voi lettori ha ora l'opportunità, se vuole, di approfondire da sé! 
Ciò che a me interessa riguarda Annone e il suo periplo per cui lasciamo ogni indugio e vediamo cosa ci resta di questo testo vecchio di 2500 anni.
I Cartaginesi decisero che Annone dovesse navigare fuori dalle Colonne d'Ercole ed edificare delle città libifenicie: egli navigò con sessanta navi penticontori, cioè con cinquanta remi, conducendo con se una gran moltitudine di uomini e donne, 30.000, con vettovaglie e ogni altra cosa potesse essere utile. Dopo questa introduzione inizia il racconto vero e proprio, attribuito ad Annone:  
"Giunti alle Colonne, le passammo; e avendo navigato di fuori per due giornate, edificammo la prima città, nominandola Timiaterio: intorno della quale era una grandissima pianura. Dipoi, volgendoci verso ponente, giugnemmo ad un promontorio dell'Affrica, detto Soloente, tutto pieno di boschi: e avendo quivi edificato un tempio a Nettunno, di nuovo navigammo mezza giornata verso levante, finché arrivammo ad una palude che giace non molto lontano dal mare, ripiena di lunghe e grosse canne; eranvi dentro elefanti e molta copia d'altri animali che andavano pascendo. Poiché avemmo trapassata la detta palude quanto saria il navigar d'una giornata, edificammo alcune città nella marina, per proprio nome chiamandole Muro, Carico, Gitta, Acra, Melitta e Arambe. E essendoci partiti di là, venimmo al gran fiume Lisso, che discende dall'Affrica: appresso il quale stavano a pascere i loro animali alcuni uomini pastori, detti Lissiti, co'quali dimorammo insinoattantochè si dimesticarono connesso noi. Nella parte a loro di sopra abitavano i Negri che non vogliono commercio con alcuno: e il lor paese è molto salvatico, e pieno di fiere; ed è circondato da monti altissimi, dai quali dicono discendere il fiume Lisso, e intorno a'monti abitarvi uomini di varie forme, che ànno i loro alberghi nelle grotte e nel correre sono più veloci dei cavalli, secondochè dicevano i Lissiti: dai quali avendo noi tolto alcuni interpreti, navigammo presso di una costa deserta, verso mezzogiorno per due giornate. e di là poi di nuovo volgemmo una giornata verso levante, dove nell'intima parte del golfo trovammo una ìsola piccola che di circuito era cinque stadj, la qual facemmo abitare, nominandola Cerne: e per lo spazio della navigazione fatta giudicavamo che l'isola fosse a diritto di Cartagine; perciocchè ne pareva simile la navigazione da Cartagine insino alle Colonne, e dalle Colonne insino a Cerne. Dalla quale partendoci, e navigando per un gran fiume chiamato Crete, arrivammo ad una palude che aveva tre ìsole, maggiori di Cerne. dalle quali avendo navigato per ispazio d'un giorno, arrivammo nell'ultima parte della palude, di sopra la quale si vedevano montagne altissime che le soprastavano: dove erano uomini salvatichi, vestiti di pelli di fiere, i quali tirando delle pietre ci discacciavano, vietandoci di smontare in terra. Dipoi navigando via di là, venimmo in un altro fiume grande e largo, pieno di coccodrilli e di cavallimarini: di qui volgendoci poi di là per dodici giornate verso mezzogiorno, non ci allontanando troppo dalla costa: la qual tutta era abitata dai Negri, che, senza punto aspettarci, da noi si fuggivano; e parlavano di maniera che nè anche i Lissiti che erano conesso noi, gl'intendevano. L'ultimo giorno arrivammo ad alcuni monti pieni di grandissimi arbori, i legni dei quali erano odoriferi e di varj colori. Avendo noi adunque navigato per due giorni presso di questi monti, ci trovammo in una profondissima voragine di mare: da un lato del quale, verso terra, vi era una pianura dove la notte vedemmo fuochi accesi d'ogn'intorno, distante l'uno dall'altro alcuni più, alcuni meno. Quivi avendo fatto acqua navigammo presso di terra più avanti cinque giornata; tantochè giugnemmo in un gran golfo, il quale gl'interpreti ci dissero che si chiamava il Corno di Espero. In questo vi era una grande isola, e nell'isola una palude che pareva un mare, e in questa vi era un'altra isola: nella quale essendo noi dismontati, non vedevamo di giorno altro che boschi; ma di notte, molti fuochi accessi; e udivamo voci di pifferi, e strepiti, e suoni di cembali e di timpani, e oltreaddiciò infiniti gridi: di che noi avemmo grandissimo spavento; e i nostri indovini ci comandarono che dovessimo abbandonar l'isola. Onde velocissimamente navigando, passammo presso di una costa di odori, dalla quale alcuni rivi infocati sboccavano in mare; e nella terra, per l'ardente caldezza non si poteva camminare. Perlaqualcosa, spaventati, subitamente facemmo vela: e in alto mare trascorsi lunge per ispazio di quattro giornate, vedevamo, di notte, la terra piena di fiamme; e nel mezzo, un fuoco altissimo, maggiore di tutti gli altri, il qual pareva che toccasse le stelle: ma questo poi di giorno si vedeva che era un monte altissimo, chiamato Teonochema, cioé Carro degli Dei. Ma avendo poi per tre giornate navigato presso dei rivi infocati, giugnemmo in un golfo che si chiamava Notucema, cioè Corno di Ostro: nella intima parte del quale vi era una isola simile alla prima, che aveva una palude; e in essa vi era un'altra isola piena di uomini salvatichi, e le femmine erano assai più: le quali avevano i corpi tutti pilosi, e dagl'interpreti nostri erano chiamate Gorgoni. Noi avendo perseguitato degli uomini, non ne potemmo prender niuno; perciocchè tutti fuggiron via in alcuni precipizj e con le pietre facevano difesa: ma delle femmine ne pigliammo tre, le quali mordendo e graffiando quei che le menavano, non gli volevano seguitare: onde essi avendole ammazzate, le scorticammo, e le pelli portammo a Cartagine; perciocchè, essendoci mancate le vettovaglie non navigammo più innanzi.

Sarebbe interessante ricostruire su una carta geografica questo fantastico viaggio... chissà, magari un giorno lo farò, per ora questo è tutto!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

sabato 19 febbraio 2011

Ammiano Marcellino e i geroglifici dell'obelisco di San Giovanni Laterano


Storie, di Ammiano Marcellino, é una fonte inesauribile di curiosità... peccato che non si possa più disporre dell'intera opera.
Oggi vi propongo un passo di sicuro interesse per tutti coloro che amano l'Egitto, i geroglifici e la storia antica.
Il passo è tratto dal libro XVII, 4 e parla degli obelischi che dall'Egitto sono stati portati via per abbellire altre città, tra queste Roma.
Ammiano ci racconta che uno di questi immensi obelischi fu trasportato a Roma e poi innalzato nel Circo Massimo. Di questo obelisco, oggi a fianco di San Giovanni in Laterano, Ammiano riporta la traduzione in greco secondo l'interpretazione di Ermapione.
Così ho pensato che questa interpretazione, seppure da alcuni considerata imprecisa, per la sua antichità meriti di essere condivisa.

Lato sud:
Riga prima:
Il sole dice al re Ramestes: ho concesso a te, che sei amato dal Sole, di regnare con gioia su tutto il mondo abitato. Apollo potente ed amante della verità, figlio di Erone, divino creatore dell'universo, che il Sole scelse, il re Ramestes, valoroso figlio di Ares, a cui è sottoposta tutta la terra grazie al suo valore ed alla sua audacia. Il re Ramestes figlio del Sole, dall'eterna vita.
Riga seconda:
Apollo potente, il quale si erge sulla verità, signore del diadema, che tutti considerano padrone dell'Egitto, il quale ha reso splendida Eliopoli, ed ha creato il resto dell'universo e che ha molto onoratogli dei collocati in Eliopoli, che il Sole ama.
Riga terza:
Apollo potente, figlio splendente del Sole, che il sole scelse ed Ares valoroso fornì di doni. I suoi beni durano in ogni tempo ed Ammone lo ama, riempiendo il tempio dei frutti della palma. A lui gli dei donarono il tempo della vita.
Apollo potente, figlio di Erone, Ramestes sovrano dell'universo, che difese l'Egitto vincendo i popoli stranieri, che Elio ama, a cui gli dei donarono molto tempo di vita. Ramestes signore dell'universo, dall'eterna vita.

Lato Ovest:
La prima riga non è riportata.
Riga seconda:
Il dio Sole, grande Signore del cielo. Ti ho concesso una vita dalla durata imprevedibile. Apollo potente, incomparabile signore del diadema, che ha eretto le statue degli dei in questo regno, dominatore dell'Egitto, ed adornò Eliopoli in maniera eguale al Sole, signore del cielo. Compì un'opera buona il figlio del Sole, il re dell'eterna vita.
Riga terza:
Il dio Sole, signore del cielo, al re Ramestes. Ti ho concesso la potenza ed il dominio su tutti. Lui Apollo, amante della verità, signore dei tempi, ed Efesto, padre degli dei, scelse per causa di Ares. Re lietissimo, figlio del Sole ed amato dal Sole.

Lato Est:
Riga prima:
Il grande dio di Eliopoli, il celeste e potente Apollo, figlio di Erone, che il Sole amò, che gli dei onorarono, sovrano di tutta la terra, che il Sole scelse, il re valoroso per causa di Ares, che Ammone ama. E lo splendente avendo dichiarato eterno re...

Purtroppo Ammiano non riporta il resto.

Alla prossima!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 16 febbraio 2011

Ammiano Marcellino: curiosità su Seleucia

Cari amici,
oggi voglio condividere con voi una curiosità tratta da "Storie" di Ammiano, cap. XXIII.6.23.
Ammiano in questo passo parla delle più antiche città dell'Assiria: Babilonia, Ctesifonte e Seleucia. Ciò che mi interessa riguarda Seleucia.
"Seleucia, opera ambiziosa di Seleuco Nicatore [..] quando questa città fu espugnata dai generali di Vero Cesare, fu tolta dalla sua sede un'immagine di Apollo Comeo, che fu portata a Roma dove i sacerdoti degli dei la collocarono nel tempio di Apollo Palatino. Si narra poi che dopo il rapimento di questa statua, allorché fu data alle fiamme la città, i soldati, rovistando nel tempio, si imbatterono in un foro angusto; apertolo nella speranza di trovarvi qualche oggetto prezioso, da un recesso, che era stato chiuso con formule magiche dai Caldei, balzò fuori una pestilenza primordiale che, formata da violente ed insanabili malattie, all'epoca dello stesso Vero e di Marco Antonio, contaminò con contagi e morti tutto l'Impero, dai confini della Persia fino al Reno e alle Gallie.

Curioso... non pensate?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO