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domenica 12 marzo 2017

Il Crizia, di Platone (ovvero il racconto di Atlantide)

Era da tanti anni che cercavo un libro che mi era capitato di sfogliare da ragazzino... fu sicuramente per caso... era un libro vecchio e attirò allora la mia attenzione.
Cominciai a rigirarlo per le mani... Platone: i Dialoghi... che titolo strano pensai allora!
Cominciai a sfogliarlo...
Una parola attrasse la mia attenzione... la fantasia di un ragazzo curioso: Atlantide!
Mio padre aveva un libro su Atlantide nella sua biblioteca e io lo avevo letto da poco... chissà cosa c'era di vero, pensai allora...
Provai a leggere qualche riga del libro che avevo allora tra le mani... il Dialogo si intitolava "Crizia". Purtroppo non riuscivo a capire granché per come era scritto... ma non dimenticai mai il titolo... Crizia!
Passarono anni da quel momento e un altro testo di Platone mi capitò tra le mani e risvegliò quell'antico ricordo... il Crizia riemergeva dal passato e con lui Atlantide!
Mi trovavo di fronte ad una bancarella di libri usati, non ricordo più dove, forse a Cagliari al Bastione...
Il libro era vecchio e abbastanza rovinato... Platone... toh! pensai... che sia...
Invece no, si trattava del Timeo, opera monumentale che cominciai a leggere e abbandonai diverse volte fino a che... ancora una volta per caso, arrivai al terzo
capitolo e, sorpresa, ecco ancora una volta Atlantide riemergere dal passato...
Lessi e rilessi il terzo capitolo e cominciai a cercare il Crizia, il seguito del racconto su Atlantide...
Eppure sembrava, fino a poco tempo fa, che il Crizia fosse scomparso... cominciai addirittura a dubitare della mia memoria! Che mi sbagliassi? Che solo nel Timeo Platone avesse parlato di Atlantide? Oppure il troppo tempo passato aveva cancellato o storpiato il ricordo?
Cominciai a cercare su internet ed ecco un testo in lingua inglese, autore della traduzione Benjamin Jowett, letterato inglese del 1800, professore di greco presso la Oxford University e teologo.
Anche se il mio inglese non é certo dei migliori la sfida mi affascina e così inizio a leggere... e rileggere e cercare di capire.
L'idea di tradurre il testo si fa sempre più forte e quasi senza accorgermene mi trovo a capo chino sul testo inglese, circondato da vocabolari di vario genere e la penna in mano che scrive, spesso cose senza o con poco senso, ma scrive!
Il testo non é lungo ma mi occorre comunque molto tempo... e dopo la traduzione il lavoro sembra ancora appena all'inizio. Rileggo e correggo e chiedo spiegazioni a chi conosce l'inglese meglio di me, grazie Raffaele, e rileggo e ricorreggo, sempre insoddisfatto...
E poi alla fine, quasi ci sono, ecco... forse posso cominciare a pensare di riuscire nel mio intento!
Che dire, chissà cosa provò l'illustre luminare, Benjamin Jowett quando terminò il lavoro...
Certo, il mio é un lavoro ben più modesto, ma ne vado comunque fiero... nonostante gli errori che sicuramente ci sono...
Che dire, allora, non resta che pubblicarlo... il Crizia, libera traduzione di Alessandro RUGOLO dal testo inglese di Benjamin Jowett...
Ma prima di augurarvi una buona lettura eccovi presentati i personaggi del dialogo:
Crizia, Ermocrate, Timeo e Socrate...
Ed ora...
Buona lettura!

___________________________

Timeo: Quanto sono grato, Socrate, di esser giunto alla fine e, come un viaggiatore dopo un lungo viaggio, riposarmi in tranquillità. E io prego l'essere che sempre fu e che é stato da me rivelato, di garantire per le mie parole, che possano essere ricordate fintanto che egli le giudichi credibili e accettabili, ma se, non intenzionalmente, io avessi detto qualcosa di sbagliato, prego egli che mi commini la giusta punizione, e la giusta punizione di colui che sbaglia é che sia corretto. Desiderando dunque parlare correttamente in futuro sulla generazione degli dei, lo prego di darmi la conoscenza, che di tutte le medicine é la più perfetta e la migliore. Ed ora, avendo offerto la mia preghiera, io cedo la parola a Crizia, che ci parlerà secondo i nostri accordi.

Crizia: Ed io, Timeo, accetto il vero e come tu all'inizio ai detto che andavi a parlare di argomenti importanti e pregavi di essere tolleranti nei tuoi confronti, anche io chiedo la stessa o maggiore tolleranza per ciò che sto per dire. E nonostante io sappia bene che la mia richiesta possa sembrare scortese, in ogni caso va fatta! Potrà, ogni uomo di buon senso, negare che io avrò ben parlato? Io posso solo fare del mio meglio per mostrare che necessito più indulgenza di te, perché il mio argomento é più difficile; e cercherò di mostrarvi che parlar bene degli dei agli uomini è più semplice che parlare bene degli uomini agli uomini, in quanto l'inesperienza e la grande ignoranza degli auditori sul soggetto è di grande aiuto a colui che deve parlare, e noi sappiamo quanto siamo ignoranti circa gli dei. Ma io cercherò di spiegarmi più chiaramente, Timeo, se vorrai seguirmi. Tutto ciò che é detto da ciascuno di noi può essere solo imitazione o rappresentazione. Se noi consideriamo le immagini che i pittori realizzano dei corpi divini e celestiali, ed i diversi gradi di gratificazione con cui l'occhio dello spettatore lo riceve, noi vedremo che saremo soddisfatti dell'artista che é capace, in massimo grado, di imitare la Terra e le sue montagne, e i fiumi e i boschi e l'universo, e le cose che vi sono e si muovono al suo interno, e dunque, non conoscendo con precisione queste materie, noi non esaminiamo o analizziamo i dipinti; tutto ciò che é richiesto é qualcosa di indistinto e illusorio che in qualche modo sia capace di renderne l'immagine. Ma quando una persona cerca di dipingere la forma umana noi siamo veloci a trovarne i difetti e la nostra familiarità (col soggetto) ci rende giudici severi di chiunque non renda con precisione ogni punto. E noi possiamo renderci conto che la stessa cosa accade nei discorsi; siamo soddisfatti da una descrizione delle cose divine e celestiali che é appena somigliante alla realtà, ma siamo molto più precisi nelle critiche sulle cose mortali ed umane. Dunque, se per qualunque motivo durante il mio discorso io non sarò in grado di esprimere adeguatamente il mio pensiero, dovrete perdonarmi pensando che descrivere adeguatamente le cose umane é tutt'altro che facile. Questo é ciò che io voglio suggerirvi e allo stesso tempo ti prego, Socrate, di poter ricevere non meno ma maggior indulgenza su ciò che dico. Il quale favore, se io sono nel giusto, posso sperare che tu mi vorrai concedere.

Socrate: Certamente Crizia, noi accettiamo la tua richiesta e garantiamo lo stesso trattamento ad Ermocrate, come già fatto per te e Timeo, perché non ho dubbi che quando fra poco sarà il suo turno lui farà la stessa vostra richiesta. Così, affinché lui possa pensare ad un nuovo inizio senza doversi preoccupare di dire ancora le stesse cose, facciamogli capire che l'indulgenza é estesa anticipatamente anche a lui. Ed ora, amico Crizia, ti annuncerò il giudizio del pubblico. Essi sono dell'opinione che l'ultimo che ha parlato ha avuto uno splendido successo e che dunque tu necessiterai una grande indulgenza affinché tu sia in grado di prenderne il posto.
Ermocrate: L'avviso, o Socrate, che tu hai indirizzato a lui, devo considerarlo valido anche per me. Ma ricorda, Crizia, che la mancanza di coraggio non ha mai consentito di conquistare un trofeo; quindi tu devi procedere e attaccare l'argomento come un uomo. Prima invoca Apollo e le Muse, quindi lasciaci sentire come tu glorifichi e ci mostri le virtù dei tuoi antichi cittadini.

Crizia: Amico Ermocrate, a te che per ultimo hai parlato e un altro hai di fronte che non ha ancora perso il coraggio, la gravità della situazione ti verrà presto rivelata, in ogni caso io accetto le tue esortazioni ed incoraggiamenti. Ma tra gli dei e le dee che tu hai menzionato, in particolare voglio invocare "Mnemosyne", in quanto la parte principale del mio discorso dipende dai suoi favori, e se io potrò ricordare e recitare abbastanza di quanto fu detto dai sacerdoti e portato in questo luogo da Solone, io non dubito di essere in grado di soddisfare questo "teatro". Ed ora, senza ulteriori indugi, procederò.
Lasciatemi cominciare osservando, prima di tutto, che a novemila assommano gli anni che son passati dalla guerra che come é stato detto, vi fu tra coloro che vivevano oltre le colonne d'Ercole e coloro che vivevano al loro interno, questa guerra io sto per descrivervi. Sui combattenti, si dice che da una parte la città di Atene fosse a capo e che avesse combattuto misurandosi in guerra; dall'altra parte i combattenti erano comandati dai re di Atlantide che, come avevo detto, era un'isola più grande in estensione di Libia e Asia e che, in seguito, colpita da un terremoto divenne una barriera di fango insormontabile per i viaggiatori che andavano per mare in ogni parte dell'Oceano. Il seguito della storia rivelerà le diverse nazioni dei barbari e le famiglie degli Elleni che esistevano, e come essi successivamente apparirono sulla scena, ma io devo descrivere prima di tutto gli ateniesi di quei giorni, e i loro nemici che combatterono con loro, e quindi le rispettive potenze e i governi dei due regni. Lasciateci dare la precedenza ad Atene.
Nei tempi antichi gli dei avevano distribuito tra loro per sorteggio l'intera terra. Non c'era da discutere; non potete infatti supporre che gli dei non sapessero cosa fosse giusto per ognuno di loro possedere, o, sapendo ciò, che essi volessero ottenere per se attraverso una contesa ciò che fosse più propriamente proprietà altrui. Essi tutti, per mezzo di giusta suddivisione, ottennero ciò che desideravano, e popolarono i loro distretti; e quando ebbero popolato i propri distretti essi accudivano i loro assistiti e possedimenti come pastori che accudiscono le loro greggi, con l'eccezione che essi non usavano la violenza o la forza fisica, come fanno i pastori, ma governavano come i piloti dal timone del vascello, che é la via più semplice di guidare gli animali, tenendo le nostre anime per mezzo dello strumento della persuasione in accordo al loro stesso piacere, così essi guidavano tutte le creature mortali.
Ora, dei diversi avevano i loro assegnamenti in luoghi diversi da loro ordinati. Hephaestus e Athene, che erano fratello e sorella, originati dallo stesso padre, avendo la stessa natura ed essendo uniti dallo stesso amore per la filosofia e l'arte, entrambi ottennero come loro parte questa terra che era adatta per natura alla saggezza e alla virtù; e qui essi impiantarono figli coraggiosi del suolo, e misero nelle loro menti l'ordine di governare; i loro nomi si sono conservati, ma le loro azioni sono sparite a causa della distruzione di coloro che ricevettero le tradizioni e dello scorrere del tempo. Per quanto ci fossero dei sopravvissuti, come ho già detto, essi erano uomini che vivevano sulle montagne, essi non conoscevano l'arte della scrittura e avevano sentito solo i nomi dei capi della terra ma sapevano molto poco delle loro azioni.
Essi erano ancora in grado di tramandare questi nomi ai loro figli ma riguardo le virtù e le leggi dei loro antenati, essi le conoscevano solo attraverso oscure tradizioni e siccome ad essi stessi ed ai loro figli mancò per diverse generazioni il necessario per vivere, essi indirizzarono le loro attenzioni a sopperire ai loro bisogni e di ciò essi conversarono, dopo aver dimenticato gli eventi accaduti in tempi antichi, per la mitologia e la ricerca del passato, vennero introdotti nelle città quando essi cominciarono ad avere del tempo libero e quando videro che al necessario per vivere si era già provveduto, ma non prima. Ed é questa la ragione per cui i nomi degli antichi sono stati conservati fino a noi ma non le loro azioni. Questo io deduco da quanto Solone disse, cioè che i sacerdoti durante il loro racconto di questa guerra nominarono molti dei nomi che sono registrati prima del tempo di Teseo, quali Cecrops e Erectheus ed Erichthonius e i nomi delle donne allo stesso modo. Inoltre in quel periodo le attività militari erano comuni a uomini e donne, gli uomini di allora in accordo con i costumi del tempo, preparavano una figura ad immagine della deità, completamente in armi, affinché testimoniasse che tutti gli animali nel loro complesso, maschi e femmine, possono se lo desiderano, praticare in comune la virtù che deriva da essi senza distinzione di sesso.
Ora, il paese in quei giorni era abitato da diverse classi di cittadini; c'erano artigiani e vi erano uomini di famiglia e vi era anche una classe guerriera, in origine costituita da uomini divini. Questi ultimi vivevano per conto loro e avevano tutto ciò che occorreva per nutrirsi e per l'educazione, nessuno di loro possedeva niente, ma essi utilizzavano tutto ciò che avevano quale comune proprietà, niente essi chiedevano di avere dagli altri cittadini oltre al cibo necessario. Ed essi svolgevano tutti i compiti che noi ieri abbiamo descritto parlando dei nostri guardiani immaginari.
Al riguardo del paese i sacerdoti egizi dicevano che non solo era probabile ma manifestamente vero che i confini in quei giorni erano fissati sull'istmo e che in direzione del continente si estendevano fino alle cime del Cithaeron e Parnes. La linea di confine scendeva in direzione del mare tenendo il distretto di Oropus sulla destra, e il fiume Asopus come limite sulla sinistra. Il territorio era il migliore del mondo ed era inoltre in grado di supportare un grande esercito, accresciuto dai popoli confinanti. La parte dell'Attica che ancora oggi esiste può competere con qualunque regione del mondo per la varietà e l'eccellenza dei suoi frutti e per i suoi ottimi pascoli per tutti i tipi di animali il che prova ciò che stavo dicendo. Ma in quei giorni il paese era giusto e corretto come oggi e più produttivo di oggi.

Come posso far si che crediate alle mie parole? e quale parte di esse possa essere correttamente detta ""il ricordo della terra che fu?". L'intero paese é solo un lungo promontorio che si estende in profondità nel mare, lontano dal resto del continente, mentre il bacino del mare circostante é in ogni luogo profondo in prossimità della riva. Molti grandi diluvi si sono susseguiti durante i novemila anni, perché questo é il numero di anni che sono passati dal tempo di cui sto parlando; e durante tutto questo tempo e attraverso così tanti cambiamenti non c'è mai stato un consistente accumulo di suolo che scendeva dalle montagne, come per altri posti, ma la terra é caduta via tutto attorno ed é sparita dalla vista. La conseguenza é che in confronto a ciò che era, sono restate solo le ossa del vasto corpo, se così si può dire delle piccole isole; tutto il soffice e ricco terreno é andato via e solo lo scheletro della terra é restato.
Ma nella condizione iniziale del territorio le montagne erano alte colline coperte di terra e il piano, così come chiamato da noi, di Phelleus, era ricco di ottima terra e vi era abbondanza di boschi sulle montagne. Di questi ultimi le tracce ancora restano, anche se alcune delle montagne sono oggi capaci solo di fornire sostentamento alle api, non molto tempo fa era ancora possibile vedere tetti di legno, tagliati da alberi che crescevano qui, che erano della taglia sufficiente a coprire le case più grandi. e vi si trovavano molti altri alti alberi coltivati dall'uomo e che producevano cibo in abbondanza per il bestiame. Inoltre la terra era beneficiata dalle piogge annuali, non come oggi che perde l'acqua che scorre via attraverso "le ossa" della terra fin dentro il mare, ma avendosi abbondante rifornimento in tutti i posti e accogliendo l'acqua al suo interno e custodendola nella parte superiore del suolo. Rilasciando poi nelle valli i fiumi d'acqua assorbiti nei luoghi elevati, rifornendo ogni luogo di abbondanti sorgenti e fiumi, delle quali possono essere ancora osservate sacre vestigia in luoghi in cui un tempo esistevano le sorgenti. E ciò prova la verità di quanto detto.
Questa era la condizione naturale del paese, che era ben coltivato, come possiamo ben credere, da vari agricoltori, che fecero dell'agricoltura il loro mestiere, ed erano amanti dell'onore e di nobile natura, e avevano il miglior terreno del mondo e abbondanza d'acqua e nel cielo sovrastante un eccellente clima temperato. Ora, la città (di Atene) in quel tempo era sistemata in questo modo: prima di tutto l'acropoli non era come é oggi a causa di una unica notte di piogge eccessive che lavarono via la terra lasciando scoperte le rocce, nello stesso tempo vi furono terremoti e quindi una straordinaria inondazione, la terza prima della grande distruzione di Deucalione. Ma in quei tempi antichi la collina dell'acropoli si estendeva dall'Eridano all'Ilissus e includeva il Pnyx da una parte e il Lycabettus come confine dalla parte opposta, ed era ben ricoperta di suolo e livellata in sommità con l'eccezione di uno o due punti.
Al di fuori dell'acropoli ed ai piedi della collina vi abitavano gli artigiani e una parte dei contadini che coltivavano la terra li vicino. La classe dei guerrieri viveva per conto proprio intorno ai templi di Atena ed Efesto, che essi avevano recintato con un recinto semplice simile a quello del giardino di una casa singola. Sul lato nord essi abitavano in comune e avevano costruito dei locali per cenare in inverno ed avevano tutti gli edifici di cui necessitavano per la vita in comune. Oltre ai templi, ma questi non erano adornati con oro e argento, perché loro non ne facevano uso per nessun motivo; essi seguivano una via intermedia tra povertà ed ostentazione e costruivano case modeste nelle quali essi e i loro figli diventavano vecchi, e essi lo passarono ad altri che erano simili a loro stessi, sempre uguale. Ma in estate essi lasciavano i loro giardini e palestre e sale da pranzo e quindi si spostavano nella parte sud della collina adibita allo stesso scopo.
Dove oggi si trova l'acropoli c'era una sorgente che venne disseccata da un terremoto, restarono solo pochi piccoli rivoli che ancora esistono nei pressi ma, in in quei giorni, la sorgente dava un abbondante rifornimento d'acqua per tutti, alla temperatura giusta sia in estate che in inverno. Così é come essi vivevano, essendo i guardiani dei loro stessi cittadini e i leaders degli elleni, che erano i loro bendisposti seguaci. Ed essi avevano cura di preservare lo stesso numero di uomini e donne nel tempo, essendo tanti quanti ne occorrono per scopi simili alla guerra, allora come ora - così si dice, circa ventimila. Questi erano gli antichi ateniesi e in questo modo essi amministravano correttamente le proprie terre e il resto della Grecia. Essi erano rinomati in tutta l'Europa e l'Asia per la bellezza delle loro persone e per le tante virtù delle loro anime, e di tutti gli uomini che vivevano in quei tempi essi erano i più illustri. Ed ancora, se io non ho dimenticato quanto sentito da ragazzino, vi racconterò il carattere e l'origine dei loro avversari. Perché gli amici non devono tenere le proprie storie per se stessi ma devono metterle in comune con questi.
Ora, prima di procedere oltre nella narrazione, io desidero avvisarvi che non dovrete sorprendervi se doveste udire nomi ellenici attribuiti a stranieri. Vi dirò la ragione di ciò: Solone, che aveva intenzione di usare il racconto per il suo poema, ricercò il significato dei nomi e trovò che gli antichi egizi, scrivendo i nomi, li traslarono nella loro lingua e lui recuperò il significato di molti nomi e quando li ricopiò li tradusse nella nostra lingua. Mio bisnonno, Dropide, possedeva lo scritto originale, che é ancora in mio possesso e che io studiai attentamente quando ero un bambino. Dunque, se voi sentirete nomi come quelli usati in questo paese non dovete essere sorpresi perché vi ho raccontato come vi arrivarono. Il racconto, che era molto lungo, iniziava così:
io vi ho già indicato a parole, della suddivisione degli dei, che essi distribuirono l'intera terra in parti che differivano per estensione e costruirono per se stessi templi ed istituirono sacrifici. E Poseidone, ricevendo come sua parte l'isola di Atlantide, divenne padre di figli di una donna mortale e li sistemò in una parte dell'isola che io vi descriverò. Guardando in direzione del mare, ma al centro dell'intera isola, c'era una pianura che si diceva fosse la più sincera/giusta tra tutte le pianure e molto fertile. Vicino alla pianura e nel centro dell'isola, alla distanza di circa 50 stadi c'era, su un lato, una montagna non troppo alta.
In questa montagna viveva uno dei primi uomini nati in quel paese, il suo nome era Evenor, ed aveva una moglie chiamata Leucippe, essi avevano un'unica figlia chiamata Cleito. La ragazza aveva già raggiunto la maturità quando il padre e la madre morirono; Poseidone si innamorò di lei e vi si unì. Spaccando la terra inglobò la collina nella quale lei viveva con zone alternate di mare e terra, più larghe e più strette, l'una circoscritta dall'altra, ve ne erano due di terra e tre d'acqua, che egli formò come ruotando intorno ad un asse. Ognuno aveva la circonferenza sempre equidistante dal centro così che nessun uomo potesse arrivare all'isola, perché le navi e i viaggi non erano come ora. Lui stesso, essendo un dio, non ebbe difficoltà a sistemare in un modo speciale il centro dell'isola, facendo sbucare due sorgenti d'acqua da sotto la terra, una d'acqua calda ed una d'acqua fredda e producendo ogni varietà di cibo che può essere prodotto dal suolo.
Egli divenne padre e crebbe cinque coppie di gemelli maschi e, dividendo l'isola di Atlantide in dieci porzioni, diede al primo nato della prima coppia il territorio in cui abitava la madre e l'area circostante, che era il più grande e il migliore e lo fece re sugli altri; gli altri furono nominati principi e li fece governatori di molti uomini e di un grande territorio. E tutti loro ebbero un nome; il più vecchio, che fu il primo re, lui chiamò Atlas e dopo di lui l'intera isola e l'Oceano furono chiamati "Atlantic". Il suo fratello gemello, nato dopo di lui, ottenne come parte l'estremità dell'isola vicino alle colonne d'Ercole, che fronteggia il paese che oggi é chiamato "regione di Gades" in quella parte del mondo, gli diede il nome che nel linguaggio ellenico corrisponde ad "Eumelus", nel linguaggio del paese é invece chiamato "Gadeirus. Della seconda coppia di gemelli al primo diede il nome "Ampheres" e all'altro "Evaemon". Al più vecchio della terza coppia di gemelli diede il nome di "Mneseus" e "Autochthon" a quello che venne dopo. Della quarta coppia di gemelli chiamò Elasippus il più vecchio, Mestor il più giovane. E della quinta coppia lui diede al più vecchio il nome di Azaes e al più giovane quello di Diaprepes. Tutti questi e i loro discendenti per molte generazioni furono gli abitanti e i governatori di varie isole nel mare aperto e inoltre, come é stato già detto, essi navigarono verso di noi attraverso il paese tra le Colonne, l'Egitto e la Tirrenia.
Dunque, Atlas ebbe una numerosa e onorevole discendenza ed essi mantennero il regno, passandoselo di generazione in generazione al figlio maggiore, per molte generazioni. Essi ebbero una tale quantità di ricchezze che che non fu mai in mano ad alcun re o potentato, e non é probabile che ciò accada in futuro. Essi possedevano ogni cosa di cui necessitavano, sia in città che in campagna. A causa della grandezza del loro impero molte cose furono loro portate dalle nazioni straniere e le stesse isole provvedevano a fornire molte delle cose che servivano loro per le necessità della vita. All'inizio essi estrassero dalla terra qualunque cosa vi si trovasse, solido o liquido, e che oggi è solo un nome ma allora era qualcosa di più di un nome, orichalcum; veniva estratto in molte parti dell'isola essendo più prezioso, in quei tempi, di ogni altra cosa ad eccezione dell'oro. C'era legno in abbondanza per i lavori di carpenteria e pastura sufficiente per gli animali d'allevamento e selvatici.
Inoltre c'era un gran numero di elefanti sull'isola; così come c'era il necessario per tutte le altre specie di animali, sia per quelli che vivono nei laghi, nelle paludi e nei fiumi, sia per quelli che vivono in montagna o in pianura; così c'era per il più grande e più vorace tra tutti gli animali. Inoltre, qualunque cosa commestibile che oggi è sulla terra, si tratti di radici, vegetali, alberi, essenze distillate da frutti o fiori, sviluppate e cresciute vigorose in quella terra, e i frutti che possono essere coltivati, sia il tipo secco che ci é stato dato per nutrimento, e ogni altro che possa essere usato per cibo - noi chiamiamo tutti questi col nome comune di "semi" sia i frutti che hanno un guscio rigido che forniscono da bere e cibi e cosmetici e buone conserve di castagne e simili, che fornisce piacere e benessere, e ci sono frutti che servono per le conserve e piacevoli tipi di dessert, con cui noi ci consoliamo dopo cena, quando siamo stanchi di mangiare - tutto ciò questa sacra isola che un tempo guardava la luce del sole, produceva ogni volta che occorreva, splendide e squisite in abbondanza. Con questa beatitudine la terra li riforniva gratuitamente, nel frattempo essi costruivano i loro templi, palazzi, porti e cantieri navali.
Ed essi provvidero l'intero paese in questo modo: prima di tutto costruirono ponti sulle zone di mare che circondavano le antiche metropoli, costruendo una strada per e dal palazzo reale. E proprio all'inizio essi costruirono il palazzo reale. E proprio all'inizio essi costruirono il palazzo nell'abitazione del dio e dei loro antenati che essi continuarono ad abbellire nelle generazioni successive, ogni re sorpassando quello precedente con la grandezza della sua potenza, finché essi trasformarono il palazzo in una meraviglia che faceva notizia sia per grandezza che per bellezza. E, iniziando dal mare, essi costruirono un canale di trecento piedi di grandezza, cento piedi di profondità e cinquanta stadi di lunghezza, che essi realizzarono attraverso la zona circostante, facendo un passaggio tra il mare e la città-palazzo, che divenne un porto , lasciando una apertura sufficiente atta a consentire ai più grandi vascelli di poter entrare. Inoltre essi divisero, in corrispondenza dei ponti, le strisce di terra che erano interposte alle strisce di mare lasciando lo spazio necessario perché una singola trireme potesse passare da una zona all'altra, quindi ricoprirono i canali così da creare una strada sotterranea per le navi, in quanto i moli erano innalzati considerevolmente al di sopra del livello dell'acqua.
Dunque, la zona più larga attraverso la quale fu realizzato un passaggio/canale sul mare era di tre stadi (circa 600 metri) e la striscia di terra che veniva dopo era della stessa larghezza, ma le due zone successive, una d'acqua e l'altra di terra erano di due stadi, e quella che circondava l'isola centrale era solo uno stadio di grandezza. L'isola in cui si trovava il palazzo aveva un diametro di cinque stadi (circa 1 chilometro). Tutto ciò, incluse le zone e i porti, i quali avevano una larghezza pari alla sesta parte di uno stadio, circondarono con mura di pietra su ogni lato, aggiungendo torri e porte sui ponti in cui passava il mare. Le pietre usate per il lavoro furono scavate dal sottosuolo del centro dell'isola e dal sottosuolo delle aree più interne e più esterne. Un tipo era bianca, un altro nera ed un terzo rossa. E come le estraevano, essi allo stesso tempo scavavano un doppio magazzino, che aveva i tetti formati dalla roccia nativa. Alcune delle loro costruzioni erano semplici ma in altre essi misero assieme pietre differenti, variando i colori per compiacere gli occhi e per essere una sorgente naturale di delizia. L'intero circuito del muro, che circondava la zona più esterna, essi la ricoprirono con un tappeto d'erba e il circuito del muro essi ricoprirono con metallo argenteo/bianco, e il terzo che circondava la cittadella luccicava della lucentezza rossa dell'oricalco.
I palazzi all'interno della cittadella erano costruiti in questo modo: nel centro c'era un tempio sacro dedicato a Cleito e Poseidone, che risultava inaccessibile ed era circondato da un recinto d'oro. Questo era lo spazio in cui le famiglie dei dieci principi all'inizio videro la luce e in quel luogo le persone annualmente portava i frutti della terra nella loro stagione da ognuna delle dieci porzioni, come offerta da parte dei dieci principi. Qui c'era il tempio di Poseidone che aveva la lunghezza di uno stadio e la larghezza di mezzo stadio e l'altezza in proporzione, aveva uno strano aspetto barbarico. Tutta la parte esterna del tempio, ad eccezione delle torri, fu ricoperta d'argento e le torri d'oro. All'interno del tempio il tetto era d'avorio, curiosamente rivestito in ogni luogo con oro, argento ed oricalco. e tutte le altre parti, le pareti e le colonne e il pavimento, essi ricoprirono con oricalco.
Nel tempio essi misero statue d'oro: c'era lo stesso dio in piedi in un calesse, il calesse con sei cavalli alati, ed aveva una dimensione tale che toccava il tetto della costruzione con la sua testa. Intorno a lui c'erano un centinaio di nereidi che cavalcavano delfini, per questo si é pensato essere il loro numero degli uomini di quei tempi. Nell'interno del tempio c'erano anche altre immagini che erano state offerte da privati. E intorno al tempio, all'esterno, vi erano piazzate statue d'oro di tutti i discendenti dei dieci re e delle loro mogli, e c'erano molte altre grandi offerte di re o di privati che arrivavano dalla città stessa e dalle città straniere sulle quali essi avevano influenza. C'era anche un altare che in quanto a dimensioni e a lavorazione corrispondeva alla magnificenza del luogo, e i palazzi, allo stesso modo, rispondevano alla grandezza del regno e alla gloria del tempio.
Nel posto successivo esse avevano fontane, una d'acqua fredda e un'altra di acqua calda, che scorrevano con grazia e abbondanza; ed erano splendidamente adatte all'uso grazie alla piacevolezza ed eccellenza delle acque. Essi costruirono edifici nei pressi e piantarono alberi costruirono anche cisterne, alcune a cielo aperto, altre ricoperte da tettoie, da usare in inverno come bagni caldi; c'era il bagno del re e i bagni di privati, che erano tenuti a parte, e c'erano bagni separati per le donne, per i cavalli e per il bestiame ed ognuno di questi era ornato nel modo migliore. Delle acque che scorrevano via essi ne portavano una parte nel boschetto di Poseidone, dove crescevano tutti i tipi di alberi di stupenda altezza e bellezza grazie all'eccellenza del suolo, mentre l'acqua che avanzava era convogliata per mezzo di acquedotti lungo i ponti verso i cerchi esterni, e vi erano molti tempi costruiti e dedicati ai numerosi dei, anche giardini e luoghi per esercizi, alcuni per uomini, altri per i cavalli, in entrambe le due isole formate dalle zone; e nel centro della più larga delle due c'era una pista da corsa larga uno stadio e lunga quanto tutta l'isola, in cui potevano correre i cavalli. C'erano inoltre stazioni di guardia, ad intervalli, per le guardie, le più fidate delle quali erano incaricate di tenere d'occhio la zona più piccola che era più vicina all'acropoli, dove i più fidati avevano le case dategli nei pressi della cittadella vicino ai familiari dei re. I porti erano pieni di triremi e di magazzini navali e tutto era quasi pronto all'uso. Sufficiente per il piano del palazzo reale.
Lasciando il palazzo e attraversando le tre zone, si arrivava ad un muro che iniziava sul mare e faceva tutto il giro: questo era in ogni punto distante cinquanta stadi dalla zona più larga o parte, e la racchiudeva interamente, i due capi del muro si incontravano all'ingresso del canale che conduceva al mare. L'intera area era densamente popolata di abitazioni e il canale e il più largo dei porti erano pieni di vascelli e mercanti che arrivavano da tutte le parti che, per il loro numero, risuonavano di una moltitudine di suoni di voci umane e di rumori e suoni di tutti i tipi di notte e di giorno.
Io ho descritto la città e i dintorni dell'antico palazzo circa con le parole di Solone e ora devo cercare di descrivere la natura e la sistemazione del resto della terra. L'intero paese era detto da lui essere molto elevato e a precipizio dalla parte del mare, ma la parte del paese nelle immediate vicinanze e intorno alla città era una pianura livellata, essa stessa circondata da montagne che si tuffavano nel mare, era regolare ed uniforme e aveva una forma oblunga, estendendosi in una direzione per tremila stadi, ma attraverso il centro erano duemila. Questa parte dell'isola guardava verso sud ed era riparata dal nord. le montagne circostanti erano celebri per il loro numero e dimensione e bellezza, e al di là di tutto ciò che ancora esiste, essi possedevano al loro interno anche molti salubri villaggi nella campagna, e fiumi, e laghi e pascoli che rifornivano sufficiente cibo per ogni animale, selvatico o d'allevamento, e molto legno di vari tipi, abbondante per ogni tipo di lavoro.
Ora descriverò la pianura, come era affascinante per natura e per il lavoro di molte generazioni di re attraverso lunghi anni. Era per la maggior parte rettangolare ed oblunga, e poi discendeva seguendo la linea del canale circolare. La profondità, la larghezza e la lunghezza di questo canale erano incredibili e davano l'impressione che un lavoro di una simile estensione, sommato a molti altri, non sarebbe mai potuto essere artificiale. Nonostante ciò, io devo dirvi ciò che mi venne raccontato. Era scavato della profondità di un centinaio di piedi e la sua larghezza era di uno stadio in ogni punto, era stato realizzato intorno alla intera pianura ed aveva una lunghezza di diecimila stadi (quasi 2000 chilometri!) Riceveva i flussi d'acqua che venivano giù dalle montagne e che circolando intorno alla pianura e incontrandosi in città finivano infine nel mare. Inoltre nell'interno, similmente, canali diritti di cento piedi di larghezza erano tagliati da esso per tutta la pianura e quindi si gettavano nel canale in direzione del mare. Questi canali erano posti ad intervalli di cento stadi e grazie a questi essi portavano giù la legna dalle montagne alle città e convogliavano i frutti della terra in navi, tagliando passaggi trasversali da un canale ad un altro e verso la città. Due volte l'anno si raccoglievano i frutti della terra, in inverno grazie ai benefici delle piogge del cielo, in estate grazie all'acqua che proveniva dai canali.
In quanto alla popolazione, ognuno dei gruppi della pianura doveva scegliersi un capo per gli uomini abili al servizio militare e la dimensione di ogni territorio era un quadrato di 10x10 stadi e il numero totale dei lotti era di 60.000. E degli abitanti delle montagne e del resto del paese ve ne erano una grande moltitudine che era distribuita tra i lotti e aveva i capi assegnati loro in accordo con i loro distretti di appartenenza e i villaggi. Al capo era richiesto in tempo di guerra di fornire la sesta parte di un carro da guerra, così da avere fino a diecimila carri da guerra, oltre a due cavalli e relativi cavalieri e una coppia di cavalli da carro senza sella, accompagnati da uno stalliere che potesse combattere appiedato portando un piccolo scudo e avendo un carrettiere che stesse dietro l'uomo armato per guidare i due cavalli; gli veniva richiesto di fornire due soldati completi di armi pesanti, due portatori, tre lanciatori di pietre e tre lanciatori di giavellotto che erano stati dotati di armi leggere, e quattro marinai per essere di completamento di 1200 navi. Questo era l'ordinamento militare della città del re, l'ordinamento degli altri nove governatorati variava, e sarebbe monotono render conto delle differenze.
In quanto agli uffici ed onori ciò che segue era quello che riguarda il primo. Ognuno dei dieci re, nella sua divisione e nella propria città aveva il controllo assoluto sui cittadini e, nella maggioranza dei casi, anche delle leggi, punendo e condannando a morte a proprio piacimento. Dunque, l'ordine di precedenza tra essi e le mutue relazioni erano regolate dalle disposizioni di Poseidone che aveva creato le leggi. Queste furono incise dai primi re su una colonna di oricalco, posizionata al centro dell'isola nel tempio di Poseidone, dove i re si riunivano assieme alternativamente ogni quinto e sesto anno, in questo modo rendendo onore uguale ai numeri pari e dispari. E quando essi erano riuniti assieme si consultavano sugli interessi comuni e si interrogavano se qualcuno avesse trasgredito in qualcosa e venivano sottoposti a giudizio e prima di essere giudicati essi si scambiavano reciprocamente solenni promesse in questo modo: C'erano tori che stavano nei pressi del tempio di Poseidone e i dieci re, essendo doli nel tempio, dopo aver offerto preghiere al dio affinché essi potessero catturare la vittima giusta per lui, uccisero i tori, senza armi ma con ..... e con cappi, e il toro che acchiappavano essi portarono di fronte alla colonna e gli tagliarono la gola su di essa così che il sangue cadesse sulle sacre iscrizioni.
Ora, sulla colonna, affianco alle leggi, vi era scritta una preghiera che invocava potenti punizioni per il disobbediente. Quando inoltre, dopo aver sacrificato il toro nel modo adeguato, essi avevano bruciato le sue cosce, essi riempivano una boccia di vino e preparato un coagulo di sangue per ciascuno di essi, mettevano al fuoco il resto della vittima, dopo aver purificato la colonna tutto intorno. Quindi essi versavano dalla boccia in calici d'oro e versavano una libagione sul fuoco, essi giuravano che essi avrebbero giudicato in accordo alle leggi della colonna e avrebbero punito colui che in qualche punto le avesse trasgredite, e per il futuro essi non avrebbero, se potevano aiutare, mancato contro le scritture della colonna, e mai avrebbero comandato gli uni sugli altri, ne obbedito ad alcun ordine da parte loro di agire diversamente da quanto previsto dalle leggi del loro padre Poseidone. Questa era la preghiera che ognuno di essi offriva per se stesso e per i propri discendenti, contemporaneamente bevendo e sacrificando dalla coppa in cui essi bevettero nel tempio del dio; e dopo aver cenato e soddisfatto i loro bisogni, quando scendeva l'oscurità e il fuoco del sacrificio era freddo, tutti indossavano i loro più bei vestiti azzurri e sedendo in terra di notte, sopra le brace dei sacrifici che avevano compiuto e estinguendo tutto i fuoco intorno al tempio, essi ricevevano e davano giudizio, se qualcuno di loro aveva una accusa contro qualcun altro, e quando essi giudicavano durante l'intervallo del giorno scrivevano le loro sentenze in una tavoletta d'oro e la dedicavano assieme alle loro cose affinché restasse a memoria.
C'erano molte leggi speciali riguardanti i differenti re, incise nei templi, ma la più importante era la seguente: essi non potevano prendere le armi l'uno contro l'altro e dovevano intervenire in soccorso se qualcuno in una qualunque delle città avesse cercato di rovesciare la casa reale; similmente ai loro antenati essi dovevano deliberare in comune sulla guerra e su altri argomenti, dando la supremazia ai discendenti di Atlas. E il re non aveva il potere di vita e di morte su nessuno dei suoi parenti senza l'assenso della maggioranza dei dieci.
Questo era il vasto potere che il dio aveva donato alla perduta isola di Atlantide e questo egli più tardi diresse contro la nostra terra per le seguenti ragioni, così come racconta la tradizione. Per molte generazioni, fino a che la natura divina restò in loro, essi rispettavano le leggi e ben affezionati al loro dio,.di cui il seme essi erano; per questo essi possedevano sinceri e sempre grandi spiriti, unitamente a gentilezza e saggezza nei vari casi della vita e nelle relazioni tra gli uni e gli altri. Essi rispettavano ogni cosa per virtù, curandosi poco del loro presente stato e pensando illuminatamente al possesso di oro e di altre proprietà, che per loro sembrava solo un peso; essi non venivano intossicati dalla lussuria ne privati del loro autocontrollo ma erano sobri e vedevano chiaramente che tutti questi beni erano accresciuti da virtù e amicizia dell'uno con l'altro, in contrasto con il grande riguardo e rispetto per loro, essi si sono persi e con essi l'amicizia tra loro. Per simili riflessioni e per la prosecuzione in loro della natura divina, le qualità che abbiamo descritte crebbero e aumentarono tra loro, ma quando la parte divina cominciò a scomparire venendo troppo diluita con la parte mortale, e la natura umana divenne la parte più grande, essi allora divennero incapaci di gestire la loro fortuna, reagirono in modo indecente e a colui che aveva un occhio per vedere visibilmente incrementato il degrado, perché essi stavano perdendo la parte migliore dei preziosi doni, ma per coloro che non avevano occhi per vedere la vera felicità, essi apparivano gloriosi e santi anche quando essi erano pieni di avarizia e di ingiusta potenza. Zeus, il dio degli dei, che governa secondo la legge, ed é capace di guardare queste cose, percependo che un giusto corso della vita era in cattivo stato e desiderando infliggere una punizione su di loro, così che essi potessero essere castigati e corretti, raggruppò tutti gli dei nella più santa tra le loro abitazioni che, essendo posta al centro del mondo, poteva osservare tutte le cose create. E quando li ebbe riuniti tutti parlò così:...

Fine
____________________

Il resto del testo non ci é mai arrivato... peccato!
Spero vi sia piaciuto almeno quanto é piaciuto a me... e se trovate errori o qualche parte fosse poco comprensibile, contattatemi cosicché possa effettuare la correzione...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO 

Precedenti:

Zoe e le altre, di Paola Carta

Chi è Zoe?
... e le altre?

Inizio a leggere il libro di Paola Carta dalla quarta di copertina, come faccio spesso, alla ricerca di informazioni sull'autore e sul libro.
Conosco poco Paola Carta, anche se è mia compaesana. La conosco come ci si conosce quando si è dello stesso paese ma non ci si è mai frequentati.
Ora, dopo aver letto il suo libro, penso di conoscerla meglio!

Zoe è la protagonista di un racconto, "Manifesto femminile". 
Zoe è una femminista (forse... ma forse non proprio femminista femminista... comunque aveva superato la fase in cui era arrabbiata con il mondo!).
Aveva condiviso le idee e le battaglie delle donne, e aveva deciso...

Paola ha lasciato il paese tanti anni fa, come ho fatto anche io e tanti altri, ma ora è tornata. 
Quali esperienze ha vissuto in questi anni?
Cosa la spinse ad andar via e perché ora è tornata?
Non credo di avere il diritto di chiederlo a lei, però posso immaginare, dal suo libro, tante cose.

Dopo la quarta di copertina sono passato all'indice... e da li a pagina 37, attirato dal titolo: "sardità".
Sarà la stessa mia "sardità"? o vi saranno differenze?
Leggo...

"Ho deciso che non dirò più le tristezze della mia terra
Ho deciso che canterò la sua bellezza
Ho deciso che non mi arrabbierò più 
perchè sempre sfruttata e schiava
illusa e tradita"

Paola Carta è tornata a Gesico, un piccolo paese della provincia di Cagliari, in Sardegna, l'Ichnusa degli antichi o Sandaliotis, Icho, Cadossene, Munivia e chissà in quali altri modi... io invece non ancora, ritornerò mai in Sardegna? Penso, sempre più spesso, che "Si", quando sarà il momento tornerò... come tanti altri prima di me. Come tanti altri dopo di me!

"I've learned that people will forget what
you said, people will forget what you did,
but people will never forget how you made
them feel".
(Maya Angelou)

Ogni parola scritta è una pietra posata nel futuro.
Ecco perchè io scrivo. Immagino che sia il pensiero di tanti scrittori, credo che sia anche il pensiero di Paola, anche se non posso esserne certo. Sicuramente era ciò che pensava Maya Angelou, alias Marguerite Ann Johnson.

Paola è stata lontana dal proprio paese per tanti anni, per studiare e per lavoro.
Ha passato anni a lavorare per ONG. Sud America, Africa, Italia... e dovunque lo stesso dolore, la stessa sofferenza, le stesse persone, uguali eppure così diverse! 
Zoe, Irene, Marina... o Paola?

Potrei continuare a descrivere ciò che ho trovato tra le pagine di "Zoe e le altre", potrei parlarvi delle esperienze di Paola, scusate, di Irene a Rio de Janeiro. Potrei parlarvi di Marina e dei suoi anziani non autosufficienti, potrei parlarvi dei sogni e del loro significato... 
ma preferisco fermarmi qui e invitarvi a leggere il suo libro, cosicché sia lei a parlarvi, direttamente, e non per interposta persona.

Buona lettura a voi e, a Paola, i miei complimenti!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 5 marzo 2017

Destinazione cervello, di Isaac Asimov

In questi giorni di riposo mi sono dedicato a censire i libri della mia biblioteca.
Quando prendevo un libro in mano per registrarne i dati essenziali, mi tornava in mente quando l'avevo letto o dove l'avevo acquistato, allora scorrevo le pagine e ne rileggevo alcuni passi.
Non so se vi è mai capitato di essere tentati di rileggere un libro. A me capita di tanto in tanto.
Risultati immagini per destinazione cervello asimovDeve trattarsi di un libro indimenticabile naturalmente e così è stato anche stavolta con "Destinazione Cervello", di Isaac Asimov.
Acquistai il libro nel 1991 e lo lessi in due o tre giorni, in estate, in Toscana, durante un soggiorno a Pisa.
La verità è che fui tratto in inganno da un libro che avevo letto alcuni anni prima, preso in prestito dalla biblioteca di Isili, il titolo era "Viaggio Allucinante", anch'esso di Isaac Asimov, ma si trattava di una trasposizione di un film.
In ogni caso, errore o meno, lessi il libro e mi affascinò.
Così, aperto il libro per leggere qualche frase delle prime pagine, mi sono ritrovato a pagina cinquanta senza quasi rendermene conto.
Ormai il lavoro di registrazione era interrotto, l'avrei ripreso il giorno dopo, o forse mai, ma avevo deciso che per ora avrei riletto il libro... e così è stato.
Si tratta di una storia ambientata in un futuro non troppo lontano in cui americani e russi si contendono il predominio nel campo scientifico.
Il nostro eroe si chiama Albert Morrison, e dell'eroe ha veramente poco. E' un neuropsichiatra che non viene preso troppo sul serio dai colleghi, per niente coraggioso, con alle spalle un matrimonio fallito e con la prospettiva di perdere il lavoro...
Nel corso di una conferenza, viene avvicinato da una scienziata russa, Natalya Boranova, esperta di miniaturizzazione, che lo invita a unirsi al suo team per aiutarla a risolvere un problema. Ne avrebbe beneficiato anche lui avendo l'occasione di dimostrare la validità delle sue teorie.
Naturalmente Alber rifiuta, più per vigliaccheria che per amor di patria, nonostante i Servizi Segreti americani, rappresentati dall'agente Rodano, gradirebbero un suo coinvolgimento per verificare a che punto siano giunti  i russi nello sviluppo del loro progetto di miniaturizzazione.
I russi, non riuscendo a convincere il nostro Albert, lo rapiscono.
Dal rapimento in poi l'azione si svolge in un laboratorio segreto dove Albert, suo malgrado, diventa compagno di avventure del team della Boranova, del quale fanno parte anche Yuri Konev, Arkady Vissarionovich Dezhnev e Sophia Kaliinin.
La missione consiste nel penetrare nel cervello del professor Shapirov, entrato in coma a seguito del fallimento di un esperimento di miniaturizzazione, per cercare di recuperare informazioni utili al perfezionamento della tecnica di miniaturizzazione.
Durante il viaggio Asimov ci fa conoscere i diversi personaggi e i loro rapporti.Ognuno di essi è, nel suo campo, un genio.
Naturalmente Asimov, da ottimo scienziato quale è, oltre che scrittore, arricchisce il suo romanzo di dettagli scientifici verosimili per cui leggendo il libro si scopre tra l'altro il funzionamento del cervello, l'organo più complesso del corpo umano.
Non mancano le sorprese, che tengono sempre il lettore attaccato al libro fino alla fine... in cui si scopre che Albert Morrison, in effetti, non è altri che...

Ma credo di aver detto anche troppo. 

Buona lettura a voi tutti!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Erodoto e la guerra di Troia secondo i Persiani


Se si sente parlare della guerra di Troia il nostro pensiero ci porta ai ricordi che abbiamo dell’Iliade di Omero, studiata a scuola o, magari, letta per diletto o ancora vista in televisione in una delle sue innumerevoli rappresentazioni. Difficilmente si pensa ad altro che al rapimento della bellissima Elena, ad opera di Paride, figlio di Priamo, re di Troia. Elena, donna bellissima, viene rapita e condotta a Troia… il resto è cosa nota!
Scena di battaglia - immagine tratta da Wikipedia
Ma vediamo invece cosa dice Erodoto in merito. Erodoto è lo storico più famoso dell’antichità. Erodoto era di Alicarnasso, città dell'impero persiano, oggi Bodrum, in Turchia. La sua opera più importante s’intitola “Storie” e venne pubblicata intorno al 430 a.C.
Il libro inizia esattamente con la spiegazione dell'origine delle ostilità tra greci e persiani, secondo la versione di questi ultimi.
Secondo i persiani tutto ebbe inizio a causa dei fenici. Questo popolo di viaggiatori e commercianti si era da poco installato sulle rive del Mediterraneo quando un gruppo di commercianti che si trovava ad Argo rapì Io, la figlia di Inaco. Io fu condotta in Egitto.
Il rapimento di Io fu il primo di una serie che condusse alla guerra.
Più tardi, ci dice Erodoto, alcuni greci o cretesi che si trovavano a Tiro in Fenicia rapirono Europa, figlia di Agenore, con questo secondo rapimento la partita poteva considerarsi chiusa con un pareggio.
Ma i greci non si accontentarono di pareggiare i conti e rapirono Medea, la figlia del re della Colchide, Eeta. Il re mandò degli ambasciatori a chiedere indietro la figlia ma non venne soddisfatto.
Alessandro, conosciuto anche come Paride, figlio di Priamo, sentiti questi racconti e preso dalla voglia di prendersi una donna in Grecia decise di rapire Elena, moglie di Menelao, re di Sparta.
I greci mandarono ambasciatori a chiedere la restituzione della donna ma gli fu risposto che  non avendo essi restituito Medea in precedenza, non si capiva perché loro avrebbero dovuto restituire Elena.
I greci non intendevano lasciare Elena ai persiani e così mossero in armi contro di essi, guidati da Agamennone, fratello maggiore di Menelao.
Così inizia la guerra di Troia, magistralmente raccontata dal cantore cieco noto come Omero.
Erodoto non si ferma alle origini della guerra ma ci racconta anche le considerazioni dei dotti persiani in merito alla guerra, infatti per essi:
"se il rapir donne é azione da uomini ingiusti, é da stolti il prendersi pena per vendicarle; mentre é da uomini benpensanti non curarsene affatto, poiché é chiaro che, se esse non volessero, non si lascerebbero rapire."
Oggi, una frase simile non sarebbe considerata politicamente corretta, fatto sta che sia da una parte sia dall'altra questa considerazione non venne fatta. 
La guerra venne disputata, Troia fu distrutta e i Persiani da allora iniziarono a considerare i greci come nemici!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 22 febbraio 2017

Sofia, l'antica Sardica

Sofia, la capitale della Bulgaria, è una grande città che un tempo si chiamava Sardica (in alcuni casi anche Serdica).
Il nome lascia pensare alla Sardegna e alla sua popolazione, i Sardi.
In antichità esisteva anche un'altra città, chiamata Sardi, ma questa si trovava nell'odierna Turchia. Intorno al VII secolo a.C. Sardi era la capitale della Lidia.
Anch'essa, dal nome potrebbe avere qualche riferimento con la Sardegna.

Nei testi antichi greci si parla di colonizzazione della Sardegna e creazione di colonie.

In alcuni testi si fa riferimento al fatto che i Sassaresi discendono dai Tatari.

Cosa c'è di vero in tutto ciò?

Forse non lo sapremo mai... sta di fatto che gli stessi Tirreni, gli antichi abitanti dell'Italia, in alcuni testi sono chiamati Turreni, ovvero costruttori di torri.
E se si guarda in giro in Sardegna, di torri ve ne sono fin troppe! Le torri nuragiche...
Ora date uno sguardo allo stemma di Sofia, l'antica Sardica qui sotto:



 Sarà un caso la presenza delle torri e soprattutto della testa coronata da torri?
Ricorda molto quella a tutti nota come serie Siracusana, in cui c'era l'immagine dell'Italia Turrita:


Ebbene, forse occorre approfondire le relazioni tra la Sardegna e i popoli che costruirono Sardica.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 11 febbraio 2017

Roma - Museo Napoleonico

Oggi è una bella giornata, adatta ad una passeggiata lungo il Tevere e, magari la visita di un museo.
Decidiamo così di vedere il Museo Napoleonico, che si trova di fronte alla Corte di Cassazione.
Lungo la strada ammiriamo la chiesa del Sacro cuore di Gesù in Prati 



e il palazzo della Cassazione.


Ma eccoci arrivati al museo. 
L'ingresso è gratuito. 
Quando entriamo ci troviamo circondati da quadri e mobili che ricordano la magnificenza di una delle famiglie più potenti dell'Europa dell'800: i Bonaparte.

Osservando i quadri, vien da pensare alla grandezza della Francia ma anche a come, dovunque Napoleone andasse, l'arte veniva saccheggiata! 
Napoleone arricchì le collezioni del Louvre senza farsi alcuno scrupolo. Non solo l'Egitto fu suo territorio di caccia, ma anche Roma.
Questa incisione del 1797 di Jean-Jérome Beaujean immortala la partenza delle opere d'arte di Roma per il museo Nazionale di Parigi.


Passeggiando per le stanze ci si rende conto di quanto sia facile dimenticare.
Duecento anni sono niente nella storia dell'uomo, eppure è facile dimenticare cosa accadeva duecento anni fa in Europa. Come è altrettanto facile dimenticare che allora l'Italia era una entità geografica ma non politica.
Napoli era un regno e il suo Re fu, per alcuni anni, un certo Murat, generale francese, cognato di Napoleone.


Napoleone imperatore, diviene anche Re di Roma, dopo lo scontro con il papa Pio VII, da lui imprigionato.
Bartolomeo Pinelli rappresenta, con questo disegno, il Tevere personificato che consegna all'aquila imperiale le armi per il Re di Roma, Napoleone.

 
Ma la fortuna dell'imperatore giunge al termine e viene esiliato prima sull'isola d'Elba e poi, nel 1815, definitivamente sull'Isola di Sant'Elena, nell'Oceano Atlantico, dove dal 1815 al 1821 Napoleone vivrà in esilio.
La sua fine è rappresentata in questo quadro:


Il Museo è un piccolo gioiello, se paragonato ai Musei romani, ma merita sicuramente una visita, anche perchè in questi giorni è possibile ammirare una mostra di micromosaici veramente stupendi, tra cui questo paesaggio dei templi di Paestum.


Napoleone, arcigno, forse deluso per i tradimenti che subì, vi saluta!



Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Sul significato di "vello d'oro", da Strabone

La lettura della Geografia di Strabone riserva ogni giorno nuove sorprese.
Nel libro XI, che parla dell'Asia, vi è una piccola par
te in cui accenna al significato del "vello d'oro".
Si parla nel capitolo II della Colchide.
Strabone accenna al fatto che Giasone e prima di lui Frixos, conquistarono quei territori (o per lo meno li raggiunsero).
La Colchide da sul mare (il Mar Nero) e una delle sue città si chiamava Dioskourias. Tra le popolazioni di Dioskourias ve n'era una chiamata dei "Mangiapidocchi, così chiamati per la loro squallida sporcizia".
Ma la popolazione regnante è quella dei Soanes, non da meno dei Mangiapidocchi in quanto a sporcizia, ma più potenti.
I Soanes regnano sul territorio anche grazie alle ricchezze della regione. Strabone dice infatti che i fiumi della zona erano ricchi d'oro che veniva raccolto "per mezzo di mangiatoie bucate e pelli villose. Da questo fatto deriverebbe il mito del vello d'oro".

Strabone aggiunge che forse a causa dell'oro questi popoli sono conosciuti anche come Iberi e il territorio come Iberia, similmente all'Iberia occidentale (Spagna) che allo stesso modo possiede miniere d'oro.

Ringrazio Strabone per le informazioni che se non altro soddisfano la mia curiosità di tanti anni di letture!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO  

venerdì 10 febbraio 2017

La stirpe guerriera delle Amazzoni, da Strabone

Chi erano le Amazzoni, la mitica stirpe di donne guerriere?
Lo chiediamo a Strabone, il "Geografo". 
Strabone, nato ad Amasea nel Ponto (l'attuale Amasya, in Turchia), visse tra il 64 a.C. e il 24 d.C., geografo e storico, è conosciuto per la sua opera principale, la "Geografia", in 17 libri. 
Il libro XI tratta dell'Asia ed è qui che nel V capitolo troviamo l'oggetto della nostra curiosità: le Amazzoni.

"Sui monti sopra l'Albania dicono che abbiano dimora anche le Amazzoni..." 

Quando Strabone parla dell'Albania, non parla dello stato che noi conosciamo. Per Albania intende infatti una antica nazione posta tra l'Armenia e il Mar Caspio.

Le Amazzoni, una stirpe di sole donne, si occupavano, dice Strabone, di tutte le attività necessarie alla vita, dall'agricoltura alla pastorizia (tra cui principalmente all'allevamento dei cavalli), dalla caccia alla guerra.

"... le più gagliarde farebbero grandi cacce e si eserciterebbero nelle arti guerresche..."

Questo, almeno, a detta di quegli storici più antichi che le hanno conosciute.

Le Amazzoni, sin da piccole provvedevano a cauterizzare il seno destro per evitare di avere impedimenti nell'uso delle armi, in particolare nel lancio del giavellotto. Ma usavano anche l'arco, la "sagaris" (ascia bipenne scitica) e la "pelta" (uno scudo leggero). Usavano inoltre le pelli degli animali per produrre ciò che poteva occorrere.
La sopravvivenza della specie era garantita dalla vicinanza con la popolazione di soli uomini chiamata Gargareis, che abitava li vicino. 
Nei mesi di primavera, le Amazzoni lascerebbero la loro terra per salire sui monti di Tuono, nel Caucaso, dove, nello stesso periodo, si recavano i Gargareis, secondo una usanza antica: "... e insieme alle donne fanno sacrifici e si accoppiano allo scopo di prolificare. In segreto, e al buio, ognuno prende quella che capita, e quando le hanno messe incinte, le mandano via. Se partoriscono una femmina, le donne la tengono con loro, mentre portano i maschi agli uomini perchè li allevino, e ciascuno, ignorando come siano andate le cose, adotta il singolo bimbo, ritenendolo come suo figlio."

Strabone ci dice inoltre che le Amazzoni e i Gargareis provenivano da Themiskyra. 
Tra Amazzoni e Gargareis scoppiò una guerra. 
Al termine della guerra le due tribù si accordarono per vivere separatamente e stabilirono le regole suddette, limitando i loro rapporti alla procreazione.

Strabone racconta nel suo libro quanto ha letto o sentito sulle Amazzoni, esprimendo il suo parere su queste storie antiche e fantastiche: 

"... chi crederebbe che un esercito, una città o una nazione di donne, possa sopravvivere senza uomini?"

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

     

domenica 5 febbraio 2017

Gesico: chiesa di Santa Giusta

La chiesa di Santa Giusta, chiesa parrocchiale del comune di Gesico, è una bella chiesa costruita intorno al 1500.
 
Ecco alcune foto scattate pochi giorni fa.


Facciata e campanile



Pala d'altare in legno



Veduta d'insieme

l'altare

Pulpito



San Sebastiano

Sant'Amatore

Crocifisso in legno

L'altare
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Curiosità sull'esercito romano, da Plinio il Vecchio

Storie Naturali, di Plinio il Vecchio è, secondo quanto affermato dal nipote Plinio il Giovane, una "opera vasta, erudita, non inferiore alla stessa natura, per varietà di argomenti". 
Suddivisa in 37 libri e pubblicata nel 77 d.C., era dedicata all'Imperatore Tito.

Plinio il Vecchio, raccoglie nella sua opera, tutto il sapere del tempo.
Nel X libro parla degli animali, reali e fantastici, e raccoglie anche notizie storiche che con questi hanno a che fare.
E' così che accenna al fatto che le legioni romane, a partire dal s
econdo consolato di Gaio Mario (intorno al 103 a.C.), adottarono l'Aquila come simbolo caratteristico.
Plinio afferma che già in passato l'Aquila era uno dei simboli utilizzati dalle legioni, assieme al lupo, al minotauro, al cavallo e al cinghiale.
Per questo motivo, afferma, il quartiere invernale di una legione veniva situato dove era presente una coppia di aquile.

Antica moneta dell'imperatore Vespasiano con sul retro l'aquila della legione e simbolo del potere imperiale
La storia dell'aquila utilizzata come simbolo della legione romana è certamente nota  a tanti. 
Forse però è meno nota quella delle oche e delle attività legate alla raccolta delle piume.

Plinio ci racconta che le migliori piume d'oca provenivano dalla Germania, dove le oche erano più piccole di quelle romane e venivano chiamate "gante". 
Il prezzo di quelle piume, in quei tempi, era di cinque denari per libbra e a causa di ciò, aggiunge, accadeva spesso che i capi delle truppe ausiliarie venissero messi sotto processo con l'accusa di aver spedito le coorti a catturare le oche, sguarnendo i posti di guardia.

Plinio aggiunge, sconcertato: "siamo giunti a tale mollezza nei nostri costumi che neppure le nuche degli uomini possono fare a meno delle piume!", immagino che si riferisse al fatto che con le piume, già allora, si producessero i cuscini.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Ciao Speranza

Ciao Speranza,

Oggi ti salutiamo per l'ultima volta.

Sei stata presente per tanti anni nella nostra vita.
Compagna fedele di Terenzio, mamma affettuosa di Renato, Maurizio, Giuseppina, Ernesto e Annamaria, nonna amorevole di Alessandro, Francesco, Filippo e Aurora.

Sempre disponibile, sempre pronta ad aiutare tutti, a consolare tutti con la tua profonda fede.

Sei sempre riuscita a tenere unita la tua famiglia, che ti ama e oggi è qui, unita, per renderti omaggio.


Il ricordo di te ci terrà uniti.
Grazie per tutto ciò che ci hai dato è grazie per tutto ciò che ancora, da lassù, potrai fare per noi.


Alessandro, Giusy e Francesco

domenica 15 gennaio 2017

Il crepuscolo degli Dei (Parte VI - Il libro scomparso)


- “Buon giorno signorina… Odges?”

- “Si, sono io. Posso aiutarla?”

- “Sono Martin Sena, lavoro per la Larren Books e...”

- “Ancora voi? Pensavo di essere stata chiara. Il libro di mio padre non è in vendita, ne ora ne mai!”

Maria era stata brusca ma già il mese prima aveva chiarito la questione. A costo di sembrare sgarbata fece per chiudere la porta quando lo sguardo dell’uomo la colpì.

- “Venga dentro. Gradisce un caffè?”

Stupito per il repentino cambiamento Martin Sena, dottore in filologia antica e attualmente dipendente della Larren Books con l’incarico di fattorino…non se lo fece ripetere que volte. Fare il fattorino non era la sua massima aspirazione ma Martin sperava sempre di riuscire a cambiare, prima o poi, con l’aiuto di un po di fortuna!

- “La ringrazio signorina”

Lei lo fece accomodare nel salotto, un ambiente piccolo ma confortevole. Il padre ne era sempre andato fiero, era il suo gioiello. Alle pareti aveva appeso alcuni quadri senza valore ma molto belli, erano delle nature morte, cesti di frutta che sembrava vera e una scena di caccia al cinghiale. I cani circondavano il povero animale ferito e lo mordevano alle zampe, per cercare di immobilizzarlo.

- “Mi dispiace ma non ho dei biscotti, però se vuole ho del latte”

- “Non si preoccupi, va bene il caffè nero. Sa, sono di origine italiana e da noi il caffè si prende nero e bollente.”

Sorseggiò il suo caffè per poi poggiarlo quasi subito sul tavolino. Non si poteva certo dire che fosse il miglior caffè della sua vita! Era arrivato il momento di riprendere il discorso…

- “Signorina Odges – si schiarì la voce – come le dicevo io lavoro per la Larren Books...”

- “Si, ho capito. Sono stata gentile con lei ma cerchi di capire, non voglio vendere il libro di mio padre, come ho già detto ai suoi colleghi… ”

- “Si, ho saputo del mio collega che le ha fatto visita il giorno dopo il funerale. Con una certa mancanza di tempismo, non c’è che dire...”

- “Senza dubbio. Poi mi sembrava di essere stata chiara la settimana scorsa. Questa volta si trattava della sua collega, una signora bionda, sulla quarantina, non ricordo il nome però aveva dei modi molto garbati e non ha insistito. Ora a lei ripeto la stessa cosa. Il libro non è in vendita!”

- “Scusi signorina Maria ma io non sono qui per comprare il libro, a dir la verità non sono qui per conto della Larren Books ma per conto mio. E comunque da noi non lavora nessuna signora bionda e sulla quarantina.”

Questa volta era Maria ad avere una faccia stupita. Eppure era sicura. Lei si era presentata come dipendente della Larren Books e aveva parlato delle intenzioni di pubblicare il romanzo.
Secondo lei sarebbe stato un grande successo… e poi la Larren Books avrebbe pagato bene.
Poi le aveva chiesto di poter vedere il manoscritto ma lei non glielo aveva mostrato, aveva inventato una scusa e l’aveva allontanata.

- “Ma la signora mi aveva detto che...”

- “Signorina Maria, da noi non lavora nessuna donna, siamo tutti uomini.”

Il tono non ammetteva replica.

- “Ma allora chi poteva essere? E perché fingere di essere qualcun altro? E lei, signor Martin, cosa vuole da me visto che non è qui per il libro?”

- “Veramente non le ho detto che non sono qui per il libro. Le ho detto che non sono qui per conto della Larren Books. La società per la quale lavoro non è più interessata al libro di suo padre. Ha ricevuto delle forti pressioni per dimenticarsene e comunque è passato più di un mese dalla – ehm – morte di suo padre… e, diciamo così, non è più un affare vantaggioso per la Larren Books.”

Maria ascoltava sempre più stupita. Chi poteva avere interesse a non far pubblicare un libro? Chi aveva di fronte? Da quando aveva scoperto che suo padre era stato un agente segreto vedeva complotti dietro ogni cosa. Eppure, a ben vedere, sembrava avere ragione a sospettare di tutto e di tutti.

- “Sono qui per mio conto. Anche io come suo padre, sono un esperto di filologia antica e mi occupo di leggende. Ho scritto diversi libri ed ho assistito alla prima del “Crepuscolo degli Dei”. La rappresentazione mi ha molto colpito e avevo intenzione di parlare con suo padre per chiedere lumi su alcune leggende cui ha sicuramente fatto riferimento nella sua opera, ma non ho fatto in tempo… posso chiederle la cortesia di mostrarmi il manoscritto. Può farmelo leggere? Le prometto di non disturbarla, lo leggerò qui, a casa sua, così il manoscritto sarà sempre sotto la sua sorveglianza. Non ho nessuna intenzione di portarle via un ricordo di suo padre...”

Sembrava sincero. E poi il suo tono di voce, come i suoi occhi, le dicevano di potersi fidare. Maria si alzò per prendere il manoscritto dallo scaffale in cui l’aveva riposto qualche giorno prima, dopo averlo mostrato alla signora bionda che affermava di lavorare per la Larren… ma il manoscritto non era al suo posto.
Qualcuno l’aveva rubato!


(Continua ???)

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


Puntate precedenti:

Parte prima ->>

Parte seconda _>>

Parte terza ->> 

Parte quarta ->> 

sabato 14 gennaio 2017

Chi sono i padroni del mondo, di Noam Chomsky

Chi sono i padroni del mondo?
 
La verità è sotto gli occhi di tutti, per cui non c'è alcun bisogno di porsi questa domanda, ne tanto meno di cercare la risposta, qualcuno potrebbe pensare.

Eppure l'autore del libro si è posto la domanda e ha cercato di dare una risposta.
Così si scopre che forse le cose non sono come abbiamo sempre creduto, o come ce le hanno sempre raccontate.

Ogni medaglia ha due facce, un dritto e un rovescio, e non si può mai dire con certezza qual è il dritto e quale il rovescio.

Noam Chomsky è un intellettuale statunitense, di origine ebraica, considerato il massimo esponente di linguistica al mondo, professore emerito al Massachusetts Institute of Technology (MIT), storico e attivista politico.

Il suo libro inizia con il chiedersi chi siano gli intellettuali e quale sia la loro funzione per passare poi ad altre domande.
Chi sono i più pericolosi terroristi al mondo? 
Perché Russia e Cina si comportano in questo modo?
In America c'è la democrazia?

Ancora domande scontate.

Forse, ma le risposte di Chomsky non sono scontate!

La sua è una analisi storico politica che mette a nudo i reali interessi che vi sono dietro le frasi altisonanti e i programmi politici della Superpotenza per eccellenza, gli Stati Uniti d'America.

Prendiamo alcuni esempi.

Che cosa sappiamo di Nelson Mandela, presidente del Sudafrica e premio Nobel per la pace nel 1993? Per quale motivo, per il Dipartimento di Stato statunitense, Mandela fino al 2008 faceva parte della lista dei terroristi?

Che cosa sappiamo dell'attentato terroristico dell'11 settembre? 
Sappiamo che ha cambiato il mondo. In quell'occasione il presidente Bush dichiarò infatti guerra al terrorismo.
Eppure l'11 settembre, del 1973, questa volta in America Latina, "quando gli Stati Uniti riuscirono finalmente nell'impresa di rovesciare il governo democratico cileno di Salvador Allende grazie a un golpe militare che insediò l'abominevole regime del generale Augusto Pinochet", è stato completamente dimenticato... nonostante i crimini compiuti allora, dagli Stati Uniti, siano paragonabili se non superiori a quelli compiuti il più famoso 11 settembre 2001.

Perché i palestinesi continuano a prendersela con accanimento con gli israeliani? Quanti crimini di guerra sono stati commessi, e da chi, in questa guerra infinita?

Quali motivi inconfessabili hanno spinto gli Stati Uniti ad isolare Cuba dal mondo?
Cosa li spaventava al punto da individuare in Cuba e nel suo capo di Stato un pericolo per la democrazia degli Stati Uniti d'America? E per quale motivo i sovietici, nel 1962, cercarono di installare dei missili proprio sul territorio di Cuba, a un tiro di fionda dal confine americano?

E ancora il Vietnam, il Laos, le manovre in acque internazionali lungo le coste cinesi, Saddam Hussein, l'Afghanistan, l'invasione dell'Iraq, la guerra al fondamentalismo islamico e ai nazionalismi, l'estensione della NATO ai confini con la Russia, la guerra al narcotraffico...

Cosa devono dimostrare, continuamente, gli Stati Uniti d'America?
Forse che loro sono i padroni del mondo?

L'analisi di Chomsky pare condurre proprio in quella direzione.

Naturalmente, occorre fare attenzione. Quando si parla di padroni del mondo si parla di chi tiene le redini del potere in America, una classe politica finanziata dalle grandi potenze economiche, le multinazionali e la finanza. 
Il popolo americano non sembra essere tra le priorità dei politici americani più di quanto non lo sia il popolo italiano per i politici italiani.

Chi sono i padroni del mondo.

Un grande libro, da leggere con attenzione e su cui riflettere.
Un libro di denuncia contro i crimini internazionali commessi dagli Stati Uniti d'America e da Israele, scritto da un americano di origine ebraica.

Dritto e rovescio, due facce della stessa medaglia... ma qual è il dritto e quale il rovescio è tutto da vedere!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 10 gennaio 2017

Annibale, di G.P. Baker

Mediterraneo!
Il Mare Nostrum dei romani. Antiche città sorsero lungo le sue coste in tempi diversi. 
Tra queste Utica, che in fenicio significa "città vecchia", ma anche Kart Hadasht, città nuova, che i romani chiamarono Cartagine.
La storia di Cartagine è legata a quella di Siracusa, di Roma e delle guerre Puniche ed a quella di una famiglia: i Barca.
Amilcare, padre di Annibale, era stato comandante delle truppe cartaginesi in Sicilia, dove da alcuni anni si assisteva agli scontri tra Roma e Cartagine, di volta in volta chiamate alla guerra per conquistare l'egemonia sul Mediterraneo.

Annibale nasce a Cartagine proprio in questo periodo, era il 247 a.C.

Dopo la fine del conflitto in Sicilia, Amilcare lascia la testa dell'esercito e rientra in patria. Seguiranno anni di ribellioni causati dal mancato pagamento del soldo alle truppe mercenarie.
Cartagine, in quella che è conosciuta come prima guerra punica e nelle rivolte successive, oltre alla Sicilia, perse anche la Sardegna. 

A seguito di un tentato colpo di stato architettato da Amilcare, non andato a buon fine, il generale partì per la Spagna, forse chiamatovi dal genero Asdrubale, e da li ricominciò i preparativi per la conquista dell'Italia.

Annibale in quel tempo aveva solo nove anni quando, un giorno, il padre lo chiamò a se e gli chiese se voleva seguirlo in Spagna. Annibale accettò con gioia. Il padre gli fece pronunciare allora un solenne giuramento con il quale si impegnava a non riconciliarsi mai con i suoi nemici, i Romani.

Nei nove anni successivi Amilcare, sempre con suo figlio al fianco, conquistò la Spagna. 
Si stava preparando alla conquista di ulteriori territori nel nord della Spagna quando, attraversando un fiume, annegò. 
Il potere passò nelle mani di Asdrubale, suo genero, che proseguì le sue campagne di conquista per altri otto anni, attestando il confine sull'Ebro. Oltre il fiume iniziava la zona di influenza dei Romani, non era possibile attraversarlo a meno di riprendere la guerra.
Asdrubale fu assassinato nel 221 a.C..
Annibale aveva 26 anni ed era il naturale successore di suo zio, a lui spettavano le redini del comando. D'altra parte Cartagine non si preoccupava più di tanto di quanto accadeva in terra di Spagna, così alla morte di Asdrubale fu ratificata la nomina di Annibale a nuovo comandante dell'esercito. 

In quegli anni di conquista in Spagna, l'esercito era cambiato. 
In primo luogo era diventato un esercito professionale. Assoldato, addestrato e pagato dallo Stato Maggiore che ne disponeva senza chiedere nessun parere alla classe politica di Cartagine. Non si trattava più dell'esercito di mercenari impiegato in precedenza e che tanti problemi aveva provocato al ritorno dalla Sicilia.
Annibale disponeva di un esercito ben addestrato e soprattutto fedele a lui e solo a lui.
Nei due anni successivi si preoccupò di consolidare il suo potere e di sottomettere le tribù della valle dell'Ebro, cercando di non entrare in conflitto con i Romani. Almeno fino a quando non furono i Romani a violare il trattato di pace allora in vigore. 
Una piccola città, Sagunto, a sud dell'Ebro e quindi sotto l'influenza dei cartaginesi di Spagna, chiese aiuto a Roma. Roma decisa a fermare l'avanzata di Cartagine intervenne in favore di Sagunto, dichiarando che la città si trovava sotto la sua protezione.
Annibale aspettava proprio questo momento. 
Incontrò gli ambasciatori Romani e si lamentò con loro dell'ingerenza nei territori che considerava suoi. Disse che non poteva far finta di niente a scapito della credibilità sua e di Cartagine. Se le cose restavano così la pace tra Cartagine e Roma era rotta e la responsabilità era dei Romani.
Il Senato di Roma non prese sul serio le minacce del giovane Barca, anche perchè era impegnato a gestire i problemi della più vicina Illiria (che si trovava dove oggi si trova Albania e il Montenegro). 
Il console Lucio Emilio Paolo era appena partito alla volta di Dimale, città nei pressi dell'attuale Durazzo, presso la quale il re dell'Illiria Demetrio di Faro (ex alleato Romano) aveva dislocato tutte le sue forze, quando Annibale intraprese l'assedio di Sagunto.
La conquista di Sagunto fu la prima grande impresa di Annibale, il grande generale Cartaginese che sarà ricordato dalla storia per aver attraversato le Alpi con i suoi elefanti da guerra e per aver messo in ginocchio i Romani nella celebre battaglia di Canne.
L'intelligenza del generale Cartaginese, la sua forza di volontà, le sue capacità di manovra e l'astuzia di cui diede ampia dimostrazione, ne fanno ancora oggi uno dei più studiati.
Il libro di George Philiph Baker, autore inglese nato a Plumstead nel 1879, è veramente appassionante, scritto con stile, mai pesante, ricco di particolari e citazioni dagli autori classici, merita a pieno titolo di far parte della biblioteca personale di ogni appassionato di storia.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 7 gennaio 2017

Visita alla Galleria Borghese - Roma

A Roma ieri è stata una giornata fredda, serena ma fredda.
Di quel freddo intenso delle giornate di tardo inverno, con quel vento freddo che ti congela le guance e le orecchie...
Noi abbiamo approfittato comunque del tempo libero per visitare la Galleria Borghese, uno dei nostri obiettivi ormai da diversi mesi.
La Galleria Borghese si trova all'interno dei giardini di Villa Borghese. Occupa una splendida palazzina che si staglia elegante sullo sfondo azzurro del cielo, fatta realizzare intorno alla fine del 1500 dal cardinale Scipione Borghese.


Al suo interno sono custodite opere di Caravaggio, Bernini, Canova, Raffaello, Tiziano... e tanti altri pittori e scultori famosi.

La visita va prenotata ed è un po cara, anche perchè oltre al costo dei biglietti si paga la prenotazione obbligatoria e il servizio di vendita al concessionario, comunque, dopo aver sborsato una media di 20 euro a testa, ci si può finalmente godere la visita.

Purtroppo è vietato scattare fotografie, per cui posso solo mostrarvi alcuni scatti effettuati prima di sentire l'avviso e qualche foto di alcune opere tratte da internet.

Tra le opere che ho più apprezzato, ecco forse la migliore: si intitola "Il ratto di Proserpina", ed è un gruppo scultoreo in marmo di Carrara di Gian Lorenzo Bellini, realizzata per il cardinale Scipione Caffarelli Borghese.




Per chi fosse interessato alla storia di Proserpina, la si può trovare in Ovidio, Metamorfosi  (Libro V, 391 e seguenti), da cui traggo una piccola parte:

           "Non lontano dalle mura di Enna vi è un lago di acqua profonda di nome Pergo; il Caistro non ode più di quello canti di cigni nelle sue acque correnti. Un bosco incorona le acque, cingendo ogni lato e con le sue foglie, come con un velo, allontana i raggi del sole; i rami danno frescura, l'umida terra fiori purpurei; vi è perpetua primavera. Mentre Proserpina si trastulla in questo bosco e coglie o viole o bianchi gigli e mentre con fanciullesca cura riempie i cestelli e il lembo della veste e si sforza di superare le coetanee nella raccolta, appena vista fu amata e rapita da Plutone, a tal punto fu rapida la passione."

Sempre del Bernini è una seconda opera in marmo, eseguita però con l'aiuto di un altro maestro scultore, Giuliano Finelli, che realizzò le parti più delicate, si tratta di "Apollo e Dafne", anche questa storia è tratta da Ovidio (I, 450 e seguenti).


La terza opera che voglio mostrarvi è è il David, sempre del Bernini.


L'opera è stata commissionata dal cardinale Peretti ma poi acquistata dal solito cardinale Scipione Caffarelli Borghese.

Non c'è molto da dire, di fronte a queste opere d'arte, bisogna solo osservarle in silenzio, ruotare attorno al loro piedistallo e osservarle ancora, alla ricerca di un particolare, di una muscolo, di una smorfia del viso...

Naturalmente nella Galleria Borghese sono esposti tantissimi quadri, oltre alle statue di cui vi ho fornito un assaggio.
Purtroppo le luci o la posizione elevata spesso non consentono di osservarli altrettanto bene che le statue.

Tra i quadri più belli, per me, uno su tutti, realizzato da Michele di Ridolfo del Ghirlandaio: Leda.

  
Per la sua particolarità, mi è restato in mente il "Paesaggio con corteo magico" di Girolamo da Carpi:


Osservando da vicino un quadro molto colorato mi sono reso conto che si trattava di un mosaico... di Marcello Provenzale, dal titolo "Orfeo".



E qui mi fermo, non certo perchè le altre opere non meritino di esser citate (ve ne sono più belle e sicuramente più famose) ma solo perchè mi sembra giusto dare anche a voi la possibilità di vedere coi vostri occhi, le opere presenti alla Galleria Borghese.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO