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domenica 13 marzo 2011

Il fantasma della casa sull'Olona

Non riesco più a fare le cose che facevo prima, non posso più uscire per strada senza pensare a quanto mi è accaduto...
Sono passati tanti anni ormai, ma ancora non riesco a dimenticare. 
La mia vita è cambiata... e non potrò mai tornare indietro...
Ogni volta che mi trovo a passare di fronte a quella casa, un brivido freddo mi percorre la schiena e i miei sensi, stimolati dal ricordo, trasmettono al mio cervello segnali d'allarme! 
Non riesco a dimenticare... non VOGLIO dimenticare!

Cosa accadde, mi chiederete...
Non so se riuscirò mai a dire tutto. 
Anche scrivere, come ora sto facendo, mi riapre una ferita ancora sanguinante... 
Eppure devo provarci, il mio psicologo dice che devo superare quello che mi è successo... dice che devo metabolizzare e secondo lui scrivere e parlare di quanto mi è accaduto non può che farmi bene!
Io non sono tanto convinto ma che altro posso fare?

Era il 1989, quando mi trasferii a Legnano, avevo trovato lavoro in una società della zona come ingegnere alla produzione. Un lavoro ben pagato ma che mi portava via molto tempo. Dovevo viaggiare spesso e non avevo modo di passare molto tempo con mia moglie così, di tanto in tanto, la portavo con me. A lei piaceva molto viaggiare così approfittava dei miei viaggi di lavoro per visitare le capitali d'Europa e per acquistare libri... a volte romanzi ma più spesso antichi testi che lei diceva di adorare.

Lei conosceva diverse lingue oltre l'italiano. Il francese, l'inglese, lo spagnolo, ma anche lingue morte come il latino e il greco antico non la spaventavano per niente, ed ogni volta che per lavoro mi recavo in un paese in cui si parlava una lingua sconosciuta, per lei era una festa. Preparava la sua valigia velocemente, selezionava accuratamente le grammatiche e i libri che le sarebbero potuti servire e, alcune settimane prima della partenza, iniziava a studiare la nuova lingua che poi puntualmente praticava e approfondiva sul posto.
Non sono mai riuscito a capire come facesse... eppure per lei era semplice, sembrava che le lingue non avessero segreti e la cosa cominciava anche ad essere utile per il mio lavoro. Avere un interprete personale e di totale fiducia non è da tutti infatti!

Dopo un anno di duro lavoro la società decise di assumermi come dirigente, dovevo occuparmi dei grossi contratti con l'estero, l'attività era in forte espansione e avrei preso una percentuale per i nuovi contratti. Accettai senza pensarci due volte e anche Anna, così si chiamava mia moglie, ne fu felice.
Ora potevamo permetterci una casa tutta nostra, sarebbe stata la nostra reggia.

Allora abitavamo nei pressi della stazione ferroviaria, in una palazzina degli anni '50, in una mansarda arredata semplicemente, una camera da letto, un angolo cottura che si apriva su un terrazzo che dava sulla stazione, un bagno veramente minuscolo e una seconda stanza che io usavo come studio e Anna come biblioteca, con una sola grande poltrona in pelle nera al centro, che condividevamo, e un tavolino sempre ricoperto di libri e progetti... tutto intorno una libreria in legno scuro stracarica di libri e una lampada a muro rendevano l'ambiente intrigante e accogliente... I libri provenivano da tutto il mondo e probabilmente tutte le lingue vi erano rappresentate, come al palazzo dell'ONU e forse più!
  
Quando decidemmo di compare la casa non avevamo idea di cosa acquistare, l'unica esigenza era legata allo spazio per i libri di Anna e al mio studio, che al momento era troppo ridotto. Per il resto tutto andava bene.
Cominciammo ad uscire la sera alla ricerca di una zona che ci piacesse. Percorremmo a piedi più volte tutta la città di Legnano, ci spingemmo fino a Castellanza, a Busto Arsizio e visitammo anche i paesi limitrofi ma non trovavamo niente che soddisfacesse le nostre esigenze e fosse anche alla nostra portata. Ogni sera, tempo permettendo, facevamo chilometri, osservando attentamente le case, i giardini, le persone... alla ricerca di quella che sarebbe diventata la nostra casa. 
     
Una sera più luminosa del solito, accompagnati dalla luna piena e con il cielo stranamente libero da nuvole, notammo a pochi metri dal fiume Olona, una vecchia casa diroccata, quasi completamente ricoperta di edera rampicante, secca, cadente dai tetti spioventi... 
Le finestre erano chiuse, gli scuri in legno cadenti, appesi ad una cerniera in ferro corrosa dal tempo e dalla pioggia, cigolavano per il vento.
Ci guardammo in faccia, sorridendo. Sembrava la casa dei fantasmi, pensai, e già proseguivo il mio cammino...

"Ecco, è questa la casa che voglio!"   

Le sue parole mi arrivarono all'orecchio come uno schiaffo inaspettato, restai interdetto per un attimo, poi mi girai verso di lei, pensando scherzasse. Dai suoi occhi capii immediatamente che non scherzava, era seria, anzi serissima. Realizzai immediatamente che qualunque cosa avessi potuto dire o fare sarebbe stato inutile, quella sarebbe diventata la nostra casa. Conoscevo Anna da quando era una ragazzina quindicenne e stavamo assieme da altrettanti anni, sapevo che se voleva una cosa l'avrebbe ottenuta, con le buone o con le cattive. Ci dovevo fare l'abitudine, quella sarebbe stata la nostra casa.

Il giorno dopo tornammo assieme di fronte alla casa, certo, ci sarebbe voluto un po di tempo prima di rendere abitabile quel che restava di una casa indipendente, abbandonata da almeno venti anni, ma non c'era fretta. Mentre osservavo il tetto cercando di capire quante di quelle tegole erano ancora intere, una vecchia ci rivolse la parola con quell'accento tipico legnanese che avevamo cominciato a capire ed apprezzare. Ci chiese chi fossimo e cosa volessimo e senza aspettare le nostre risposte cominciò a raccontarci della sua vita, di quando era arrivata a Legnano col marito, della loro vita felice, dei figli, del fatto che ormai era vecchia e non sentiva più bene da un orecchio (ma la lingua le funzionava ancora benissimo, pensai) e dei fantasmi che abitavano la casa che stavamo osservando...    

"Fantasmi?" La interruppi involontariamente...
"Fantasmi?" Ripeté Anna a voce alta...

E così la vecchia, che abitava proprio affianco, cominciò a raccontare dei rumori che provenivano dall'interno di quella casa, delle luci che apparivano di tanto in tanto, delle ombre scure, enormi, che aveva visto tante volte nascosta dietro le tende della finestra della cucina. Dei suoi gatti scomparsi negli anni passati e dei giocattoli rotti che di tanto in tanto trovava nel suo giardino...

Ogni parola non faceva altro che spingere Anna verso quella casa... come esche ben poste sull'amo di un esperto pescatore, quelle parole attiravano la preda verso la trappola mortale. trappola che per Anna avrebbe significato...

Non capivo come potesse piacerle, ma non provai neanche a discutere la sua scelta, anche questa volta l'avrei accontentata e poi, nel caso, me ne sarei pentito in silenzio, per amore.

Riuscimmo a scoprire chi era il proprietario della casa e nel giro di qualche mese fu nostra, solo nostra (e della banca che ci aveva concesso il mutuo) e ancora qualche mese e sarebbe stata abitabile. Ci volle più tempo del previsto a causa di una crepa nascosta che arrivava dal tetto alle fondamenta ma alla fine i lavori terminarono e la casa ci fu consegnata. Non restava che acquistare qualche mobile e fare il trasloco delle nostre cose. Comprammo una bella camera da letto. La cucina dovemmo ordinarla su misura e lo stesso per la libreria dello studio, che era ampio e luminoso. A metà maggio ci trasferimmo.

La casa aveva cambiato aspetto, l'edera rampicante cresceva rigogliosa e tutto ciò che un tempo era arrugginito e cigolante ora sembrava aver ripreso vita. Anna era felicissima e il suo viso raggiante mi aveva fatto dimenticare quella strana sensazione che avevo provato sentendo parlare dei fantasmi...

La vecchia vicina, da quando aveva saputo che avevamo acquistato non ci aveva più rivolto la parola, ci passava vicino senza salutare, triste in volto. La sorpresi una sera mentre gettava del sale di fronte alla nostra porta. In faccia aveva uno strano sorriso. Ma non ci feci tanto caso, al momento.

Erano passati diversi mesi da quando ci eravamo trasferiti nella nostra nuova casa. Sembrava che tutto andasse per il meglio e anche la vicina aveva ripreso a salutarci anche se si vedeva da lontano che non approvava la nostra presenza. Poi, una sera, un fatto inusuale mi colpì. Anna era seduta sulla sua poltrona, ne avevamo comprata un'altra, al centro della biblioteca-studio e io arrivavo dalla cucina. Al suo fianco, vicino alla mia poltrona, vidi la sagoma di un uomo chino su di lei che leggeva.
Un brivido freddo mi pervase, un urlo strozzato uscì dalla mia gola...

"Che succede, caro?!?" 
   
L'ombra scomparve... non riuscivo a parlare, avevo visto bene o era solo suggestione? 
Mi lasciai cadere sulla poltrona, senza forze, come svuotato dalla vita. 
Avevo visto un fantasma? Le parole della vecchia mi tornarono in mente...
Chi era quell'essere, là, affianco alla mia Anna? 
Lei era in pericolo?
Queste e altre domande si affacciavano alla mia mente ma non riuscivo a parlare, non potevo aprir bocca, era come sigillata. Non riuscivo a muovermi, ero come paralizzato dalla paura.

La sensazione che avevo provato alla vista di quell'ombra non era scomparsa, anzi, era più forte che mai... come se quell'essere mi osservasse alle spalle, come se mi trattenesse con braccia invisibili e mi chiudesse la bocca con labbra di ghiaccio. Non riuscivo a muovere un muscolo, ero paralizzato sulla poltrona e guardavo, con gli occhi sbarrati dal terrore... le palpebre aperte innaturalmente, le pupille dilatate. Anna era li, di fronte a me e l'ombra si faceva sempre più vicina, terribile, assetata di sangue.

Poi la colpì, una, due, dieci volte... la lama del coltello penetrò nelle sue carni e il  sangue schizzava sulle copertine dei libri, sulla tappezzeria, sulle carte del mio ultimo contratto, lentamente, appiccicoso... sangue rosso rubino.
Tentai di muovermi, di urlare, di avvisarla, di salvarla... ma non potevo far niente, potevo solo guardare quello spettacolo orribile che ora vorrei poter dimenticare.

L'ombra scomparve, silenziosa... Il tempo passava, la notte trascorse senza rumori, l'odore del sangue riempiva la stanza ma io non potevo muovermi, ero come incollato alla poltrona...
Poi la mattina dopo, cominciai a riprendermi, riuscii a muovere le braccia e poi le gambe e a trascinarmi fuori dalla casa strisciando sul pavimento. Aprii la porta e urlai a squarcia gola, una, due, tre volte...

La vecchia vicina di casa era li, di fronte a me, per niente stupita, come se avesse capito cosa era accaduto... come se sapesse! Le chiesi di chiamare i Carabinieri, balbettai qualcosa a proposito di Anna, del fantasma, del sangue... poi svenni.

Mi risvegliai in ospedale, legato al letto con una camicia di forza. Mi dissero che avevo dato in escandescenze, che avevo urlato per tre giorni, che farneticavo di ombre e fantasmi e dell'assassinio di una donna, Anna. Mi dissero di aver controllato la casa, non c'era sangue ne segni di lotta. Non c'erano neanche più i libri, solo sporcizia e i segni di una casa abbandonata a se stessa, senza la mano di una donna. 
La vecchia vicina aveva raccontato ai Carabinieri che qualche settimana prima la donna che viveva con me, Anna, mi aveva lasciato per non tornare... e io non l'avevo presa bene. Forse ero impazzito... ma non era vero. Io sapevo qual'era la verità, io c'ero stato in quella stanza, io avevo visto la vecchia, guardarmi di traverso, avevo visto l'ombra e il sangue... io.. io ero forse pazzo?!? 


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

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