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venerdì 22 luglio 2016

I du Pont, di William H.A.Carr

"Rectitudine sto", 
è questo il motto che si trova al di sotto dello stemma di famiglia dei du Pont. 
Al di sopra invece un elmo e nello scudo un pilastro al centro di un campo.
Non avevo ben chiaro chi fossero i du Pont prima di leggere la storia della loro famiglia nella splendida biografia di W.H.A.Carr. Certo, l'avevo già sentita nominare ma non ero in grado di associare il loro nome a qualsivoglia evento storico, scientifico, politico o sociale.
Forse (ma non sono sicuro!) era un cognome incontrato in qualche fumetto oppure letto su qualche prodotto commerciale; l'unica cosa di cui ero abbastanza certo è che si trattava di un cognome francese, ed in effetti non mi sbagliavo.
Il libro, pubblicato nel 1967, racconta la storia di sette generazioni dei du Pont: dalla partenza dalla Francia del capostipite americano, Pierre Samuel du Pont de Nemours, subito dopo la rivoluzione francese, agli anni '60 del ventesimo secolo.
Pierre Samuel nacque orologiaio ma ben presto riuscì a entrare all'interno del gruppo degli enciclopedisti, grazie ai suoi saggi di economia politica. E' a lui che dobbiamo il termine "fisiocrazia", con cui si indica la teoria di economia politica che riteneva che i prodotti della terra hanno maggiore importanza dei prodotti dell'industria o del commercio.
Doveva essere ingamba Pierre Samuel du Pont, in pochi anni divenne famoso al punto che Franklin si augurava di poterselo portare in America.
Siamo alla fine del 1700. In Francia è tempo di rivoluzioni e Pierre Samuel è vicino al Re di Francia. 
E' in questo periodo che il Re, Luigi XVI, gli concede una patente di nobiltà per i suoi meriti, così nasce il suo stemma. Da allora i du Pont sottopongono i figli ad una speciale investitura, una breve cerimonia in cui si spiega ai giovani che "Non esiste alcun privilegio che non sia inseparabilmente legato ad un dovere".
Nel 1787 Pierre Samuel è consigliere di Stato e direttore del commercio e fa si che il suo primo figlio, Victor, sia impiegato presso la legazione francese a New York. Il secondo figlio, Irénée, trova lavoro presso la fabbrica nazionale delle polveri da sparo, alle dipendenze di Lavoisier.
Gli anni che seguono sono funestati da alterne vicende, dovute alle vicissitudini della Francia, che passa attraverso uno dei periodi più bui della sua esistenza.
Pierre Samuel finì in carcere due volte e la tipografia di famiglia fu saccheggiata. E' giunta l'ora di lasciare la Francia.
Il 2 ottobre 1799 la famiglia du Pont, tredici persone in tutto, a bordo dell'American Eagle salpa alla volta dell'America.
I du Pont sbarcarono a New Port il 1° gennaio 1800. 
Da li si spostarono subito a New York, dove cominciarono immediatamente a lavorare al loro progetto: mettere in piedi una compagnia d'affari che avrebbe consentito loro di diventare ciò che sono oggi, una delle più ricche e potenti famiglie d'America.
Già allora i du Pont vantavano conoscenze ad altissimo livello e non erano certo degli sprovveduti, eppure, la loro fortuna la devono ad un caso. Un giorno d'autunno del 1800, il Colonnello Louis de Tonsard, in compagnia di Irénée, si trovava a caccia nel territorio del Delaware. Finite le munizioni i due uomini si fermano in un negozio di campagna per acquistare della polvere da sparo. Irénée, dati i suoi precedenti di lavoro, si rende subito conto che i prodotti dell'industria francese erano molto più economici ma soprattutto di migliore qualità. La famiglia si mise subito in moto per trovare i finanziamenti necessari per aprire una fabbrica di polvere da sparo e per trovare i necessari appoggi affinchè i prodotti potessero essere venduti nei mercati americani.
Nel luglio 1802 la famiglia di Irénée si sposta in un terreno ideale per impiantare la fabbrica, nel Delaware, sul fiume Brandiwine...

Il libro prosegue ripercorrendo i principali avvenimenti storici americani e mondiali cui i du Pont, principali produttori di polvere da sparo, presero parte.
I du Pont furono sempre molto uniti, anche se non mancarono screzi e problemi, e il personale impiegato nelle fabbriche era considerato parte della famiglia. 
Nella famiglia du Pont vi furono chimici, ingegneri, uomini politici, militari, tutti in qualche modo contribuirono alla crescità della società americana. 
Il più importante progetto cui parteciparono i du Pont, fu forse il progetto Manhattan, per il quale accettarono dallo stato americano una ricompensa simbolica di un dollaro!
Oggi la famiglia du Pont è ancora una delle più ricche d'America, i suoi prodotti continuano a trovarsi ovunque.
Libro da leggere d'un fiato e su cui riflettere. Libro che, oltre che presentare la storia di una grande famiglia, della Francia e dell'America, spinge a riflettere anche sul significato profondo del termine "famiglia".

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 11 giugno 2016

Kennedy, biografia di un presidente.

J.F.K., al secolo John Fitzgerald Kennedy (Jack per gli amici intimi), è stato il 35° presidente degli Stati Uniti d'America (eletto per il partito democratico) dal 20 gennaio 1961 al 22 novembre 1963, giorno del suo assassinio.

L'autore della biografia, Lord Longford alias Frank Packenham, è stato un politico inglese (appartenente al partito laburista) e scrittore.

La biografia di Kennedy è un libro molto interessante sotto diversi punti di vista. 
Se qualcuno mi chiedesse cosa mi ha colpito di più durante la lettura risponderei: "Diverse cose, dal punto di vista storico, l'enorme numero di avvenimenti importanti accaduti sotto il suo governo. Mi vien da pensare all'affare conosciuto come la Baia dei Porci, il blocco di Cuba, il blocco e la costruzione del muro di Berlino, la guerra fredda e l'aumento della conflittualità nel Laos e Vietnam. Dal punto di vista della lotta per i diritti civili mi salta alla mente il rapporto tra Kennedy e Martin Luther King e la presa di posizione a favore della parità dei diritti tra bianchi e neri ma anche il fatto che Kennedy sia stato il primo presidente americano di religione cattolica. 
Se invece diamo uno sguardo dal punto di vista militare vien subito da pensare a Kennedy come eroe di guerra, al sangue freddo avuto da comandante in capo nel caso del blocco di Cuba, alle iniziative a favore del disarmo ma anche dall'aumento dei fondi dedicati alla Difesa e, forse, soprattutto, alla sfiducia nella classe militare! Almeno a credere a quanto scrive Lord Longford nel suo libro. La cosa emerse già nell'affare della Baia dei Porci e poi, in seguito, in occasione del blocco di Cuba. Fu allora che Kennedy, dopo aver sentito gli esperti militari dell'aeronautica che propendevano per un attacco aereo, disse: "Questi grossi capi militari hanno un gran vantaggio dalla loro: se li ascoltassimo e facessimo quel che vorrebbero farci fare, non resterebbe vivo nessuno di noi per poter dire loro che avevano torto".

Ma chi era John Kennedy? Americano dello stato del Massachusetts, nato nella cittadina di Brookline, nei pressi di Boston, il 29 maggio 1917. John era il secondo figlio di Joseph e Rose Fitzgerald, appartenenti a due famiglie molto in vista di Boston, di origini irlandesi, molto impegnate in politica e negli affari.
Joseph era uno degli uomini più ricchi e potenti d'America, ambasciatore americano in Gran Bretagna. Non è un mistero che l'elezione del figlio a presidente è anche dovuta all'uso che il padre fece del suo immenso patrimonio. Joe Kane, suo cigino, sosteneva che la politica fosse come la guerra, secondo lui occorrevano tre cose per vincerla, prima cosa i soldi, seconda i soldi e terza i soldi.
La famiglia era molto unita, i figli, nove, erano sempre in concorrenza l'uno con l'altro, spinti dai genitori a vincere sempre. John non era un gran che come studente, ma sicuramente ebbe molte occasioni e, dopo la morte del primogenito durante un volo d'addestramento nel corso della Seconda Guerra Mondiale, lui ne prese il posto. Il padre avrebbe voluto che il primogenito diventasse presidente degli Stati Uniti, John ne raccolse immediatamente l'eredità e si buttò a capofitto nell'impresa.
Nel frattempo era diventato un eroe di guerra.
Nel 1941 John cercò di entrare nell'Esercito e nella Marina ma venne scartato a causa di problemi alla spina dorsale. Dopo alcuni mesi di terapia riuscì ad entrare in Marina nel mese di ottobre del 1941. 
Due mesi dopo l'America entrerà in guerra a seguito dell'attacco di Pearl Harbor del 7 dicembre. 
Nei due anni successivi John lavorò a Washington dove era addetto ai servizi segreti. In quel periodo conobbe Inga Arvard, sospettata di legami coi nazisti, fu forse per questo motivo che venne trasferito a Charleston. A Charleston seguì il corso da ufficiale di vascello e nel 1943 passò in servizio attivo nel Pacifico Meridionale, come comandante della Motor Torpedo Boat PT-109, una motosilurante da 40 tonnellate con dodici uomini di equipaggio oltre a lui.
Nel mese di luglio arrivò al fronte. 
Il 2 agosto, nel sorso di un pattugliamento nelle acque dello stretto di Blackett, nelle Isole Salomone, la PT-109 fu speronata e tagliata in due dal cacciatorpediniere giapponese Amagiri. 
L'incidente avvenne alle due e mezzo del mattino. Kennedy guidò i superstiti a nuoto su un'isola, sobbarcandosi il peso di un ferito (McMahon), poi da li si sposto su un'altra isola li vicino. 
Infine riuscì a salvare i dieci uomini del suo equipaggio superstiti dell'incidente grazie ad un messaggio scritto sul guscio di una noce di cocco e affidato ad alcuni indigeni: "Undici vivi Indigeno conosce posizione bianchi isola di Nauru".   
L'8 agosto 1943 erano in salvo. Kennedy, per il suo operato, fu insignito della Navy and Marine Corps Medal perchè "Il suo notevole coraggio, la sua resistenza e la sua guida contribuirono al salvataggio di diverse vite in conformità alle più alte tradizioni della Marina militare degli Stati Uniti".
John Kennedy passò il resto della guerra in ospedale a cercare di guarire dalle ferite riportate.

Al rientro nella vita civile inizia la sua corsa in politica che lo portò a diventare il 35° presidente degli Stati Uniti.
In definitiva, il Kennedy descritto da Lord Longford non è solo una biografia ma un pezzo di storia mondiale che merita di essere letta con attenzione.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 2 giugno 2016

Nikola Tesla, invenzioni, guerra e pace.

Perchè Nikola Tesla è così interessante?

Questa domanda mi assilla da anni e mi spinge a studiare l'uomo e le sue invenzioni.

Che rapporto c'è tra il grande inventore e il mondo militare?
Anche questa domanda merita attenzione.

Nikola Tesla nacque a Smiljan, in Croazia, nella notte tra il 10 e l'11 luglio del 1856, durante un violento temporale...
Come una premonizione i fulmini di quella notte lo seguirono per tutta la vita.
Chi ha studiato elettronica o fisica probabilmente ricorda il suo nome, associato ad una unità di misura dell'elettricità, ma tutti dovrebbero ricordarlo. Così non é!

A Nikola Tesla dobbiamo la energia elettrica a corrente alternata e, più o meno, tutte le apparecchiature che oggi usiamo abitualmente senza sapere assolutamente niente del loro funzionamento.

Furono in molti ad approfittare della sua buona fede, durante la sua lunga vita (morì nel '43), tra questi un uomo ricordato ancora oggi, Edison. Molti dei successi di Edison come delle grandi società di quei giorni, sono in buona parte attribuibili al giovane ingegnere Nikola Tesla.

A partire dalla legge di Simon Ohm, creò il motore a corrente alternata, scoprì e studiò il fenomeno della risonanza, riuscì a trasmettere onde eletttromagnetiche e a riceverle. Realizzò il suo sogno di trasferire l'energia elettrica senza uso di fili e creò il fulmine in laboratorio... questi sono solo alcuni, i più noti, tra i risultati da lui raggiunti, eppure sono in pochi a conoscerlo.
Come sono in pochi a sapere che fu il primo ad utilizzare la corrente elettrica per la cura del mal di testa e che durante le sue conferenze descrisse buona parte di ciò che oggi utilizziamo... e forse non é ancora finita!

Nikola Tesla morì in America il 7 gennaio 1943, all'età di 86 anni, a causa di un attacco cardiaco. 
Due giorni dopo la sua morte l'FBI ordinò che tutti i beni di Tesla che si trovavano ancora presso la sua stanza d'hotel venissero posti sotto sequestro.

Perchè?
Per i presunti segreti militari? Per le nuove armi che stava studiando? Il Governo americano smentì sempre tutto. Tra gli effetti personali di Tesla non c'era niente di pericoloso, niente che se fosse finito nelle mani di potenze straniere avrebbe potuto rappresentare un pericolo.

Ma era veramente così?

Io non posso certo dire il contrario con certezza, ma devo ammettere che la lettura dell'autobiografia da questo punto di vista è illuminante.

Nikola Tesla scrisse la sua autobiografia dal titolo "Le mie invenzioni" nel 1919 all'età di 63 anni eppure, alcune delle sue invenzioni, anche se solo sotto forma di idea, ora esistono, altre forse verranno realizzate in futuro. 
Ma che dire delle invenzioni "militari"?

Nel suo libro si legge:
"Il primo impianto di potenza di tale "Sistema mondiale di trasmissione  energetica senza fili" può essere operativo entro nove mesi [..] è progettato per permettere svariate realizzazioni tecniche a basso costo. Tra queste ultime si possono evidenziare:
- l'interconnessione tra le preesistenti stazioni del telegrafo, o gli uffici del telegrafo, di tutto il mondo;
- l'instaurazione di un servizio telegrafico governativo totalmente segreto e privo di interferenze;
- l'interconnessione di tutte le stazioni o gli uffici del telefono presenti sulla terra;
- la distribuzione universale di notizie, mediante telegrafo o telefono, in collegamento continuo con le agenzie stampa;
[..]
- la trasmissione in tutto il mondo di caratteri, lettere o altri documenti scritti a mano oppure a macchina;
- l'instaurazione di un sistema universale marittimo che permetta la perfetta navigazione di tutte le imbarcazioni senza impiegare il compasso per determinare l'esatta locazione, ora e velocità, al fine di prevenire incidenti, disastri o altre calamità;
[..]

Non credo vi sia bisogno di spiegare come queste "invenzioni" siano collegate con l'ambiente militare.
In primo luogo poter disporre di un sistema di trasmissione dell'energia senza fili significa poter alimentare qualunque dispositivo in qualunque luogo.
In secondo luogo qualunque nazione, fin dall'alba dei tempi, ha sempre cercato sistemi atti alla trasmissione di messaggi che garantissero la segretezza.
Infine, il sistema di navigazione universale più noto è il GPS (Global Positioning System), è un sistema  realizzato dal Dipartimento della Difesa statunitense a partire dal 1973, sulla base di un precedente sistema chiamato Transit, costituito da un certo numero di satelliti posti in orbita con lo scopo di tracciare la posizione di navi e sommergibili militari. Solo qualche anno dopo il sistema è stato reso disponibile anche ai civili.

Tra le altre cose citate da Tesla nella sua autobiografia si parla di:
- l'instaurazione di un "Sistema a livello mondiale" di distribuzione musicale, eccetera;
- la riproduzione a livello mondiale di immagini fotografiche e di ogni tipo di disegno o documento,
anche in questi casi mi pare chiaro che il Governo americano abbia fatto la sua parte. Vorrei ricordare che Internet è nata da un progetto militare (Arpanet).
Sembra proprio che le idee di Tesla siano state riprese e sviluppate da ambienti vicini al mondo militare.

Ma Tesla, nel suo libro, è ancora più esplicito nell'affermare il suo contributo militare:
Tesla racconta di aver costruito una stazione per la trasmissione dell'energia a Long Island, torre che andò distrutta, che emetteva un'onda complessa con particolari caratteristiche:o preservarla  "era nell'interesse del Governo preservarla, in particolare perchè avrebbe reso possibile, tanto per citare un possibile risultato, la localizzazione di un qualsiasi sottomarino nemico in ogni parte del mondo. Il mio impianto, i suoi servizi e tutte le sue migliorie sono sempre stati a disposizione degli ufficiali, e da quando è scoppiato il conflitto in Europa mi sono sempre dedicato anima e corpo a diverse mie invenzioni che potranno essere di estrema importanza per il paese, legate come sono alla navigazione aerea, alla propulsione navale e alla trasmissione di dati senza fili. Coloro che sono ben informati sanno come le mie idee abbiano rivoluzionato le industrie degli Stati Uniti e non credo che sia mai esistito un inventore che da questo punto di vista sia stato fortunato come il sottoscritto, specialmente nell'impiego delle proprie invenzioni nell'industria bellica."

Bene, occorre ricordare che Tesla scriveva nel 1919, agli albori della prima Guerra Mondiale e non ai giorni nostri!

Tesla riteneva che una delle sue invenzioni, il "trasmettitore d'ingrandimento", poteva essere considerata una macchina adatta all'attacco e alla difesa, in particolare perchè collegata alla teleautomatica, ovvero al controllo remoto di automi.
"Nel 1898 e nel 1900 fu offerta al Governo e sarebbe stata adottata se io mi fossi comportato in maniera accondiscendente. A quell'epoca ero seriamente convinto che la mia macchina, a causa del suo potenziale distruttivo e per via della completa eliminazione dell'elemento personale di combattimento, avrebbe contribuito a scoraggiare qualsiasi tipo di guerra. Tuttavia, mentre non ho perso la fiducia nelle sue potenzialità, il mio punto di vista è cambiato."

In questo passaggio Tesla, da grande inventore diventa grande uomo, pensatore, statista, e affronta il problema etico dello scienziato posto di fronte ad una scelta tra la sua creazione e la sopravvivenza del genere umano.

Poco dopo esprimerà le sue idee sull'origine dei conflitti e su come controllarli:

"La guerra non potrà essere evitata fino a quando non sarà rimossa la causa fisica del suo continuo ripetersi, rappresentata in ultima analisi dalla sconfinata estensione del pianeta in cui viviamo. Solo attraverso l'eliminazione delle distanze in tutti i loro aspetti, cioè nella trasmissione di informazioni, nel trasporto di passeggeri, nell'alimentazione e nella libera trasmissione dei energia, le condizioni per una migliore convivenza saranno apportate entro breve tempo, assicurando così stabili rapporti d'amicizia. Quello che vogliamo più di ogni altra cosa sono relazioni più strette e una migliore comprensione tra le persone e le comunità in ogni luogo della Terra, oltre all'eliminazione di quella devozione fanatica che esalta ideali di supremazia e onore nazionale sempre pronti a far precipitare il mondo nella barbarie primordiale e nel conflitto."

Forse un po troppo idealista, si potrebbe pensare, ma occorre ricordare che Tesla era un uomo molto particolare.
In ogni caso è bene non farsi ingannare dalle sue parole che potrebbero farlo assomigliare ad un sognatore, Tesla era ben consapevole dei problemi reali e della natura umana e sapeva bene che: "la pace potrà stabilirsi solamente com
e conseguenza naturale dell'illuminismo universale e della fusione delle razze, e noi siamo ancora troppo lontani da questo importante obiettivo".


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 22 maggio 2016

Le mie invenzioni, Nikola Tesla

(Autobiografia di un genio)

Chi mi legge abitualmente sa che ho già scritto su Nikola Tesla. Ho letto diversi libri su colui che considero uno dei più grandi geni di tutti i tempi.
Chi ha letto qualcosa sa che Tesla era un uomo fuori da l tempo, era una persona speciale.
Ma da cosa derivava la sua genialità?

Il libro che ho appena terminato di leggere, almeno in parte, cerca di soddisfare questa curiosità. Il libro è stato scritto nel 1919 quando Tesla aveva 63 anni, morirà 24 anni dopo, dunque l'autobiografia non può essere considerata definitiva.

Tesla si definiva come "il peggiore degli scansafatiche" non certo perchè non lavorasse, anzi, passava giorno e notte a lavorare e studiare ma questo suo lavoro spesso era limitato al pensare e immaginare le sue invenzioni che poi realizzava.

Tesla, durante la sua vita, è sempre riuscito a fare ciò che più amava ed ogni suo impegno era sempre nella direzione di poter proseguire il suo lavoro di inventore: "Ogni sforzo eseguito sotto costrizione esige un grande sacrificio in termini di energia vitale. Non ho mai pagato un tele prezzo. Al contrario ho prosperato grazie ai miei pensieri."

Tesla era consapevole di essere una persona particolare. Da ragazzo aveva sofferto tanto per la morte del fratello e per una depressione dovuta all'apparizione di immagini e lampi di luce che gli impedivano di vedere la realtà che lo circondava.

La sua "malattia" lo portò però ad ipotizzare la possibilità di realizzare una invenzione molto particolare, potremmo dire che si tratti di un proiettore di pensiero. Tesla afferma di studiare all'invenzione da tempo e di essere sulla buona strada, essendo riuscito a proiettare i suoi pensieri nella mente di una persona che si trova in una stanza attigua. Che fine hanno fatto le sue esperienze? Chi ha preso il suo posto? Tesla era un genio, chi prenderà il suo posto sarà un altro genio!

Tesla utilizzò le sue particolari caratteristiche per migliorare la sua inventiva. Riuscì infatti a volgere la malattia di cui soffriva a vantaggio della sua capacità inventiva. Con il tempo e l'esperienza riuscì infatti a controllare il suo cervello affinchè le invenzioni nascessero e venissero sviluppate e testate nella sua mente: "Mi resi conto con grande piacere della facilità col la quale riuscivo a visualizzarle. Non avevo bisogno di modelli, disegni o esperimenti. Potevo raffigurarle nella mia mente come fossero reali. Inconsciamente elaborai così ciò che considero un nuovo metodo per materializzare concetti e idee relativi alle invenzioni, un metodo completamente opposto a quello puramente sperimentale, e a mio parere anche molto più veloce ed efficiente.Infatti appena qualcuno inizia a costruire un dispositivo per realizzare nella pratica un'idea appena immaginata, si trova inevitabilmente bloccato a definire i dettagli del dispositivo stesso. Più che si va avanti nel migliorarlo e nel ricostruirlo più la concentrazione diminuisce perdendo la visione d'insieme del fondamentale principio di base [..] Il mio metodo è diverso, io non mi getto a capofitto sul lavoro concreto. Quando ho un'idea inizio immediatamente a svilupparla grazie alla mia immaginazione. Modifico la struttura, attuo miglioramenti e ne verifico il corretto funzionamento nella mia mente. Per me è la stessa cosa far girare la turbina nella mia mente oppure testarla nel mio laboratorio. Riesco perfino a capire se è sbilanciata. non c'è differenza, il risultato è lo stesso."

Ecco come lavorava il genio. Ecco come Tesla inventava.
Che potenza!
Immaginate cosa significherebbe avere degli inventori che lavorano con il metodo di Tesla? Certo, forse è impossibile perchè per farlo occorrerebbero persone come lui, ma solo per un attimo riuscite immaginare cosa potrebbe significare sviluppare il suo metodo?
Enorme risparmio di tempo e di materiali in esperimenti ma soprattutto uno sviluppo molto più veloce!

Ecco qualcosa a cui pensare.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO





venerdì 20 maggio 2016

Introduzione alla scienza dell'occulto, di Giuliano Kremmerz

Un "libriccino" interessante, trovato nella vetrina di un mercatino dell'usato e acquistato per 5 euro!
Dall'introduzione:
        "Invitiamo il lettore ad un attento esame del contenuto di questo libriccino. Molte più cose di quelle che non appaiono scritte vi sono contenute..."

Giuliano Kremmerz, alias Ciro Formisano, nato a Portici nel 1861 era uno scrittore, alchimista e esoterista.

Quale è la differenza tra Spiritismo e magia?

Esistono gli spiriti o si tratta "solo" di fenomeni materiali che si verificano in determinate condizioni del sistema nervoso?

Cos'è la magia se non la sapienza assoluta, universale, chiave di tutte le scienze? 

Il suo è un intento didattico, Kremmer dice nel testo: "Ebbene io no accingo a questa opera tutta moderna di togliere maschera, cappuccio e mantello all'occultismo, di presentarlo ignudo ala ribalta, ed offrirlo alla comcupiscenza di tutti coloro che ne vogliono saggiare le voluttà non più misteriose."

Ecco dunque che l'autore - mago - maestro stringe un patto con il lettore - apprendista - allievo: 
         "Io parlerò e scriverò chiaro - voi per intendermi bene non dovete che seguire con scrupolosità fedele tutto quanto è necessario per riuscire. Io vi prometto di darvi nelle mani il Secretum secretorum di tutte le antiche cabale, farvi diventare sapienti e miracolosi come tanti mefistofeli in marsina  e guanti tortorella, purchè voi, da vostra parte, vi mettiate in condizione di comprendere tutto ciò che io chiaramente scrivo, di parlare il meno possibile, di discutere innanzi al fenomeno e non dire come gli ignioranti: io non ho visto, dunque niente è vero. Bisogna studiare, tacere e attendere. Bisogna capire bene e provare attentamente. Se la prova non vi riesce, non dite: il maestro è pazzo; dite invece semplicemente che non avete capito e ritentate."

La Magia è, secondo Kremmerz, la sapienza assoluta ovvero la sintesi di tutto ciò che è stato, che è e che sarà. 
Il termine "magia" racchiude tutti gli attributi dell'onnipotenza divina, se per "dio" si intende la suprema intelligenza che crea, regola e conserva l'universo.   

Dalle note del libro si apprende che: "Magheia in greco, d'onde è venuta la parola magia, è alterazione delle parole Mag, Megh, Magh che in pelvi e in zend, lingue dell'antico oriente, significano prete perfettissimo, sapiente. In Caldeo Magdhira equivale ad alta sapienza." Da ciò si capisce che il Mago è un sacerdote, un sapiente conoscitore dell'universo.

Il Kremmerz prosegue nelle sue spiegazioni cercando di essere sempre chiaro, per quanto l'argomento lo consenta. 
Mi hanno molto colpito i giudizi dell'autore sui sacerdoti e sui massoni: 
           "Si prega l'amico lettore di non interrogare su questo punto nè un prete, nè un massone. Il prete cadrebbe dal settimo cielo ed il massone dal quinto piano della torre di babele; poichè nei seminari arcivescovili non si preparano i sacerdoti sapienti, ma i mestieranti, e nelle logge dei liberi muratori politicanti e pappanti si ignora persino che il triangolo di cui fanno pompa è fratello all'altro, che nelle chiese si dipinge sul capo del Padreterno. Il prete dovrebbe essere un iniziato, cioè un partecipante del segreto di Dio, come un massone di ultimo grado dovrebbe tenere nella saccoccia dei pantaloni tutta la sapienza dell'universo. Invece all'epoca del cinematografo e della linfa della peste, il prete ed il massone sono estranei alla loro casa; l'uno consacra come un impiegato del Cristo e l'altro chiede un impiego ai fratelli per edificare il proprio tempietto. Gli antichi chiamavano costoro profani  da pro innanzi e fanum tempio, sarebbero cioè della gente che gracchia fuori le porte della casa di Dio."

Come ho detto all'inizio, "libriccino" interessante, utile per avere una idea dei concetti alla base dell'occultismo.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 15 maggio 2016

In missione, di Vincenzo Fenili

(Agente Kasper - una vita sotto copertura)
La prima domanda che mi sono posto quando ho iniziato a leggere il libro è stata: chi è in realtà Vincenzo Fenili? 
Ho impiegato un po di tempo nel farmi una mia idea, ma la risposta è sotto gli occhi di tutti e sta in copertina:  un agente sotto copertura.
"Sei sicuro?"  Potrebbe domandarmi qualcuno.
"Sicuro? No, naturalmente. Non sono sicuro, ma da ciò che ho letto posso dire che è possibile."
Ecco, dunque ho deciso di credere a quanto l'autore racconta e a quanto è possibile conoscere da vicende più o meno pubbliche le cui tracce possono essere trovate su internet.
In missione, è il secondo libro dell'autore (il primo è "Supernotes"), il libro racconta la storia di una vita passata al servizio dello Stato italiano e di come l'autore sia stato "ricompensato" per il suo operato, racconta la storia di alcune operazioni condotte sotto copertura, dal 1980, quando Fenili venne arruolato in GLADIO, fino ai giorni nostri. Traffico internazionale di droga, tentati colpi di Stato, vicende mai del tutto chiarite della storia d'Italia.
Nel romanzo/dossier non esiste solo lui, Vincenzo Fenili alias agente Kasper, ma è possibile trovare anche altre figure quali il Generale Ganzer, Carabiniere e Comandante del ROS, accusato di traffico internazionale di droghe e di associazione a delinquere e poi assolto dalla Cassazione, nel gennaio 2016, da tutte le accuse rivoltegli.
Nel libro l'agente Kasper insegue il tenue filo che dai tempi della Guerra Fredda e della caduta del muro di Berlino arriva fino ai giorni nostri sotto forma di diverse valigette cariche di esplosivi nucleari distribuite nelle principali città europee. 
Questa storia si intreccia con le vicende dell'intelligence americana e di come l'organizzazione si procura i finanziamenti attraverso la stampa clandestina di dollari, storia raccontata nel precedente libro (che, tra l'altro, leggerò appena possibile!) e con le vicende personali di un agente che alla fine...

Sullo sfondo vi sono le vicende umane dell'uomo Vincenzo Fenili, con i suoi problemi col padre, un entomologo che forse non l'ha mai capito o forse l'ha capito e ha cercato di risparmiargli le delusioni a cui dovrà andare incontro.
La storia raccontata è la storia di uomini al servizio dello Stato ma anche dello Stato italiano e delle relazioni di forza esistenti con altri stati nel campo dell'intelligence internazionale. 
E' la storia di come talvolta non è così semplice dire quali sono i buoni e quali i cattivi. 
Il libro è anche la storia di come gli americani sostengono la loro economia: "L'America è in guerra da sempre. Non si sono mai fermati: Seconda Guerra Mondiale, Corea, Vietnam, guerre per delega... Quando è venuta meno l'URSS si sono inventati il terrorismo. La loro economia si fonda sulla guerra. Non voglio dire che siano loro a indurle, ma se non lo facessero sarebbe un problema." 

Leggere il libro di Vincenzo Fenili non è come leggere un romanzo qualunque perché il suo non è un romanzo qualunque, è un libro che fa riflettere e, forse per questo motivo, è un libro da leggere con calma.

All'autore un grosso in bocca al lupo, ai lettori una raccomandazione: leggete "In missione" come se leggeste un libro di storia, verificando le informazioni che vi vengono fornite di volta in volta per potervene fare un'idea tutta vostra. Scoprirete così tante cose sulle quali forse non si sa ancora abbastanza.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 7 maggio 2016

La guerra è finita!

Per chi, come me, non ha vissuto la 2^ guerra mondiale, è difficile farsi un'idea precisa dei sentimenti che doveva provare chi invece la guerra l'aveva vissuta sulla propria pelle.
Immagino che sia altrettanto difficile capire cosa provassero i nostri anziani o i militari quando, finalmente, vi fu l'annuncio della fine della guerra.
Talvolta però la vita ci riserva (gradite) sorprese e così, mentre ci si aggira per le bancarelle di un mercatino delle pulci alla ricerca di vecchie cartoline o libri antichi, può capitare di imbattersi in un cimelio che ci riporta indietro nel tempo, agli anni della guerra. Nel mio specifico caso, esattamente ai giorni in cui vi fu l'annuncio della fine della seconda guerra mondiale.
Chi scrive è il Caporale Paul S. Luotto, in servizio presso il 161° Reggimento di stanza nelle Filippine, un trasmettitore americano (signal) in servizio presso una delle stazioni radio nel pacifico, da quanto ho capito. 
Il cognome, Luotto, e il fatto stesso di aver trovato la lettera in un mercatino a Roma, fa pensare che il Caporale, o la sua famiglia, fosse di origine italiana.
La lettera è indirizzata alla mamma, Andre Luotto, a Brooklyn ed è datata 4 settembre 1945. Di seguito ve n'è una seconda, datata 9 settembre ma spedita assieme alla precedente.
Cercherò di riportare il più fedelmente possibile ciò che il Caporale scrive alla mamma, per le parti che sono riuscito a capire e che in qualche modo hanno a che vedere con la fine della guerra.

4 settembre 1945.

                "Cara mamma, mi dispiace per non averti scritto come avrei dovuto, ma è uno di quei periodi in cui non accade niente di cui si possa parlare, quanto meno è da diverse settimane che non frequento la scuola. Sto lavorando alla radio.
Ho molto gradito le numerose lettere che tu e papà mi avete scritto.
Posso capire quanto voi siate stati spinti dalla improvvisa fine (immagino che la fine sia sempre improvvisa) di questa guerra.
Noi saltammo dallo stupore quando il Giappone per primo chiese la pace. 
Le urla cominciarono a farsi strada di tenda in tenda nell'area della compagnia.
Era circa mezzanotte ed eravamo un po infastiditi da quegli ubriaconi di ... che ci impedivano di dormire.
Quando la notizia raggiunse la nostra tenda, ragazzi, abbiamo cacciato un urlo!
Dunque ci vestimmo (alcuni di noi indossarono i pantaloni e scarpe alla bell'e meglio) e ci sostituimmo ai vicini ubriachi fino a che anche noi non fummo ubriachi."

Certo che deve essere un bel sollievo, sapere che la guerra è finita, che si può ricominciare a sperare nel futuro, che si può tornare a casa.

                 "Ma quando il giorno della vittoria fu infine proclamato... la nostra preoccupazione e interesse principale fu quella di cercare di capire quando saremo potuti tornare a casa.
Tu sei stata probabilmente informata dai giornali che la 25^ Divisione è incaricata della occupazione dell'isola giapponese di Kyushu. Sull'isola si trova la antica città di Nagasaky, lo so perché il quartier generale delle trasmissioni si è accampato in questo sito."

La lettera prosegue con i saluti alla mamma e al fratello Eugene, oltre al commento sulla difficoltà nello studio della lingua giapponese.


9 settembre 1945.
                "Cara mamma, questa è la prima lettera che scrivo senza pensare alla censura, ed è un vero piacere!
In queste ultime settimane sono stati molto laschi anche se ufficialmente la censura doveva essere osservata come sempre. Sono stato molto sorpreso di scoprire che quanto detto l'ultima volta sui movimenti della 25^  Divisione non sia stato censurato."

La censura, in guerra, è una cosa comune, direi necessaria, per evitare che informazioni importanti come lo spostamento di una unità, dati di forza o condizioni operative, possano finire involontariamente in mano al nemico. Può sembrare lesivo della propria libertà ma è una cosa necessaria e nella seconda guerra mondiale l'esercito americano la esercitava.

             "Come detto, siamo stati pianificati per occupare Kyushu entro un mese... Stiamo per ricevere il nuovo equipaggiamento...
Riguardo quelli con il mio grado, saremo pagati dieci dollari al mese. Sarà impiegata la valuta americana d'occupazione, 15 yen per un dollaro d'occupazione. 
Se un giapponese venisse trovato in possesso di equipaggiamento da guerra rischia una pena dai venti anni di carcere fino alla condanna a morte.
Dobbiamo comportarci convenientemente ma rigidamente, altrimenti non ci rispetteranno... Dimenticavo di dirti la novità più importante. Se guardi l'indirizzo potrai notare che ora mi trovo nel quartier generale del 161° Reggimento... l'unica cosa che non mi piace è come ci svegliano al mattino... Ma quando senti un colpo di howitzer da 105, ti svegli e ti vesti di corsa. La prima mattina mi è quasi venuto un colpo!


Leggere queste poche pagine mi ha spinto ad indagare sui fatti accaduti in quegli anni lontani così ho scoperto, tra l'altro, che il 161° Reggimento in effetti tornerà a casa il 1° novembre 1945, sostituito dal 4° Reggimento di fanteria.
Mi piace pensare che di li a poco il Caporale Paul S. Luotto sia potuto tornare a a casa, a Brooklyn, dai genitori e godersi il meritato riposo. 

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 30 aprile 2016

L'umanità dopo il Diluvio Universale, secondo Annio da Viterbo

Scizia, immagine tratta da Wikipedia (Di Dbachmann)
Il secondo capitolo delle antichità di Beroso Caldeo, di Annio da Viterbo, riporta le origini dell'umanità dopo il Diluvio Universale.
Secondo Annio, che cita tanti antichi autori a testimone, dopo il Diluvio la terra fu popolata a partire dalla Scizia.
Gli Sciiti sarebbero quindi i primi uomini dopo il diluvie e da loro partirono varie colonie. Da loro discese Iano, Diri e i Galli.
Gli Sciti, o Armeni o ancora Saga, perche crearono la città di Sagalbina. I Ramei parlano di gente Saga, i Toscani li dicono Sangni, i Latini Sancta, ma tutti hanno lo stesso significato, ovvero puro, santo, religioso.
Iano arrivò in Toscana e il suo seguito era detto Sagi, da essi la foce del Po prese il nome di Saga.
Annio da Viterbo aggiunge alcune considerazioni sul termine Titano. Dice che Noè non è altro che Caos o ancora Iano. Noè era sposato con diverse mogli, una di esse si chiamava Titea, essa ebbe dei figli che dal suo nome vennero detti Titani. Secondo Annio che prende da Beroso, Noè era un gigante, dove per gigante egli intende uomo grande e forte per corporatura e armi, diciamo che forse potrebbe tradursi con potente. Noè veniva anche chiamato Ogigiga saga, ovvero "pontefice illustre delle cose sacre".
Iano era anche detto "cielo" e la moglie Titea era anche detta terra, da ciò si disse che gli uomini erano figli di Cielo e Terra.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO





venerdì 29 aprile 2016

I cinque libri delle antichità di Beroso sacerdote Caldeo, di Annio da Viterbo

Annio da Viterbo è considerato da tanti (ma non da tutti) un falsario della storia antica.
Meglio esser chiari con tutti coloro che per qualsivoglia motivo si trovano a leggere queste pagine. Se volete lasciate perdere questo post.
Ok, io vi ho avvisato, se continuate a leggere è una vostra scelta e non ho niente da rimproverarmi.
Tanto per cominciare mi sembra corretto dire che Annio da Viterbo è stato accusato di aver falsificato la storia antica quando non poteva più difendersi.
I suoi accusatori se la presero con lui e con le sue opere dopo la sua morte, già questo da da pensare.
Giovanni Annio da Viterbo era un frate Domenicano, vissuto tra il 1432 e il 1502.
Negli ultimi anni di vita (1499) fu nominato Maestro del sacro palazzo apostolico dal papa Alessandro VI.
E' autore di una opera chiamata Antiquitatem Variarum considerata poi una opera di falsificazione storica.
Detto ciò passiamo all'opera, vera o falsa che sia, vediamo che cosa ci dice di interessante Annio.
Annio afferma di aver utilizzato diverse opere antiche per comporre la sua opera. Tra gli autori utilizzati vi è Beroso, sacerdote Caldeo del III° secolo a.C., il quale trasse le sue informazioni direttamente dai testi Caldei.
In particolare Annio afferma di utilizzare i seguenti autori e le loro opere:
- Beroso, delle antichità di tutto il mondo;
- Supplemento di Manetone a Beroso;
- Equivoci, di Senofonte;
- Fabio Pittore, de l'urea età et origine di Roma;
- Mirsilio, della guerra Pelasgica;
- Frammenti, di Catone;
- Itineraio, di Antonino Pio;
- La divisione dell'Italia di Caio Sempronio;
- Archiloco, de tempi;
- Metastene, del giudizio dei tempi e delle storie annuali dei persiani;
- Filone, dei tempi;
- Emendatissima descrizione dei tempi;
- Il sito di Cilicia, di Annio;
- Sito della Spagna in dialogo;
- Dei primi tempi e dei 24 re di Spagna.
Annio ci racconta qualcosa sulla vita di Beroso, in particolare su chi fosse, quando e dove operò. Apprendiamo così che Beroso operò ad Atene e si decise a scrivere sui tempi antichi per colmare il vuoto dei greci che avevano scritto solo fino a Foroneo. Annio riassume i cinque libri di Beroso dicendo che nel primo libro si parla dei tempi antichi precedenti al diluvio, nel secondo si parla degli Dei, ovvero dei capitani e duchi dopo il diluvio. Nel terzo parla di Iano e dice che si tratta dello stesso Noè, nel quarto parla degli antichi regni e nel quinto di alcune storie particolari.
Ma vediamo cosa si dice nel libro primo di Beroso, sui tempi antichi prima del diluvio. Tanto per cominciare Annio elenca i diluvi famosi e dice che ve ne erano stati cinque, almeno secondo quanto dice Senofonte negli Equivoci.
Il primo è accaduto sotto il regno di Ogige fenicio ed è l'unico che possa chiamarsi realmente "Universale".
ll secondo è detto Niliaco ed avvenne sotto il regno di Prometeo o Ercole Egizio. Il terzo è detto diluvio Attico ed avvenne sotto il regno di Ogige re di Atene. Il quarto è detto Tessalico ed avvenne sotto il regno di Deucalione. Questo diluvio è dai greci chiamato diluvio universale ma la cosa non è vera. Il quinto si chiama Faronico ed avvenne nei pressi di Alessandria d'Egitto al tempo di Proteo l'indovino.
Secondo Annio, tra il primo diluvio, quello sotto Ogige Fenicio, e l'ultimo, passarono 700 anni. Ovvero il Diluvio universale avvenne 250 anni prima del regno di Nino.
Annio osserva che il diluvio avvenne in concomitanza di "una grande congiunzione di stelle".
Ora, Nino fu un mitico re Assiro, marito di Semiramide. Se le datazioni sono corrette, Semiramide e Nino regnarono intorno all'800 a.C. dunque il diluvio Universale citato dovrebbe essere avvenuto intorno al 1050 a.C.
E per oggi basta così.

A presto.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 27 aprile 2016

Ravenna, città antichissima

Leggere non significa credere in tutto ciò che si legge, ma certamente chi legge non può evitare di riflettere su ciò che trova. 

La storia critica di Spagna, di Gian Francesco Masdeu, è fonte di tante notizie interessanti, anche se talvolta il Masdeu cita opere e autori solo per affermare che non è d'accordo con loro o per tacciarli di creduloneria.

Comunque sia, è indiscutibile il fatto che tra i tanti discorsi sull'origine della Spagna, il Masdeu citi anche autori italiani. Tra questi mi ha colpito un passo in cui egli cita un autore italiano del 1391 che ha pubblicato un testo chiamato: Origine Antica dell'Italia. Nel testo sembra che l'autore asserisca che uno dei primi re spagnoli, Tubal, sia arrivato in Italia in tempi antichissimi per popolarla. Per dar garanzia dell'autenticità di quanto affermato, l'autore asserisce che le notizie che riporta su Tubal e sugli antichi italiani, sono tratte da un testo antichissimo intitolato: "Cronica di Ravenna scritta in lingua ebraica dallo stesso Tubal fondatore di quella città".
Se sia vera o falsa la notizia, a me interessa relativamente. Invece mi interessa molto sapere se tale libro esiste ancora e se si, cercare di leggerlo.
Detto ciò, vi saluto e mi metto subito alla ricerca della Cronica di Ravenna.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 24 aprile 2016

La graditissima recensione di un amico: Carmelo Sarcià

Un interessante libro di Alessandro Giovanni Paolo Rugolo
BREVE STORIA DELLA SARDEGNA VOL 1° ANTICHITA’
Bibliofilo intelligente e scrittore appassionato Rugolo porta alla luce remote tracce di Sardegna
(Greccio (RI), 18/04/2016)
Sembra sia passato pochissimo tempo dacché Alessandro Rugolo, mio giovane amico, mi faceva omaggio della sua ultima fatica letteraria: “Breve Storia della Sardegna - Volume I -  Antichità”, di cui avevo promesso la recensione. Era il 18 dicembre dello scorso anno. Quindi mi scuso per il ritardo con cui adempio alla promessa. Il tempo è davvero volato via senza che me ne accorgessi, tra impegni familiari e personali. Tuttavia gli impegni non mi hanno comunque impedito di assaporare, capitolo dopo capitolo, l’interessante testo. Non nascondo la mia curiosità per gli argomenti che seguiranno nei prossimi volumi che completeranno la collana. Il progetto del mio amico Rugolo promette infatti di essere vieppiù interessante, benché riservato a studiosi e appassionati di storia della Sardegna. Materia trattata in modo sicuramente avvincente e, per quel tanto che può risvegliare la moderna pigrizia di leggere, anche “leggero”. Questo primo volume, sarà lo stesso per quelli che seguiranno, rende un lodevole servizio innanzitutto alla cultura e, di concerto con essa, un omaggio all’amata Terra di Sardegna ed al suo Fiero Popolo. Scorrendo la bibliografia, ci si rende subito conto dell’accurato ed approfondito studio che l’Autore ha dovuto compiere per estrapolare e coordinare le moltissime tracce che autori antichi e più recenti hanno lasciato della Sardegna e della sua storia nei loro scritti. Apprendiamo ad esempio che già in epoca antidiluviana (Matteo Mada, 1792) la Sardegna, conosciuta come Isola di Ichnusa, aveva un ruolo di spicco nel Mediterraneo. Particolare interesse hanno destato in me le citazioni di Diodoro Siculo (Primo Secolo A.C.) che incidono nel profondo ed offrono l’immagine di una Sardegna antichissima di storia e di costume, proponendola come terra eterna, stabile e aliena alle sorprese: un popolo nobile, intriso di una immutabile tradizione, legato al proprio tessuto sociale e tutt’uno con una terra magica. Interessante, e per me nuova, la nota dello studioso Skender, amico personale dell’Autore, sull’origine dei nomi che iniziano per “S”, nel caso di specie, il nome Sardegna. Facile dedurne che probabilmente anche il mio cognome abbia potuto forse subire una analoga evoluzione. Lo studio da me compiuto sull’opera di Rugolo mi ha riservato continue sorprese. Davvero inaspettata l’esistenza bibliografica di una tanto copiosa messe di citazioni della terra di Sardegna e dell’influenza esercitata dal suo popolo in fatti storici rilevanti che hanno riguardato anche l’evolversi della civiltà continentale. Cos’altro aggiungere? Libro scorrevole, avvincente, comunque riservato a persone colte, a studiosi e soprattutto a personaggi innamorati della Sardegna, della sua storia e dei suoi costumi, come del resto è il mio giovane amico Alessandro Rugolo che ringrazio per la fiducia accordatami ed al quale rivolgo il mio personale plauso per la non facile opera compiuta. Con l’augurio che possa trovare presto tempo e passione per completare l’intera collana.
Greccio, 18 aprile 2016

domenica 17 aprile 2016

Ricordi del passato: l'Italia coloniale

Vi fu un tempo in cui l'Italia, forse drogata da idee di potenza molto comuni in Europa, pensò di poter tornare a essere un Impero, così nel 1935 e 1936 intraprese la sua avventura africana.

Pochi italiani ricordano quel periodo però se vi aggirate per i mercatini delle pulci potreste imbattervi in qualche ricordo del tempo che fu, come è capitato a me.
Sfogliavo un mazzo di vecchie cartoline alla ricerca di qualche francobollo da aggiungere alla mia collezione quando sono stato attirato da una cartolina postale dell'Africa Orientale.
C'è voluto poco per capire che si trattava di una cartolina proveniente dall'Africa Orientale.

Chi scrive è il Caporal Maggiore Ciani, in forza al 4° Fanteria della Divisione Peloritana, che evidentemente in quel periodo si trovava a Dire Dawa, in Etiopia. 
Si tratta di poche parole di saluto alla famiglia in risposta ad un telegramma di auguri.
Chissà se il ragazzo è riuscito a tornare dalla guerra e riabbracciare la famiglia.

Continuo a frugare tra le carte, incuriosito, alla ricerca di qualche altro pezzo di storia.
Poco dopo trovo una lettera di un soldato, Andrea, che scrive alla signorina Anna, a Roma.
Scrive dalla valle Gobat, credo si trovi in Eritrea.
Questa volta si tratta di una bella lettera che voglio riportare per intero, non sempre infatti i nostri soldati erano impegnati in azioni di guerra, anche se la guerra è sempre presente, e quello che leggo mi fa riflettere.
Le uniche mie modifiche sono per correggere alcuni errori di ortografia a la punteggiatura non sempre presente:

"Carissima Anna,
anche ieri una bellissima marcia verso nuovi lidi e ora siamo fermi sulle cime di due monti. Ai nostri piedi c'è una bellissima valle e, come si dice, è qui che dobbiamo aspettare il nemico e farne un macello.
Anche ieri, durante il nostro tragitto tutti i villaggi dei Tempien erano pieni di bandiere bianche e gli indigeni ci aspettavano a frotte e li ci salutavano con grida acutissime che un nostro soprano non si sarebbe mai sognato di fare.
In un villaggio incontrato sul mio cammino andai a vedere se potevo comprare dei polli e ne trovai tre. Gli diedi dieci lire di carta ma non li vollero allora mi frugai nelle tasche e trovai due monete da quattro soldi e ripresi le dieci lire e gli diedi gli otto soldi. Loro, tutti contenti, si misero a ballare. In quel mentre passò un aeroplano, loro si buttarono tutti per terra e si coprirono la faccia. Io colsi subito l'estro. Vidi un pollo che era rimasto nelle mani di uno di quelli, glielo tirai via e me ne andai. Dopo fatti un centinaio di passi mi voltai indietro ma nessuno si era mosso, erano ancora tutti prostrati. Tu mi biasimerai ma, cosa vuoi, quattro polli abissini con otto soldi italiani erano ben pagati e poi ci avevo un'attenuante, era parecchio che non ne mangiavo più."

La lettera prosegue con i saluti di rito...

Spero che Andrea sia riuscito a tornare dall'avventura italiana in Africa e abbia potuto riabbracciare la signorina Anna.
In tanti purtroppo non sono mai tornati dalle loro famiglie.
 
Io invece conto di tornare tra le bancarelle del mercatino delle pulci, magari la settimana prossima, alla ricerca di altri momenti di vita vissuta, che nella loro semplicità meritano di essere ricordati.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 9 aprile 2016

Mai avere paura, di Danilo Pagliaro con Andrea Sceresini

Devo ammetterlo, quando ho iniziato a leggere il libro di Danilo Pagliaro non avevo capito cosa avevo tra le mani.
Sarà "colpa" della copertina, oppure del fatto che di solito non leggo l'anteprima del libro, ma mi aspettavo un romanzo di guerra. Per fortuna così non è stato. Ho iniziato a leggere il libro ieri e oggi l'ho terminato. Devo dar ragione a Nunzio, il lettore che ha commentato il libro. Si legge tutto d'un fiato.
Ma allora, se non è un romanzo, di che si tratta?
La cosa cui questo libro assomiglia di più è una biografia. Ma non solo la biografia di un legionario della Légion étrangère, un soldato di nome Danilo Pagliaro alias Pedro Perrini, ma anche la biografia della stessa Légion étrangère.
Chi leggerà il libro, e mi auguro che siano in tanti, troverà una enorme quantità di informazioni sulla Legione, a partire da quelle necessarie per arruolarsi alle principali operazioni alle quali ha partecipato l'autore in prima persona, oltre naturalmente alla vicenda umana di Danilo.
Danilo Pagliaro è italiano per cui molti riferimenti e paragoni sono fatti con l'Italia. La storia dell'aspirante legionario Danilo Pagliaro inizia in Italia nel 1994, quando un uomo che ha probabilmente poco da perdere decide che è arrivato il momento di cambiar vita. La storia del legionario Pedro Perrini, inizia nello stesso anno, ad Aubagne, cittadina francese sede del Comando Generale della Legione straniera.
L'autore racconta le fasi del suo arruolamento e il duro addestramento militare che lentamente lo porterà a diventare un kepì blanc.
Danilo non si ferma però al solo aspetto descrittivo ma cerca in ogni occasione di far comprendere al lettore lo spirito del legionario, cerca di far capire cosa significhi essere militare, non nascondendo le sue idee in merito ai disertori, anche connazionali.
La vita del legionario è dura, anche se negli ultimi anni per ammissione dell'autore, è comunque cambiata, in meglio per alcuni aspetti, in peggio per altri. La società è cambiata e con essa i valori, ci dice. Personalmente condivido quasi in toto le sue considerazioni sul declino della società moderna.
In definitiva il libro è sicuramente da leggere, fa discutere e riflettere non solo sulla Légion étrangère ma sulla società moderna e sulle Forze Armate in particolare.
Complimenti e in bocca al lupo Danilo!

Alessandro Rugolo

Danilo Pagliaro, Andrea Sceresini
Ed. Chiarelettere
pagg. 224 

sabato 2 aprile 2016

Appunti sulla Spagna antica, da Masdeu e Annio da Viterbo

Annio da Viterbo, nato come Giovanni Nanni, visse e operò a Viterbo a cavallo tra il 1400 e il 1500. Morì a Roma nel 1502. E' accusato di essere un falsificatore della Storia antica per aver scritto un'opera dal titolo Antiquitatum Variarum.
Ad oggi non ho ancora avuto modo di leggere la sua opera, cosa che spero di poter fare presto. Perché mai, direte, visto che Annio da Viterbo è considerato un falsario?
Tanto per cominciare, per curiosità! Sono sempre stato curioso e non vedo per quale motivo non dovrei esserlo ora. Poi perché sono malfidato. Annio da Viterbo è stato accusato di essere un falsario dopo la sua morte. Non ha avuto dunque modo di difendersi dalle accuse. Siamo poi certi che le accuse siano esatte?
Dobbiamo credere ciecamente a Scaligero e a chi lo accuso?
No, mi spiace, io non credo in niente solo perché me lo dice qualcuno.
Infine perché Annio parlò di tempi fantastici e di cui in pochi parlarono. Oggi non abbiamo molte testimonianze di quei tempi remoti e magari, anche solo per sbaglio, qualcosa potrebbe essere buona. Non è detto che un falsario falsifichi tutto, anzi, probabilmente per fare un buon lavoro deve usare materiale buono come base.
Ecco, mi sembra che le motivazioni siano più che buone per proseguire nella mia ricerca.
Ora, questa mattina ho proseguito nella lettura del Masdeu sulla storia della Spagna e mi sono imbattuto in un sunto della cronologia della Spagna di Annio da Viterbo, alla quale il Masdeu, seppur non presta fede, fa riferimento. Mi è sembrato utile condividerla con tutti voi che leggete per eventuali considerazioni, così cercherò di riportarla come il Masdeu ce la ha tramandata.

Marmo Osiriano: falso attribuito ad Annio da Viterbo

"Le origini spagniuole non solamente sono state oscurate, e corrotte dagli antichi Millantatori della Grecia, d'e quali finora si è parlato, ma da varj moderni ancora d'ogni nazione dietro la scorta del Viterbese Giovan Nanni, detto volgarmente Annio. Egli pubblico l'anno mille quattrocento novantotto alcune opere fin'allora non conosciute di vari antichi scrittori, e nominatamente le Storie del celebre Beroso di Caldea, sulle quali fondò il libro latino Degli antichi tempi e de' primi 24 re della Spagna, libro dedicato da lui, per renderlo più autorevole a' Cattolici re di Spagna Ferdinando e Isabella.
Questo rinomato religiosi di Viterbo distese con tal puntualità ed esattezza cronologica l'antica storia de Monarchi Spagnuoli che se vissuto egli fosse a quei tempi non l'avrebbe più esattamente descritta.
Egli comincia il suo catalogo da Tubal primo sovrano, e Legislatore, che ebbe la sua corte pastorale in Tarragona dall'anno 143, dopo il Diluvio, e lo continua senza nessun interrompimento per dieci secoli, fino ad Abide nipote di Gargori il Mellicola, sotto cui gli Spagnuoli cominciarono a contar felicemente il secondo millennio. Di questi mille anni regnarono successivamente ventiquattro monarchi, di tutti i quali egli dice appuntino il primo, ed ultimo anno del loro regno. Eccone in compendio un piccolo Indice."

Dunque, come ho già accennato, il Masdeu non sembra avere una grande opinione di Annio viterbese, eppure ne parla, ne cita l'opera (presunta falsa) e fa addirittura un indice dei re che a parere di Annio regnarono. Ci sarebbe da chiedersi il perchè. Cosa ha spinto un autore rispettato a parlare di Annio? SOlo il fatto di voler mettere tutti sull'avviso dalle falsità da lui raccontate? O forse perchè di quei tempi, altro non esisteva? O forse ancora, che qualcosa di vero potrebbe comunque essserci e dunque meritare di essere citata?
Quale che sia il motivo, forse non lo scopriremo mai, sta di fatto che per fortuna la lista dei nomi dei re esiste nel libro di Masteu e io ho l'opportunità di riportarla.

"Tubal fondator di Tarragona in Catalogna, dov'ebbe la sua corte.
Ibero che diede il nome al fiume Ebro, agli Iberi e all'Iberia.
Iubalda da cui viene (certo con qualche piccola variazione) il nome di Gibraltar o Gibilterra.
Brigo, Padre e istitutore non solo delle molte città Spagnuole, che han nome terminante in Briga, ma della Frigia ancora nell'Asia, e di Bracciano in Italia.
Tago, da cui il fiume Tago di Spagna non poteva meno di non prendere il nome, come il prese l'Ebro dal signor Ibero.
Beto, che per necessità dovea anch'egli comunicar i lsuo nome al fiume Betis, e a tutta la Betica, oggi chiamata Andaluzzia.
Gerione l'Affricano, che sul finire del quarto secolo fu il primo tiranno della nazione Spagnuola.
Gerione il Trigemino ucciso dal valorosissimo Ercole Libio figlio di Osiride.
Ispalo, che fece grazia del suo nome alla città di Siviglia chiamata anticamente Hispalis.
Ispano del cui nome la Spagna e gli Spagnuoli furono generosamente onorati.
Ercole il Libio, seppellito con pompa straordinaria nel famoso tempio di Cadice.
Espero, venuto al mondo a bella posta per dare alla Spagna il novello nome di Hesperia.
Atlante, che dispensò indubitabilmente il suo nome all'Oceano Atlantico.
Sicoro, onde ebbe origine il nome del fiume Sicori o Segre, in Catalogna.
Sicano, che venne in Italia a esser padre dei Sicani.
Siceleo, da cui ognun vede chiaramente che discendano per linea dritta i Siciliani.
Luso, non il Greco, ma lo Spagnuolo, Monarca fatto a proposito per ornar del suo nome la Lusitania, oggi Portogallo.
Siculo, secondo dominatore, se non terzo, dei signori Siciliani.
Testa, padre legittimo dei Contestani, popoli de' Regni di Valenza e di Murzia.
Romo, fondatore della città di Roma, in Ispagna, detta dai latini Valenza.
Palatuo, padre della città di Palenza e de' Palatui, popoli Valenzani.
Caco il Celtibero, il cui nome si conserva ad eterna memoria sul monte chiamato Moncajo dov'egli si fece forta contra Palatuo.
Palatuo per la seconda volta, il quale obbligò Caco a fuggir in Italia.
Eritro che si prese l'incomodi di venir fin dal mar Eritreo per regnare in Cadice.
Gargori detto il Mellicola, quel dolcissimo Re, che insegnò agli Spagnuoli a raccogliere il mele, e ch'ebbe per successore quell'Abide suo nipote di cui parla Giustino."

Il Masdeu continua la storia dopo aver analizzato quanti si sono espressi contro Annio di Viterbo e le sue opere, e furono in tanti.
Per parte mia, non prendo posizione per ora ma mi riprometto di approfondire.

Buona giornata a tutti.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

lunedì 28 marzo 2016

Ercole in Spagna

Tempo addietro ho scritto di Sanchuniathon secondo Filone di Biblo
Ora, frugando su Google books alla ricerca di notizie su tale Dracone di Corfù, autore di una storia sull'Italia antica, mi sono imbattuto in un testo del 1787  di Gian Francesco Masdeu, di Barcellona, edito a Firenze. Si tratta della "Storia critica di Spagna.
Non ho saputo resistere e, dopo aver appurato che le informazioni su Dracone di Corfù erano veramente minime, ho cercato il primo volume in cui si parla della Spagna antica, ed ho cominciato a leggere.
Mi sono quindi imbattuto nella leggenda dei Titani, che non è però l'oggetto di questo mio articolo, e poi di una parte in cui l'autore riferisce dei vari personaggi chiamati Ercole che si dice siano stati in Spagna, ed ecco che cosa dice l'autore. Un inciso, l'autore afferma che Oceano Atlantico significava Oceano Innavigabile, come se Atlantico significasse "non navigabile". E' la prima volta che trovo un simile riferimento. In effetti in greco Thalassa significa mare e se si suppone che Atlantico sia A-Tlantico, allora la "A" potrebbe essere privativa. E' qualcosa su cui riflettere. Dirò infine che l'autore è molto scettico sull'esistenza di questi Ercoli e del fatto che siano effettivamente arrivati in Spagna.
Ma torniamo al testo.
Il Masdeu dice che: "Quattro principalmente sono gli Ercoli, i quali si pretende che abbiano posto piede in Spagna", questi sono Ercole l'Egiziano, Ercole il Fenicio, Ercole il Cretese ed Ercole il Tebano.
Il primo di questi, l'Ercole Egiziano, suppongono i Greci, che fosse Capitan Generale di Osiride Re d'Egitto, e che insieme venisse con lui a conquistare la Spagna.
Un altro inciso: l'autore riferisce che Diodoro Siculo pensa che Osiride in quanto Dio dovrebbe essere uno dei nomi del dio Sole e che il significato sia "multi-occhiuto", ovvero che vede tutto. Ciò mi ha fatto pensare ad alcune rappresentazioni di angeli con gli occhi su tutto il corpo, cosa che ho visto per esempio in una chiesa sul lago d'Orte. Sempre Diodoro asserisce che Osiride è anche un Dio Uomo, ovvero un condottiero deificato per le grandi imprese compiute in terra. Il Masdeu asserisce che il regno di questo Osiride dovrebbe risalire a quattordici anni dopo il Diluvio Universale e sulla base del fatto che ritiene inverosimile che in quei tempi antichi si potesse navigare fino alla Spagna e che non crede possibile esistessero regni potenti capaci di simili imprese, giudica che Ercole l'Ercole Egizio non sia mai potuto arrivare in Spagna.
Parlando quindi dell'Ercole Fenicio, il Masdeu dice che il fatto in se ha maggior verisimilitudine in quanto Ercole arrivò in Spagna, dato che le Colonne ne conservano il nome. Però per l'autore un tale Ercole non era conquistatore bensì mercante. Oppure, se veramente era un grande uomo, un eroe, come si potrebbe arguire dall'interpretazione del significato in lingua araba e fenicia, tale Ercole venerato a Cadice non è altro che lo stesso Ercole Egizio di cui ha già parlato.
In merito all'Ercole Cretese, il Masdeu lo fa risalire all'Ercole Fenicio, infatti a suo parere l'Ercole Cretese era uno dei Sacerdoti (o Sapienti) del monte Ida della Frigia. Tali sapienti erano dieci e venivano chiamati con molti nomi: Idei, Coribanti, Cureti, Cabiri, Satiri, Titiri, Gerfici, Dattili e Ditti. Masdeu afferma che i Cureti erano sapienti Fenici per cui ancora una volta l'Ercole Cretese non è altro che l'Ercole Fenicio. Sul fatto che esso conquistasse la Spagna afferma che non la conquistò con le armi ma che vi portò le sue conoscenze.
Dell'Ercole Tebano ci parla maggiormente. Intanto si dice che vivesse in Tebe sotto il Re Euristeo di Micene, che partecipò all'impresa degli Argonauti in colchide, che vinse in battaglia le Amazzoni guidate dalla loro regina Ippolita, che sconfisse Laomedonte, che consegnò il regno di Troia a Priamo. Si dice che tale Ercole viaggiò anche in Italia e Spagna per poi tornare in Grecia dove, gravemente ammalato, si uccise gettandosi nel fuoco. Tali avvenimenti avvenivano cinquantacinque anni prima della distruzione di Troia. Si dice che in Spagna sconfisse Gerione, Re, e gli rubò le vacche ed eresse le celebri Colonne che da lui presero il nome. 
Secondo il Masdeu vi furono quaranta e più Ercoli di cui si parla nelle storie, però a suo parere si tratta sempre dello stesso, ovvero di quello più antico, l'Egizio o Fenicio, il quale fu, probabilmente, un grande conquistatore.
Ora, che Ercole fosse Egizio, Fenicio, Tiro o Cretese poco importa, sicuro è che ogni volta che mi accingo a leggere qualche testo antico vi scopro sempre notizie interessanti, forse non sempre attendibili, ma sicuramente interessanti.
Chiudo dicendo che il Masdeu cita Monsignor Mario Guarnacci e il Dottor Giampaolo Limperani come autori di Storie d'Italia poco credibili, testi in cui gli autori raccontano come molti degli Dei e degli Eroi dell'Antichità fossero Italiani. Forse non è vero ma sicuramente è interessante e prima o poi dovrò dedicarmi anche alla lettura di questi autori.

Alla prossima.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 27 marzo 2016

Pitchfork

Chi sono io?

Quando mi guardo allo specchio vedo solo l'immagine sbiadita di me stessa, come l'ombra di una donna in una notte di luna piena o un fantasma in un maniero medievale.
Eppure, mi dico, sono sempre io, o ciò che resta di me.

Cosa ho fatto?

Ripenso agli anni passati e ancora non capisco, non riesco a comprendere in cosa ho sbagliato. Ombre nere ricoprono il mio viso e lo nascondono alla vista del mondo.

Sarebbe potuto essere tutto diverso, ma evidentemente questo è il mio destino. Portare nel mio cuore un simile peso fino alla morte.

Ricordo ogni istante le immagini dei corpi straziati, il sangue rosso scuro colare lungo i corpi, l'odore forte del sangue rappreso mi torna prepotentemente alla mente. Non riesco a non pensarci. E' quasi una tortura. Non passa istante che io non ricordi quei volti, contorti dalla sofferenza, urlanti di dolore. 
Poi un velo nero si posa sui miei occhi e non vedo più niente, forse svengo anche io, forse il mio cervello si rifiuta di continuare a vedere, a sentire...

Ogni volta mi risveglio in un posto differente. 
La prima volta mi svegliai nella cantina della nonna. L'odore nauseabondo mi colpì come uno schiaffo sul viso. Avevo le mani appiccicose, quasi nere. Ai miei piedi una pozza di sangue rappreso. Mio nonno mi prese in braccio senza dire una sola parola e mi portò in cucina. La nonna aveva preparato una tinozza di acqua calda e, dopo avermi spogliato e gettati via i vestiti, mi ci immerse completamente. 
L'acqua era calda e l'odore del sapone mi destò del tutto.

"Pichfork, pichfork"
urlavano gli altri bambini, girandomi attorno.
"Pichfork, pichfork"
mi schernivano ogni giorno. Poi decisi di non andare più a scuola. Non mi volevano e io non volevo loro. 
I nonni non l'avevano presa bene. Quelle poche ore in cui io stavo a scuola a loro servivano per ritemprarsi. Avevano una certa età e dovevano prendersi cura di me. Certo, mi volevano bene, ma comunque erano anziani, molto anziani, e di li a poco se ne andarono anche loro, come avevano fatto il papà e la mamma...

Avevo dodici anni, credo, e la vita divenne dura. Non era facile vivere da soli ma ci feci presto l'abitudine.

A tredici anni tornai a scuola.
Avevo sempre studiato per conto mio per cui la cosa non mi pesò per niente. Volevo riprovare, volevo vedere se gli altri avevano dimenticato. Speravo che il mio destino potesse cambiare, ma mi sbagliavo.
Passò solo qualche giorno, prima che qualcuno si ricordasse del mio soprannome. "Pichfork, pichfork", li sentivo dire tra loro sorridendo, mentre gli passavo vicino, quando entravo in classe, quando mi chiamava la maestra. Sempre la stessa storia.

Dovevano farla finita!

Un giorno persi la pazienza e cominciai a urlare. Poi mi misi le mani sulle orecchie e scappai fuori dalla classe. Non tornai mai più.

La casa dei nonni era poco fuori dal paese e io continuavo a viverci da sola.
Ero in grado di cucinare, accudivo il bestiame, raccoglievo le uova. L'orto mi dava ciò che serviva per vivere e il prete del paese mi mandava spesso la sua perpetua per aiutarmi.
Ero isolata dal paese ma allo stesso tempo ne ero parte integrante.

Domani compirò diciotto anni.
Mi preparo per l'evento con perizia maniacale.
Tutto deve essere perfetto. Non ho più parenti, non ho amici. Il parroco ha smesso da qualche anno di mandarmi la sua perpetua. Quella donna è sparita da tempo e nessuno sa che fine abbia fatto. Ma io ormai sono grande e non ho più alcun bisogno di essere aiutata. Ora so chi sono e cosa devo fare.
Domani è la mia festa. Meglio andare a dormire presto, domani sarà una lunga giornata.

Mi alzo presto la mattina, mi vesto con il vestito migliore che possiedo. Sui capelli metto una rosa rossa, nata nell'orto. Una spina mi graffia la fronte ed una goccia di sangue cola sul viso, lungo la guancia, fino al collo.
Prendo il forcone dal granaio e lo stringo tra le mani.

Il paese è a pochi minuti dalla casa. 
E' ancora presto e non incontro nessuno per strada. 
Mi fermo alla prima casa e busso alla porta. 
"Chi è a quest'ora del mattino?"
Urla una voce per niente gentile dall'interno. Riconosco la voce, è la maestra. Non mi ha mai difeso quando gli altri mi chiamavano Pichfork. 
Si apre la porta e me la ritrovo davanti. E' un po ingrassata ma non fatico a riconoscerla...
"Pichfork, sei tu? Cosa..."

Non le lascio il tempo di finire la frase, le infilo il forcone nelle budella, dal basso verso l'alto, e spingo con tutte le forze... fiotti di sangue mi colano sulle mani. Lei non parla più. 
Uno sguardo stupito si trasforma in smorfia di dolore. Solo pochi secondi di agonia e poi si accascia a terra. Devo aver raggiunto il cuore, penso... devo fare più attenzione la prossima volta.

Pochi passi mi separano dalla seconda casa. E' la casa del prete. 
Non busso, passo dal retro, come ho fatto tante volte. So dove si trova la chiave. La prendo ed entro, in punta di piedi. Il sangue comincia a rapprendersi sulle mani e sul vestito ma non ci faccio caso.
Entro nella sua stanza. E' ancora a letto. Mi avvicino in silenzio e lo bacio sulle labbra. Lui si sveglia e mi guarda compiaciuto, chissà cosa pensava... sollevo il forcone e glielo infilo nel collo. Non una sillaba... un fiotto di sangue nero gli esce dalla bocca e mi sporca il vestito nuovo.
Lo lascio li, agonizzante, con le mani al collo e una smorfia di orrore sul viso... non merita neppure un ultimo sguardo.

La giornata è ancora lunga e ho tanto da fare, non posso certo perdere troppo tempo se voglio fare pulizia...

Da allora molti anni sono passati eppure non ho mai dimenticato. Dopo quel diciottesimo compleanno sono sempre stata rinchiusa.
All'ospedale mi hanno riempito di medicine. I primi anni mi tenevano legata al letto. Poi, col tempo, hanno capito che non ero più pericolosa degli altri e mi facevano uscire a prendere aria nel giardino.
Ora i tempi sono cambiati e mi dicono che sono guarita e posso andare via. Posso tornare a casa. Come se ce l'avessi una casa. 

Domani è il grande giorno. Sarò libera.
Esco per l'ultima volta in giardino a vedere le rose. Ne taglio una, rossa come il sangue. Senza badarci me la infilo tra i capelli. Una spina mi graffia leggermente ed una goccia di sangue cola lungo la guancia.
Mi giro per rientrare e, poggiato al muro, vedo un forcone, forse dimenticato dal giardiniere...

"Dottore, è sicuro che io sia guarita?"
Le parole mi escono dalla bocca con sicurezza. Il dottore si gira e mi guarda con un sorriso... 
Il forcone penetra sotto il mento e fiotti di sangue ricoprono ancora una volta le mie mani...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


Pasqua

Ricordo con piacere i preparativi pasquali di quando, bambino, appena mi affacciavo alla vita.
Era tutta una festa! Il paese di Seui eera come scosso dai preparativi.
La settimana prima di pasqua tutti noi partecipavamo con gioia alla messa cercando di accaparrarci la palma più bella e intrecciata. Poi spesso, con in mano solo poche foglie intrecciate alla meno peggio e un rametto d'olivo, tornavamo a casa di corsa.
I dolci, le uova (vere) dipinte, il pane coccoi con l'uovo al centro, l'uovo di cioccolato, uno per tutta la famiglia, da rompere rigorosamente il giorno di pasqua...
Tante cose sono cambiate oggigiorno, se in bene o in male non saprei dirlo. Sicuramente la famiglia era più unita e trovarsi a tavola con i parente era qualcosa  di piacevole, ormai sempre più raro.
E allora, per concludere, un augurio a tutti: che possiamo ritrovare i valori di un tempo con il benessere di oggi. 
Buona pasqua 2016 a tutti!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO